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lunedì 26 settembre 2011
Addio Sergio Bonelli, e grazie di tutto
Guardo la mia collezione di Dylan Dog. Quante emozioni. Chi non legge fumetti, chi non è cresciuto accompagnato dalle sensazioni che un foglio bianco riempito di china può dare, forse faticherà a capire la mia commozione. Non c'è nulla di infantile in un fumetto. Non c'è nulla di assurdo nell'essere dispiaciuti, ora.
Sergio Bonelli si è spento oggi, dopo breve malattia, ed il mondo della cultura italiana è più vuoto. Nato nel 1932, fu sceneggiatore ed editore di fumetti. Il padre Gian Luigi ideò il personaggio di Tex Willer, celebre in tutto il mondo, e Sergio fu il primo a sostituirlo alla sceneggiatura.
Diciamolo: la Sergio Bonelli Editore è stata, ed è ancora, un vanto italiano. Un vanto certo marchiato dal genio di sceneggiatori ed artisti, ma che alle spalle ha sempre avuto la protezione di un mecenate, di un uomo che – lo hanno detto in molti – è cresciuto per il fumetto, ed ha amato ciò per cui è vissuto.
Si moltiplicheranno, oggi, gli attestati di stima, i ricordi di chi lo ha conosciuto. Non sono fra loro, sia chiaro. La mia è solo la commozione di chi è stato preso per mano, e si è lasciato accompagnare nella fabbrica dei sogni (questa la definizione, mi pare giustissima, che viene data alla Sergio Bonelli Editore nel suo sito ufficiale). Ora resta il suo insegnamento, che verrà ereditato dal figlio. E restano i personaggi che ha creato, o su cui ha creduto: Tex, appunto Dylan, Martin Mystere, Zagor, Mister No, Nathan Never, Julia, Dampyr, Demian, Napoleone, Magico Vento, eccetera eccetera. Non sono pezzi di carta, sono davvero prodotti di quella fabbrica. Sono sogni.
Per chi è cresciuto con questi fumetti, Sergio Bonelli è sempre stato come un secondo padre. Pare la retorica del necrologio, e forse un po' di esagerazione mi sfugge. Parole più concrete verranno scritte domani sui giornali; le ritroveremo poi nei libri che inevitabilmente daranno a Sergio Bonelli un posto di privilegio fra i personaggi della cultura italiana. Questi pensieri non sono altro che il ricordo commosso di un sognatore. Ed un modesto ringraziamento. «Adios, y suerte», come direbbe Tex.
Questo articolo, che ho scritto io, è anche qui: http://www.larotaliana.it/rubriche/arte-e-cultura/item/1270-addio-sergio-bonelli-e-grazie-di-tutto.html
Sergio Bonelli si è spento oggi, dopo breve malattia, ed il mondo della cultura italiana è più vuoto. Nato nel 1932, fu sceneggiatore ed editore di fumetti. Il padre Gian Luigi ideò il personaggio di Tex Willer, celebre in tutto il mondo, e Sergio fu il primo a sostituirlo alla sceneggiatura.
Diciamolo: la Sergio Bonelli Editore è stata, ed è ancora, un vanto italiano. Un vanto certo marchiato dal genio di sceneggiatori ed artisti, ma che alle spalle ha sempre avuto la protezione di un mecenate, di un uomo che – lo hanno detto in molti – è cresciuto per il fumetto, ed ha amato ciò per cui è vissuto.
Si moltiplicheranno, oggi, gli attestati di stima, i ricordi di chi lo ha conosciuto. Non sono fra loro, sia chiaro. La mia è solo la commozione di chi è stato preso per mano, e si è lasciato accompagnare nella fabbrica dei sogni (questa la definizione, mi pare giustissima, che viene data alla Sergio Bonelli Editore nel suo sito ufficiale). Ora resta il suo insegnamento, che verrà ereditato dal figlio. E restano i personaggi che ha creato, o su cui ha creduto: Tex, appunto Dylan, Martin Mystere, Zagor, Mister No, Nathan Never, Julia, Dampyr, Demian, Napoleone, Magico Vento, eccetera eccetera. Non sono pezzi di carta, sono davvero prodotti di quella fabbrica. Sono sogni.
