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giovedì 13 settembre 2012
L'AiFon Faiv
venerdì 16 dicembre 2011
Pogrom moderni: gli Italiani sono razzisti? Ed i Trentini?
Trento - Pensavo di iniziare questo articolo con una premessa: gli storici sono indispensabili alla società; gli storici permettono di comprendere meglio sia il passato, sia il presente. Sarebbe stato contento l'amico Andrea, che su queste pagine (e non solo) scrive proprio di storia. Ma qualcuno, che si è avventurato sulle nostre modeste biografie nella pagina della Redazione, si sarebbe accorto che anch'io sono ormai prossimo alla laurea in storia, e sarebbe così crollato tutto il palco, e si sarebbe compreso che non posso essere del tutto oggettivo.
CAUSE PERSE - Ed allora al diavolo il cappello introduttivo; non diamo a tutti gli storici l'onore di essere esaltati in un articolo de laRotaliana.it. Lasciate però che vi consigli un libro, che, da solo, vale ben più di ogni parola che potrei spendere in questo senso. Sto parlando di Cause Perse, un diario civile, di Adriano Prosperi, uscito lo scorso anno (2010) per Einaudi.
LO STORICO - Adriano Prosperi è professore ordinario di Storia moderna alla Scuola Normale di Pisa; ha scritto Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari (Einaudi, 1996), forse uno dei libri più belli della storiografia contemporanea. A lui si devono degli studi fondamentali sul mondo degli eretici e l'inquisizione, sulla Riforma, sulla Controriforma, sulla cultura in età moderna, sullo stesso Concilio di Trento. Prosperi è insomma un uomo d'alta dignità accademica, apprezzato in tutto il mondo per le sue qualità intellettuali.
IL TESTIMONE - Ma Prosperi non è rimasto confinato sulla cattedra universitaria; in parte grazie al suo carisma e le sue capacità di scrittore, in parte anche grazie all'intuito di chi lo ha ospitato, lo storico ha smesso di scrivere soltanto del passato, ed ha iniziato a riflettere anche sul presente. Cause Perse è proprio questo: la raccolta di una serie di editoriali che l'autore ha pubblicato sul quotidianoLa Repubblica, e che trattano di argomenti di attualità, commentati con lo sguardo dello studioso.
ITALIANI RAZZISTI - Come sottolinea Giuseppe Marcocci nella postfazione al libro, il vero impegno civile del testimone Prosperi nasce da una domanda, fondamentale, che non può evitare di porsi: «Come e perché gli italiani sono diventati razzisti?». L'interrogativo parte dalla cronaca, da quel giorno del maggio 2008 in cui si diffuse la notizia che una giovane donna rom avrebbe tentato di rapire una bambina di sei mesi; gli abitanti del quartiere Ponticelli a Napoli appiccarono il fuoco alle baracche del vicino campo. La notizia di allora è in questi giorni tornata tristemente di grande attualità. Da una parte per il folle omicida Gianluca Casseri, il militante di destra che martedì scorso (13 dicembre), a Firenze, ha aperto il fuoco contro i senegalesi, uccidendone due e ferendone altri tre. Dall'altra per quanto è avvenuto a Torino, dove una ragazzina di sedici anni che ha perso la verginità in un rapporto consensuale con il suo ragazzo, ha pensato di rimediare alla sua “onta” accusando di stupro degli zingari romeni. Accusa inventata, ma che, come era avvenuto nel 2008 a Ponticelli, ha portato una folla di circa 500 persone a bruciare le baracche del vicino campo. A quanto scrive il Corriere, quando i Vigili del Fuoco hanno cercato d'intervenire, i manifestanti si sono intromessi, urlando che gli zingari dovevano bruciare.
