lunedì 26 settembre 2011

[REC] Philip Roth, Everyman


Un libro non è mai solo dello scrittore; è anche – e forse persino più – di chi lo legge. Come quando eravamo bambini e nostra madre ci raccontava le fiabe. Non erano le parole ad interessarci, ma le immagini che vedevamo chiudendo gli occhi. E così evaporavamo anche noi, diventando un tutt'uno coi sogni, fino ad addormentarci. Questa dimensione del leggere (o, sì, dell'ascoltare qualcuno che legge) si sta forse perdendo sempre più. In genere, più diventiamo razionali, e più perdiamo la capacità di lasciarci avvolgere dall'istinto della fantasia. Ma, a ragion veduta, questa capacità umana non si perde mai del tutto. Leggere un libro non è mai un'esperienza passiva; si interagisce sempre col testo, lo si rende vivo nel riflesso del proprio sentimento, e nelle esperienze personali.
Naturalmente anche lo scrittore ci mette del suo, in ciò che scrive. Ci sono professionisti che hanno un ottimo gusto nel mentire, e riescono a farti credere che ciò di cui scrivono è sola finzione. Che la fantasia sia finzione. Ma no! La fantasia è solo la realtà che passa attraverso Photoshop. Più o meno evidente, c'è sempre un po' dello scrittore in ciò che scrive: sia anche solo un ricordo, sia solo il riciclo di qualcosa che ha letto, sia solo la capacità di mettere un aggettivo al posto giusto, ed al momento giusto.
E poi ci sono quei libri che sono evidenti biografie. Magari parlano d'altro, di tutt'altro. Parlano di vite inventate, come quella del protagonista in Everyman. Ma saresti sciocco nel non vederci dentro l'autore.
Philip Roth è un genio della letteratura contemporanea, credo di averlo già scritto più volte nelle mie modeste recensioni. Ma ormai è vecchio. Lo sa, uno scrittore non si può mentire. Sa che questo suo bellissimo viaggio presto finirà. Serve a poco augurarsi – oh, quanto me lo auguro! - che quella fine arrivi più tardi ancora del più tardi possibile. Arriverà. E chi ama la vita non può che rimanerne sconvolto. Il senso dietro ad Everyman è questo: l'immenso sconvolgente realismo di un uomo che assapora la caducità della sua vita. Di tutte le vite.
Forse le pagine più belle del romanzo sono quelle che vedono il protagonista, sempre alle prese con la sua cartella clinica, trovarsi cinicamente ad odiare il fratello. Quel fratello che aveva sempre amato; quel fratello che sempre gli era stato accanto anche nei momenti difficili (come forse solo la figlia Nancy era riuscita in meglio). Eppure d'improvviso si era trovato ad essere logoro d'invidia, e sì: davvero ad odiarlo. Non per i successi di Howie (eccone il nome), non per la sua ricchezza, non per la sua fortuna di viaggiare il mondo. Nulla di tutto ciò: “odiava Howie per quella dote biologica che avrebbe dovuto essere anche sua”. Eccone, fantastica nella sua semplicità, la meravigliosa descrizione della natura umana. Forse cinica. Forse spietata. Ma straordinariamente realistica. Un uomo, che potrebbe essere qualsiasi uomo (everyman), che si trova a lottare contro le malattie di un corpo caduco. E che non riesce a resistere nel detestare chi, per qualche mistero della natura, non ne sembra affetto.
Non è un libro facile, questo di Roth. Bello, davvero bello, ma non facile. Perché ti porta a fare i conti con la grande paura dell'uomo, quel precipizio dove dovrai lasciarti andare prima o poi. Ecco perché, per la prima volta credo per Roth, non ne consiglio a priori la lettura. Il mio discorso è paradossale, perché ho adorato ogni pagina di questo libro. Ma non è stato facile fare i conti con questa enorme verità, che è la nostra caducità. Lo sappiamo, lo sappiamo tutti benissimo. Ma guardare negli occhi la realtà, non è affatto facile.
Eppure è un insegnamento. Ecco allora che ritorno alla premessa di questa mia recensione: forse davvero Everyman è un libro in cui ognuno di noi si può riflettere, e che può essere vissuto in maniera differente in base al proprio carattere, o al momento in cui ci si trova a leggerlo. Per un ragazzo può essere lo stimolo per rendersi conto che nulla, mai, andrebbe sprecato. Per un ipocondriaco – un po', lo ammetto, lo sono – può essere una lettura difficile, paurosa. Per un anziano, ahimè, la razionalizzazione dei suoi sconforti e delle sue paure. Come è stato, ne sono certo, per lo scrittore.

PHILIP ROTH, Everyman, Torino: Einaudi, 2007 (ed. or © P.Roth 2006)
€10 (settembre 2011), 123 pagine.


Addio Sergio Bonelli, e grazie di tutto

Guardo la mia collezione di Dylan Dog. Quante emozioni. Chi non legge fumetti, chi non è cresciuto accompagnato dalle sensazioni che un foglio bianco riempito di china può dare, forse faticherà a capire la mia commozione. Non c'è nulla di infantile in un fumetto. Non c'è nulla di assurdo nell'essere dispiaciuti, ora.

Sergio Bonelli si è spento oggi, dopo breve malattia, ed il mondo della cultura italiana è più vuoto. Nato nel 1932, fu sceneggiatore ed editore di fumetti. Il padre Gian Luigi ideò il personaggio di Tex Willer, celebre in tutto il mondo, e Sergio fu il primo a sostituirlo alla sceneggiatura.

Diciamolo: la Sergio Bonelli Editore è stata, ed è ancora, un vanto italiano. Un vanto certo marchiato dal genio di sceneggiatori ed artisti, ma che alle spalle ha sempre avuto la protezione di un mecenate, di un uomo che – lo hanno detto in molti – è cresciuto per il fumetto, ed ha amato ciò per cui è vissuto.

Si moltiplicheranno, oggi, gli attestati di stima, i ricordi di chi lo ha conosciuto. Non sono fra loro, sia chiaro. La mia è solo la commozione di chi è stato preso per mano, e si è lasciato accompagnare nella fabbrica dei sogni (questa la definizione, mi pare giustissima, che viene data alla Sergio Bonelli Editore nel suo sito ufficiale). Ora resta il suo insegnamento, che verrà ereditato dal figlio. E restano i personaggi che ha creato, o su cui ha creduto: Tex, appunto Dylan, Martin Mystere, Zagor, Mister No, Nathan Never, Julia, Dampyr, Demian, Napoleone, Magico Vento, eccetera eccetera. Non sono pezzi di carta, sono davvero prodotti di quella fabbrica. Sono sogni.

Per chi è cresciuto con questi fumetti, Sergio Bonelli è sempre stato come un secondo padre. Pare la retorica del necrologio, e forse un po' di esagerazione mi sfugge. Parole più concrete verranno scritte domani sui giornali; le ritroveremo poi nei libri che inevitabilmente daranno a Sergio Bonelli un posto di privilegio fra i personaggi della cultura italiana. Questi pensieri non sono altro che il ricordo commosso di un sognatore. Ed un modesto ringraziamento. «Adios, y suerte», come direbbe Tex.



Questo articolo, che ho scritto io, è anche qui: http://www.larotaliana.it/rubriche/arte-e-cultura/item/1270-addio-sergio-bonelli-e-grazie-di-tutto.html