Per chi è cresciuto con questi fumetti, Sergio Bonelli è sempre stato come un secondo padre. Pare la retorica del necrologio, e forse un po' di esagerazione mi sfugge. Parole più concrete verranno scritte domani sui giornali; le ritroveremo poi nei libri che inevitabilmente daranno a Sergio Bonelli un posto di privilegio fra i personaggi della cultura italiana. Questi pensieri non sono altro che il ricordo commosso di un sognatore. Ed un modesto ringraziamento. «Adios, y suerte», come direbbe Tex.
Questo articolo, che ho scritto io, è anche qui: http://www.larotaliana.it/rubriche/arte-e-cultura/item/1270-addio-sergio-bonelli-e-grazie-di-tutto.html
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lunedì 7 febbraio 2011
Gary Moore
"Ma dobbiamo correre al Main Stage, dove ci godiamo per intero l'esibizione di Gary Moore. Il chitarrista è forse fra i più sottovalutati degli déi delle sei-corde: anche al Victoria Park è fautore di un'esibizione emozionante, tecnicamente ineccepibile, ma che unisce la potenza del rock al gusto del blues, senza mai annoiare. Attraverso classici come Over The Hill and Far Away, Thunder Rising o Out in The Fields, più qualche improvvisazione e dei pezzi nuovi che non stonano affatto, l'irlandese si diverte e sa divertire."
Questo scrivevo qualche mese fa, un commento inserito in un report più lungo: preso da solo sembra forse un po' troppo freddo. Non ero riuscito, o meglio: nemmeno avevo provato, a condensare in parole la felicità che avevo provato, sentendo le note di Gary. Ero come un bambino al Luna Park: non trovo metafora migliore.
Gary Moore se ne è andato ieri, e dire che fosse troppo giovane non è solo una banalità (né un dato anagrafico). Ci pensavo qualche mese fa, alla notizia della morte di José Saramago (che eppure era più anziano). Quando se ne vanno persone di questo spessore artistico, con talenti così straordinari, ciò che spiace davvero è che non potranno più donarci nulla. Gary aveva in uscita due dischi, uno celtic rock ed uno blues, e credo che la casa discografica non si lascerà perdere l'occasione di darli alle stampe, postumi al suo creatore. Giusto così: le sue note come epitaffio che lo renderanno immortale.
Il giovane Holden, attraverso la penna di Salinger (anche lui ci ha lasciati un anno fa!), ragionava sui libri, e pensava: "Quelli che mi lasciano davvero senza fiato sono i libri che quando li hai finiti e tutto quello che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira". Ecco: questo pensiero, geniale nella sua semplicità, è quello che mi nasce spontaneo anche con certa Musica. Quelle note che ti entrano dentro, migliorano la tua giornata, ti fanno crescere, sono semplicemente il sottofondo della tua vita. Ecco perché colpisce tanto la morte di persone come Gary Moore (o lo scorso anno Ronnie James Dio), perché li credi come amici per la pelle, anche se non li hai mai conosciuti (e magari se l'avessi fatto, ti sarebbero anche stati sulle balle). Perché sei cresciuto con la voglia di prendere il telefono, e chiedere: 'perché proprio quella nota? dove l'hai trovata? perché non ci riesco io?'; oppure chiamare ancora, e dire semplicemente 'grazie'.
E' stupido, lo so. Ma è il potere della Musica, quella forza misteriosa che non posso spiegare con un intervento su un blog, né potrei con miliardi di altre parole. Quella forza che ti fa voler cambiare il Mondo, ti fa venir voglia di amare, di odiare, di gridare, di correre, di saltare. Che cambia il gusto della vita. Gary Moore, e non sono ipocrita, ha davvero dato una sfumatura diversa alle mie giornate.
A volte credi che certe persone non possano morire mai, che potrai pagare un biglietto e vederli sorridere su quel palco, quando ti va. Loro, come una chitarra, che marcisce col tempo che passa, ma continua a suonare. Le dita di Gary si muovono ancora, ogni volta che premo 'play'. Ed è comunque la consolazione più grande.
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domenica 6 febbraio 2011
Still got the Blues
Sono scosso: è morto Gary Moore. O almeno, questa è la notizia che sta circolando per il web da qualche minuto.
Sarà che l'ho visto a Londra, sarà che cerco anche di suonare la chitarra, sarà che sono particolarmente sensibile alla Musica.. ma.. son davvero dispiaciuto! Quasi lo conoscessi di persona.
Anche questo è il potere della Musica. Sì, dovrei scrivere altro. Ma devo trovare le parole giuste. I still got the blues.