POGROM MODERNO – La definizione che meglio si addice a fenomeni di questo genere, secondo Prosperi, è quella di “pogrom moderno”. «Da oggi», scriveva Prosperi all'indomani di quanto accaduto a Napoli, «la parola “pogrom” ha cessato di indicare solo tragedie di altri tempi e di altri popoli per diventare la definizione di atti compiuti da folle di italiani». Leggendo quanto Prosperi scrive, riusciamo a tracciare un'inquietante similitudine su quanto avveniva in un passato che ci sembra fieramente lontano, e la realtà di ciò che ancor oggi leggiamo sui giornali. «Ci sono altre storie», continua Prosperi «che hanno un sapore tristemente familiare: quella del bambino rom che non vuole più andare a scuola perché i compagni lo escludono dal gruppo e dicono che è sporco, che puzza. Anche per gli ebrei dei secoli scorsi si diceva che fossero sporchi e riconoscibili dall'odore; ma lo dicevano coloro che prima li avevano chiusi negli spazi stretti e senza acqua dei ghetti».
TRENTINI RAZZISTI – Anche Trento ha la sua triste tradizione di antisemitismo. Il caso più celebre è quello del piccolo Simone, che sin dalla prima età moderna e fino al 1965 era venerato come beato. La credenza popolare, sostenuta dall'allora vescovo Johannes Hinderbach, voleva che il fanciullo fosse stato ucciso dalla comunità ebraica locale. Gli Ebrei trentini furono torturati, costretti alla confessione e poi uccisi. Il Simonino fu chiamato Santo, e gli si attribuirono anche dei miracoli. Ma ora che finalmente il culto del Simonino è stato decanonizzato, e che anche Trento sembra aver richiuso certe ignoranze popolari nello scrigno del passato, nella nostra città si è definitivamente sconfitta la xenofobia?
In un articolo per QT di qualche anno fa, e che ancora si può leggere in internet, Mattia Pelli rifletteva sulla notizia dell'arresto di due nomadi, la cui “gravissima” colpa era stata quella di aggirarsi «con fare sospetto» nell'area Ex Zuffo. Sul percorso della ferrovia Trento-Malè-Marileva, la famosa “vaca nonesa”, la fermata di Lamar è proprio vicino ad un campo nomadi; nel corso dei miei viaggi mi è capitato spesso di sentire commenti, da parte di giovani ragazzi o di distinte vecchine, che poco si discostano da quelli dei manifestanti di Torino.
Questi, piccoli indizi presi dal mucchio, sono davvero segnali d'allarme? C'è davvero il pericolo che anche Trento si risvegli, un giorno, infestata dal fumo di un “pogrom moderno”?
lunedì 5 dicembre 2011
La manovra «Salva-Italia»: qualche osservazione
sabato 12 novembre 2011
Berlusconi dimesso: la Storia agli occhi dei giovani
Dicevo: non voglio dare giudizi – almeno su queste pagine – sul significato politico dell'addio di Berlusconi. Commenti, editoriali, valutazioni più o meno oggettive le leggeremo domani sui giornali, le troviamo già ora su Twitter o negli speciali di Ballarò o La7, le sentiremo per giorni nei bar e sugli autobus. Voglio solo riflettere sul significato emotivo dell'uscita di scena di un personaggio che, sul tetto d'Italia, ha vissuto per quasi diciotto anni.