Sarà che l'ho visto a Londra, sarà che cerco anche di suonare la chitarra, sarà che sono particolarmente sensibile alla Musica.. ma.. son davvero dispiaciuto! Quasi lo conoscessi di persona.
Anche questo è il potere della Musica. Sì, dovrei scrivere altro. Ma devo trovare le parole giuste. I still got the blues.
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mercoledì 18 agosto 2010
La morte di Cossiga
All'età di 82 anni, si è spento ieri Francesco Cossiga, uno fra i maggiori protagonisti dell'Italia repubblicana. Non è facile darne un giudizio, scevro di simpatie o antipatie politiche, soprattutto se si vuole cancellare quel velo di omertà, reticenze e mistero che circonda molti dei nomi della Prima Repubblica. Ma che lo sia stato nel bene o nel male, Cossiga fu davvero protagonista, legando inequivocabilmente il suo nome a quello della storia. Occorrerà certo ancora del tempo prima che di lui si possa avere un ritratto più preciso, più veritiero delle lodi - più o meno demagogiche - del giorno dopo la morte. Fu provocatore, talvolta intelligente e talvolta certamente meno (come quando propose a Berlusconi di infiltrare agenti provocatori nei cortei degli studenti, affinché questi perdessero il controllo, e potessero poi essere puniti con la violenza), tanto che ad un certo punto si diffuse la voce che fosse matto. Lo ricorda Paolo Guzzanti su Il Corriere: "Questo è ciò che scrissero alcuni. Ma Cossiga, posso garantirlo, s'era solo fatto furbo". Furbizia: ecco un'altra delle caratteristiche di Cossiga, forse una dote, forse persino un difetto. Cossiga il politico, Cossiga il teologo, Cossiga il massone, Cossiga che si porta nella tomba forse troppi segreti sugli anni di Piombo (anche sul caso Moro). No: non è facile darne un giudizio. Ma se qualcuno lo deve fare, lasciate che siano gli storici e non i politici. O continueremo sulla linea dei segreti e delle mitizzazioni, che già tanto male hanno fatto alla cultura del nostro Paese.
venerdì 18 giugno 2010
Addio a Josè Saramago
dalla Fondaçao José Saramago:
dal sito dell'Einaudi:

"C'è chi passa tutta la vita a leggere senza mai riuscire ad andare al di là della lettura, restano appiccicati alla pagina, non percepiscono che le parole sono soltanto delle pietre messe di traverso nella corrente di un fiume, sono lí solo per farci arrivare all'altra sponda, quella che conta è l'altra sponda." Josè Saramago, La caverna, Torino: Einaudi, 2000

"C'è chi passa tutta la vita a leggere senza mai riuscire ad andare al di là della lettura, restano appiccicati alla pagina, non percepiscono che le parole sono soltanto delle pietre messe di traverso nella corrente di un fiume, sono lí solo per farci arrivare all'altra sponda, quella che conta è l'altra sponda." Josè Saramago, La caverna, Torino: Einaudi, 2000
José Saramago se ne è andato. Resta la sua arte, i suoi libri, uno dei quali - per puro caso - ho recentemente recensito. Quando se ne va un uomo che tanto ha donato all'umanità, si sente come un vuoto. Il vuoto di tutto ciò che ancora ci avrebbe potuto dare, la mancanza di quelle parole che avrebbe, solo lui, saputo trovare. Beh - lo si capisce dall'ironia dei suoi libri - lui avrebbe scherzato anche sulla sua partenza. Lo avrebbe fatto con la sua superlativa intelligenza.
Grazie José, continueremo a leggerti.
Scrittore portoghese, Josè Saramago era nato il 16 novembre 1922. Aveva vinto il premio Nobel nel 1998. Fra i suoi capolavori, Cecità del 1995.
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lunedì 17 maggio 2010
Se n'è andato Ronnie James Dio..
Ronnie James Dio è stato una delle più importanti voci, non dell’hard rock, non dell’heavy metal, ma di tutta la musica contemporanea. Con i Rainbow, i Black Sabbath e la sua carriera solista ha saputo tessere inni immortali, che sopravviveranno ben oltre alla vita che si è spenta ieri. Resta la sua musica, appunto, ma non può che dispiacere apprendere della sua morte: il Mondo dovrebbe fermarsi e sentirsi grato di averlo potuto conoscere. Invece nei siti dei quotidiani italiani la notizia non sembra nemmeno citata; sul sito de La Stampa campeggia la foto dei Dari, con cui oggi si potrà chattare. Chi se ne frega, in fondo, è solo una sterile polemica per sottolineare quanto l’opinione pubblica sia ingiusta: Ronnie James Dio rimarrà un’icona per molti, altri non lo conosceranno mai. Ma chiunque vorrà ascoltarlo, ancora oggi, in tutta coscienza non potrà rimanerne indifferente.