Noi giovani abbiamo imparato ad avere ricordi sbiaditi della Storia italiana. Un'immagine che ci arriva dai libri e, per gli episodi recenti, dai racconti dei nostri genitori. Noi che eravamo piccoli quando Craxi veniva bersagliato di monetine fuori dall'hotel Raphael, noi che al Parlamento abbiamo sempre visto le stesse facce, alternate a qualche volto nuovo, piombato dal nulla, ma con le stesse idee dei gerarchi di governo ed opposizione. Certo, noi giovani non siamo così sconsiderati dal credere che con Berlusconi scomparirà d'improvviso la vecchia politica, quell'odioso sistema di casta che ben conosciamo. Ma, vedendo questa sera la Storia camminare su un colle di Roma, anche noi ci siamo resi conto di una fantastica verità: nulla è eterno, e tutto può cambiare. Non è la soluzione, ma un buon punto di partenza per il nostro futuro.
lunedì 13 giugno 2011
I Referendum e la sconfitta del demagogo
venerdì 29 aprile 2011
Royal Wedding
bibliografia:
* = P. PRODI, Introduzione alla Storia Moderna, Bologna: Il Mulino, 1999, p. 24
domenica 27 marzo 2011
Il pasticcio italiano nella questione libica
Di per sé è un capolavoro di diplomazia, un affare colossale. Certo, basta un minimo d'intelligenza per capire come il petrolio sia un elemento chiave della guerra libica. Ma d'altra parte, l'opinione pubblica, quella che generalmente si schiera contro ogni guerra, comprende che senza l'intervento militare di potenze occidentali il dittatore sarebbe stato libero di soffocare nel sangue le ribellioni del popolo.
Ritorniamo alla metafora dei due amici che litigano fra loro. L'Italia è proprio in questa situazione: è la maggiore importatrice del petrolio libico [3], e per questo motivo non può evitare un intervento, che le permetta di sedere all'eventuale tavolo dei vincitori della guerra. Ma non può nemmeno palesarsi come conquistatrice di un paese con cui ha di recentemente stretto un trattato di amicizia. Trattato in cui, fra l'altro, era esplicitata la promessa di non-attacco reciproco fra Italia e Libia.
Insomma: quello che per gli altri paesi è un capolavoro di diplomazia (la possibilità di intervenire per i propri interessi, con la scusa di proporsi come difensori dell'ordine del mondo), per l'Italia è un gran casino!
La soluzione di Berlusconi è stata in linea con il suo ruolo di magnate televisivo. Ancora una volta è riuscito ad orchestrare una via mediana, in cui ha tentato di cercare definizioni proprie, che gli permettessero di uscire da quest'impiccio. Lo ha fatto parlando a giornali e televisioni, ma decidendo (e probabilmente non è un caso!) di non esporsi a Senato e Camera, dove l'autorizzazione all'intervento in Libia è stata richiesta dai ministri Frattini e La Russa. In pratica, la linea del presidente del consiglio è stata quella di partecipare alla guerra, ma dichiarando che l'Italia non è in guerra (che contraddizione di termini!). Di più: che degli aerei italiani stavano in effetti volando sui cieli libici per collaborare alle operazioni militari, ma che non avrebbero sparato nessun colpo (come se fosse già possibile prevedere in anticipo l'evolversi di un conflitto militare!). Così l'Italia ne esce come la Rosalia dei Malavoglia, ancora "né carne, né pesce", a metà strada fra una scelta e l'altra, senza alcuna forza per imporsi. Un presidente con ancora le terga al vento, che tenta di riallacciarsi i pantaloni, ma non ci riesce.
[3] http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=36895
mercoledì 5 gennaio 2011
A contro B
PS: questo era il post n.100. Direi che posso dirmi soddisfatto: sto riuscendo ad aggiornare con costanza il blog; ed ho perfino attirato i commenti di qualche incauto visitatore occasionale!
martedì 14 settembre 2010
TG