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giovedì 10 settembre 2009
L'immortalità di un mediocre

Si dice "anno bisesto, anno funesto", peccato che il 2009 bisestile non sia (lo era il 2008), ed in quanto al "funesto" ognuno giudicherà per sé.
Ciò che la morte di Mike Bongiorno ha rappresentato, l'altroieri, senza false retoriche è comunque la fine di un'epoca della storia della televisione. Fa sensazione che avvenga dopo quella di Michael Jackson e di Les Paul (fine di epoche musicali, si potrebbe dire, tanto furono miti loro nel pop e nel blues), o di Mino Reitano (sempre musica, ma italiana), Tulio Kezich, Candido Cannavò, Giorgio Mondadori, Ted Kenendy e Fernanda Pivano (di quest'ultima, lo ammetto, mi rammarico particolarmente). Per chi, come me, ha passato ore dell'infanzia giocando a FIFA, anche la morte di Giacomo Bulgarelli può definirsi epocale (mi rendo conto che semplifico ironicamente la vita d'un uomo, così scrivendo).
Il 2009 sembra si sia candidato a fare da spartiacque fra il passato ed il presente; c'è chi ne gioisce cinicamente, e chi abbozza un qualche dispiacere nostalgico. A dire il vero che esista la morte non è novità di quest'anno, e fra tutte sono state proprio quelle di Jackson e Bongiorno ad aver fatto scalpore sull'opinione pubblica. -Ma come, non esiste l'immortalità nemmeno per loro? -, sembra ci si chieda.
Sono queste morti che non possono comunque lasciare del tutto indifferenti, se non si confonde il cinismo con l'ignavia. Perché Mike Bongiorno era innanzitutto un'istituzione simbolica della società italiana. Indubbiamente criticabile, come ogni istituzione, ma sarebbe poco oggettivo non definirlo come tale. Ha detto il critico televisivo Aldo Grasso: -L'Italia è stata unificata linguisticamente da "Lascia o Raddoppia"-. Pare una delle tante esagerazioni encomiastiche che si susseguono in questi casi, ed invece c'è del vero. E' scientificamente accertato che è proprio il mondo mediatico ad aver creato un nuovo standard linguistico, un'unificazione che esce dall'astratto dell'uso letterario dei libri, combatte la settorialità diatopica dei dialetti e si pone come modello. Francesco Sabatini, fra i più celebri linguisti italiani, da presidente dell'Accademia della Crusca disse a Mike Bongiorno: -lei ha insegnato l'italiano agli italiani-.
Sicuramente ha comportato un impoverimento linguistico, come già osservava nel suo celebre "Fenomenologia di Mike Bongiorno" Umberto Eco, attraverso un trionfo della mediocrità. - Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi- scrisse Eco. Lo stesso Paolo Villaggio (che attenzione: ha interpretato Fantozzi, ma non è un Fantozzi), in un'intervista ad Adnkronos rifiuta d'unirsi al cordoglio per Bongiorno: - non posso non dire che adattare quella cultura all'italiano medio, fu uno di quegli eventi che hanno contribuito all'abbassamento culturale del nostro paese-.
Un modello insomma di non perfezione, in cui è evidente la "mediocrità", nel suo carattere di gaffeur più o meno volontario. Una visione a cui però si oppone ancora Sabatini, che preferisce sostituire il termine "semplice" al mediocre di Eco e Villaggio. E' d'accordo Angelo Guglielmi, critico letterario e dirigente televisivo, che sulle pagine de La Stampa afferma: - Era sostanzialmente, allo stesso tempo, un grande professionista e un uomo di un'ingenuità incredibile, ma proprio in questa sua sincerità pensava di fare, e in certo modo faceva, un'operazione di valenza culturale -.
Il modello linguistico di Mike, nella sua semplicità, unita al nozionismo da quiz, non è forse oggi più accettabile. A fronte di questa standardizzazione bassa, oggi si dovrebbe cercare un accrescimento culturale e linguistico superiore, che tenga il passo con il generale miglioramento dell'istruzione, della cultura e della società italiana. Ma è altrettanto sbagliato studiare il passato con un modello odierno: ai tempi di "Lascia o Raddoppia" ci si trovava nel Dopoguerra, con un'Italia in gran parte analfabeta, che aveva bisogno di una semplificazione di uno standard linguistico letterario, che reclamava la vita di una lingua in realtà morta. Di vivo c'erano solo i dialetti: la Rai, e Bongiorno in primis, hanno così contribuito alla creazione di una lingua che unificasse l'Italia, un secolo dopo l'unificazione politica.
Insomma, al di là della morte fisica, il "modello Bongiorno" preso sic et simpliciter credo sia antiquato da tempo. Il mondo televisivo dovrebbe oggi ricercare un accrescimento culturale, non accontentarsi di quella mediocrità, che un tempo era la soluzione alla completa assenza di competenze linguistiche e di pensiero. Ora si dovrebbe offire un palinsesto che stimoli l'interesse culturale e la capacità critica. Si punta invece su ciò che è evasione, ignoranza ed immediatezza: salvo rare eccezioni, la tendenza è ad offrire un prodotto che sia commerciabile, che plasmi la mente umana alle tentazioni pubblicitarie innanzitutto. Il modello di un sistema televisivo che si fa pedagogico idealmente rimane ancora attuale, o meglio auspicabile. E' una riflessione che intellettualmente andrebbe fatta, ma che si scontra poi con gli interessi di chi possiede o finanzia il mezzo televisivo. Oggi più che nel passato.
Tornando alla morte di Mike Bongiorno, il dilemma morale che sorge, al di là del giudizio sulla persona, è un altro: vale la pena spendere tonnellate di parole, pensieri o ricordi per una persona, mentre un "qualsiasi signor chiunque" in questo preciso istante sta soffrendo, piangendo o morendo?
Effettivamente parrebbe non giusto: ma la disuguaglianza della vita è anche la disuguaglianza della morte. Esistono uomini che riescono a vincere il tempo, a rimanere immortali per ciò che hanno fatto. Per loro merito, demerito o solo per sorte o contingenza.
Non sarà stato un Aristotele, un Darwin o un Virgilio, ma Mike Bongiorno rientra, volenti o nolenti, in quella categoria di persone che vivono per sempre.
Nella consapevolezza che la riflessione e le parole di commento non sono sempre sinonimo di ipocrita cordoglio.
mercoledì 19 agosto 2009
Lutto nel mondo della cultura

MILANO - È morta all'età di 92 anni la scrittrice e giornalista Fernanda Pivano. A lei, nata a Genova nel 1917 ma trasferitasi presto a Torino con la famiglia, si deve la conoscenza in Italia dei grandi autori della letteratura americana. Da Edgar Lee Masters a Hemingway, dai poeti e gli scrittori della «beat generation» a Bob Dylan, i più grandi e rappresentativi autori della nuova America sono stati portati ai lettori italiani dalla sua capacità di interpretare, capire, raccontare e descrivere un mondo ancora sconosciuto al pubblico italiano. Di quasi tutti questi autori, Fernanda Pivano è diventata amica e confidente, riuscendo a trasferire nelle versioni italiane delle loro opere, lo spirito più vicino possibile a quello dell'originale. Scrittrice e anche giornalista, è stata a lungo collaboratrice del Corriere della Sera, cui ha regalato interventi e scritti di grande. Il suo ultimo testo scritto per il Corriere in occasione del suo 92 esimo compleanno, il 18 luglio scorso, era una nostalgica ma anche serena riflessione sulla vecchiaia con tanti ricordi degli scrittori conosciuti nella sua vita. La Pivano si è spenta martedì sera in una clinica privata di Milano, dove era ricoverata da tempo. I funerali si svolgeranno probabilmente venerdì prossimo, a Genova. «È stata una protagonista della cultura italiana» ha scritto il capo dello Stato Giorgio Napolitano in un messaggio di cordoglio alla famiglia.
http://video.corriere.it?v
MILANO - "I miei adorati scrittori americani mi accompagnavano durante la guerra facendomi coraggio con le loro storie". E lei, Fernanda Pivano, la compagna italiana degli scrittori americani, si è spenta in una clinica privata di Milano, un mese dopo il suo novantaduesimo compleanno.