giovedì 8 luglio 2010
Mondiali (8)

Con il gol di quel capellone di Puyol, ieri contro la Germania, si è quindi definita la finale di domenica prossima. Ultima partita del Mondiale, e grande respiro di sollievo per la mia compagna: ammetto d'aver abusato della sua pazienza, quest'anno, guardando praticamente tutte le partite, molte delle quali anche in sua presenza. Avrei abusato anche della pazienza dei lettori di questo blog, se ci fossero, dato che sull'argomento ho scritto forse anche troppo. Ma visto che fino a prova contraria questa è ancora casa mia, e che i lettori appunto non ci sono, devo scrivere coerentemente ancora un pensiero (e non può essere nemmeno l'ultimo) sul Mondiale in corso in Sudafrica.




lunedì 7 giugno 2010
Mondiali 2010 (2)

sabato 5 giugno 2010
Mondiali 2010 (1)

domenica 21 febbraio 2010
Sanremo 2010 ed il principe di sta fava..
« Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. » |
mercoledì 27 gennaio 2010
27 gennaio
mercoledì 23 dicembre 2009
Riflessione sulla casta politica italiana.
martedì 22 settembre 2009
H1N1: ovvero gli uccelli che temono i suini
Esistono innegabilmente due temi di straordinaria attualità in Italia – e mi si perdoni se la mia è sempre una visione italocentrica: Berlusconi e l’influenza A (quella che un tempo si definiva “suina”). Tralasciando chi si augura che i due temi possano un giorno coincidere, in questo breve editoriale mi occuperò del secondo.
Quando si parla di questa straordinaria pandemia, del virus H1N1, le posizioni solitamente divergono – da una parte vi sono quei catastrofisti, moderni uccelli del malaugurio, a sentire i quali pare che il 2009 sarà il nuovo 1348; dall’altra quelli che sbuffano ad un’allarmistica campagna di pseudo-informazione (dal punto di vista loro, s’intende. Come biasimarli d’altronde? Sono tutti sopravvissuti alla mucca pazza, dovrebbero temere un maiale?). A sostegno dei primi è arrivata la prima vittima (l’ho scritto che sono uccelli del malaugurio) – pace all’anima sua – una donna di Messina di 46 anni. Il virus si era abbuffato del suo corpo ammalato di broncopolmonite, si era detto in un primo momento, ma la notizia è stata ben presto smentita dalla sorella. “Mia sorella era sana, non aveva la broncopolmonite”, e c’è da crederle. Ma come? Ma il virus non era innocuo, quanto una normale influenza? Rezza e Fazio (rispettivamente membro dell’istituto superiore di sanità e vice-ministro della sanità) confermano: “la donna di Messina è la prima vittima in Italia del virus H1N1”. Alla faccia! Una donna sana, uccisa da una nuova malattia: forse hanno ragione gli uccelli del malaugurio, a temere la suina.
Adriana Sciglio, sostituto procuratore di Messina, probabilmente fa parte del secondo gruppo: quello degli scettici. Sua è infatti la firma al provvedimento che prevede 20 avvisi di garanzia, per altrettanti medici che hanno avuto in cura la donna messinese. Saranno le forze dell’ordine a stabilire se si tratta di un caso di mal sanità – ma d’altronde chi di noi, leggendo dei morti durante l’intervento di appendicectomia negli ospedali del sud (Massimiliano d’Orta e Giuseppe Francolini sono due nomi ad esempio, che lancio a chi vuole approfondire), ha considerato l’appendicite mortale? -.
Poco m’importa star lì a discutere, come si è fatto, se la nuova influenza sia più o meno mortale di quella che già conosciamo (http://www.hcmagazine.it/news/politica-sanitaria/i-tassi-di-mortalità-da-virus-h1n1-una-questione-di-numeri.php) – ciò che dobbiamo considerare è che la malattia è di facile contagio, ma che raramente i suoi sintomi degenerano in una patologia grave (e l’accordo della comunità scientifica è su questo punto unanime). A cosa, o meglio a chi, serve l’allarmismo? Citerò solo il titolo di un trafiletto, scritto da Daniela Condorelli su L’Espresso (n.37 anno LV – 17 settembre 2009): “un business che vale 7 miliardi”.
giovedì 10 settembre 2009
L'immortalità di un mediocre

martedì 8 settembre 2009
Arriva Kindle: il futuro della lettura?

Duttilità, praticità e salvezza editoriale, o empietà culturale omicida della poesia?
venerdì 31 ottobre 2008
Riforma (1)

Eppure il decreto Gelmini non parla d’Università, come detto. Lo fa, piuttosto, la legge finanziaria (la 133, proposto dal ministro Tremonti già ad agosto), che specifica nel comma 13 dell’articolo 66, che “il finanziamento ordinario delle università, e’ ridotto di 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per l’anno 2010, di 316 milioni di euro per l’anno 2011, di 417 milioni di euro per l’anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013”. Dei tagli motivati, naturalmente, dall’indisponibilità di fondi, che deriva da un generale malessere economico, ma anche naturalmente da altre scelte politiche del governo (com’è naturale che sia, anche in questo caso siano esse condivisibili o meno).
Dei tagli evidenti, quindi, ma che non sono ancora stati motivati. Quel che ancora non è chiaro (e lo diventerà probabilmente dal lavoro del ministro Gelmini nelle prossime settimane) è se i previsti tagli andranno ad individuare gli sprechi, in una gestione meritocratica della ricerca e dell’Università in genere, o se saranno generalizzati, andando a colpire un settore di per sé già in crisi.
E’ in crisi certo per mancanza di fondi, ma anche per una gestione che è stata errata in passato (con qualsiasi partito al governo). Qualche esempio: l’Università di Bologna ha una sede distaccata a Buenos Aires (che qualcuno ha messo ironicamente all’asta su ebay), alla Sapienza di Roma si sono spesi 223.200 euro per ridisegnare un logo, ed i casi di spese inutili, a carico dello Stato, potrebbero essere certamente più numerosi. Sono dati oggettivamente condivisibili e condivisi: sorprende, quindi, che i tagli siano così osteggiati, in quanto in realtà potrebbero, dalla vera e propria riforma dell’Università (che ancora non è stata presentata), essere indirizzati alla diminuzione dei suddetti sprechi, senza oneri per chi garantisce un servizio di studio e ricerca qualificato. Non vedo, quindi, il senso di una protesta per un provvedimento ancora non attuato, in un movimento che sfocia quindi nella strumentalizzazione ideologia più bieca o nella disinformazione.