Scrittrice, giornalista, traduttrice e critica, nasce a Genova il 18 luglio 1917. A ventiquattro anni - e in piena seconda guerra mondiale - si laurea in Lettere con una tesi in letteratura americana su Moby Dick. Il capolavoro di Melville è la chiave che le apre la porta sul mondo della grande letteratura made in Usa. Nel 1943, pubblica la prima parziale traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Il suo mentore è Cesare Pavese, già suo professore al liceo D'Azeglio di Torino e il primo di una serie di incontri fondamentali, tra cui quello con il marito, il grande architetto e designer Ettore Sottsass. L'incontro del 1948, a Cortina, è con Ernest Hemingway. Nasce un rapporto di amicizia e di lavoro. Nel 1949, Mondadori manda in stampa la traduzione di Addio alle armi. La Pivano sarà la maggiore curatrice delle opere dell'autore de Il vecchio e il mare.
Il primo viaggio negli Stati Uniti è del 1956. Al suo ritorno, porterà in Italia la poetica, le pagine di letteratura e di vita della beat generation. Di Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti e poi William Burroughs. La prefazione a Sulla strada di un certo Jack Kerouac è sua. Negli anni successivi, traduce Allen Ginsberg, ma anche Bob Dylan. Il suo approccio alla letteratura non conosce steccati. Di Fabrizio De Andrè dirà, prima di altri, "è il più grande poeta italiano del Novecento".
Scrittrice, giornalista, traduttrice e critica, nasce a Genova il 18 luglio 1917. A ventiquattro anni - e in piena seconda guerra mondiale - si laurea in Lettere con una tesi in letteratura americana su Moby Dick. Il capolavoro di Melville è la chiave che le apre la porta sul mondo della grande letteratura made in Usa. Nel 1943, pubblica la prima parziale traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Il suo mentore è Cesare Pavese, già suo professore al liceo D'Azeglio di Torino e il primo di una serie di incontri fondamentali, tra cui quello con il marito, il grande architetto e designer Ettore Sottsass. L'incontro del 1948, a Cortina, è con Ernest Hemingway. Nasce un rapporto di amicizia e di lavoro. Nel 1949, Mondadori manda in stampa la traduzione di Addio alle armi. La Pivano sarà la maggiore curatrice delle opere dell'autore de Il vecchio e il mare.
Il primo viaggio negli Stati Uniti è del 1956. Al suo ritorno, porterà in Italia la poetica, le pagine di letteratura e di vita della beat generation. Di Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti e poi William Burroughs. La prefazione a Sulla strada di un certo Jack Kerouac è sua. Negli anni successivi, traduce Allen Ginsberg, ma anche Bob Dylan. Il suo approccio alla letteratura non conosce steccati. Di Fabrizio De Andrè dirà, prima di altri, "è il più grande poeta italiano del Novecento".
Intanto, inizia a raccogliere i ricordi dei grandi che ha incontrato: Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Dorothy Parker, William Faulkner. Tutti protagonisti del suo libro I mostri degli anni Venti, del 1976. Seguono l'intervista a Charles Bukowski, Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle e una fondamentale biografia di Hemingway.
I suoi Diari (1917-1973), pubblicati da Bompiani, sono una messe di aneddoti ed episodi tratti da una vita straordinaria. Negli ultimi anni, la Pivano continua a promuovere e a riconoscere il talento dei nuovi narratori d'America: Bret Easton Ellis, Chuck Palahniuk, David Foster Wallace. Il suo amore per la musica la porta a partecipare al video di Luciano Ligabue,Almeno credo, e a partecipare alla realizzazione del disco di Morgan omaggio-remake a De Andrè, Non al denaro, non all'amore né al cielo.
I funerali si svolgeranno venerdì a Genova, nella basilica dell'Assunta in Carignano. La stessa dove si celebro, dieci anni fa, l'addio all'amico poeta De Andrè.
I suoi Diari (1917-1973), pubblicati da Bompiani, sono una messe di aneddoti ed episodi tratti da una vita straordinaria. Negli ultimi anni, la Pivano continua a promuovere e a riconoscere il talento dei nuovi narratori d'America: Bret Easton Ellis, Chuck Palahniuk, David Foster Wallace. Il suo amore per la musica la porta a partecipare al video di Luciano Ligabue,Almeno credo, e a partecipare alla realizzazione del disco di Morgan omaggio-remake a De Andrè, Non al denaro, non all'amore né al cielo.
I funerali si svolgeranno venerdì a Genova, nella basilica dell'Assunta in Carignano. La stessa dove si celebro, dieci anni fa, l'addio all'amico poeta De Andrè.
(18 agosto 2009)
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