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lunedì 5 dicembre 2011

La manovra «Salva-Italia»: qualche osservazione

L'Italia è a rischio default. Significa, in pratica, che lo stato in cui viviamo rischia di non poter più reggere dal punto di vista finanziario. Se l'Italia entra in default, trascina ancor più nel baratro della crisi anche l'Europa. L'euro perde valore, l'euro cessa di esistere. Diventa carta straccia, forse non davvero buona solo per accendere il fuoco, perché la potremmo ancora almeno convertire nelle nostre lire. «Che bello, è tornata la lira! È crollata l'Europa!». Probabilmente qualcuno che ieri, nel parlamento della Padania, urlava forte per la secessione, gioirebbe per il crollo dell'Europa e la rinascita dei piccoli stati nazionali (quelli storici, o quelli inventati, a loro poco importa). La realtà è che se l'Europa Unita scomparisse, perderemmo ogni forza politica, e quindi ancor più economica. Saremmo alla mercé di quei conquistadores che, già, nel Vecchio Continente stanno inserendosi per succhiarne la linfa.

Si potrebbe ragionare sul sistema, e di come in realtà siano stati globalizzazione e capitalismo a trascinarci sino a questo punto. È bello – almeno per diversificare il dibattito culturale – che qualche intellettuale, più o meno d'ispirazione marxiana, e più o meno utopista, ancora sia fiero di pensare in questi termini. È uscito proprio quest'anno il nuovo libro dello storico Eric J. Hobsbawm, che ammetto di non aver ancora letto, ma il cui titolo mi sembra comunque già significativo: Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l'eredità del marxismo. È giusta la via suggerita da Hobsbawm, o si tratta soltanto di un percorso fra l'utopia e l'anacronismo? Dovrei leggere quel libro, come da tempo vorrei fare, per poter esprimere la mia opinione.

Per ora mi accontento, quindi, di vedere come stanno le cose, in Italia. Mario Monti si è trovato a prendere le redini di un cavallo già imbizzarrito, tentando di riportarlo al trotto, al costo di rimetterne in prestigio personale. È chiaro che chiunque si veda una mano calata nelle tasche, reagirà con una certa stizza. E più aumenta la povertà, più aumenta anche l'indignazione, diventa vero odio. Per questo serviva un tecnico, non un politico: il politico di professione è ormai ossessionato dalla necessità di dover guadagnare altri voti (al costo di corteggiare un Scilipoti di turno), non può rischiare di perderne con misure impopolari. Un tecnico può accettare anche di essere odiato; un politico, se odiato, s'inventa che è la “parte sbagliata del paese” ad odiarlo, mentre quella vera ancora lo ama. Un ossessione che, oggettivamente, al Paese ha fatto molto male.

La realtà è che comunque la gente non riesce più a sopportare di sentirsi vittima del sistema. Quando qualcuno, dall'alto, aveva promesso demagogicamente di togliere l'Ici, era alla fine risultato il più votato alle elezioni. Il provvedimento non poteva reggere alla realtà dell'economia prossima alla crisi, dove anche i soldi dell'imposta sulla casa erano un minimo di ossigeno in un paese già ammalato, o quanto meno prossimo alla malattia. Togliere un'imposta è facile, e, come detto, porta voti. Quando ti accorgi di pagare meno tasse, allora è difficile che fai caso ai tagli che vengono fatti altrove, magari alla sicurezza, alla salute, alla cultura.

Togliere tasse è facile, dicevo, rimetterle diventa un'impresa. Sono abbastanza convinto che nel 2013 le elezioni verranno vinte da quei politici che prometteranno misure economiche più eque. Una nuova forma di democrazia, che non punta più sulla possibilità che ognuno possa essere rappresentato, ma che ognuno paghi il giusto, e che non vi sia uno spietato sistema oligarchico, in cui a pagare siano sempre gli stessi. In questo senso, Mario Monti ha avuto il merito e l'intelligenza di alcuni passi in avanti. La misura simbolica di rinunciare al proprio stipendio. Quella significativa di tassare beni di lusso, come yacht o aeromobili.

La misura mi è parsa, quindi, come minimo un passo in avanti in alcuni aspetti. Ma rimangono i punti che mi hanno lasciato perplesso. Non sono un economista, non ho nemmeno il barlume delle conoscenze accademiche del professor Monti, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse davvero il senso di un aumento dell'Iva al 23% (anche se a partire dal settembre prossimo). Con l'aumento dei prezzi, indistinto ed acritico, non si riducono anche i consumi? Non si peggiora, così, anche la crisi economica, colpendo soprattutto le piccole aziende, ed i singoli acquirenti?  

sabato 12 novembre 2011

Berlusconi dimesso: la Storia agli occhi dei giovani

Oggi è una giornata storica. Non è mia intenzioni dare valutazioni politiche, né scrivere bugie su quello che sarà il domani. Un domani difficile, di un paese che, anche senza Berlusconi, è sull'orlo della bancarotta. Ma è indubbio che il 12 novembre del 2011 entrerà nei libri di storia.



Dicevo: non voglio dare giudizi – almeno su queste pagine – sul significato politico dell'addio di Berlusconi. Commenti, editoriali, valutazioni più o meno oggettive le leggeremo domani sui giornali, le troviamo già ora su Twitter o negli speciali di Ballarò o La7, le sentiremo per giorni nei bar e sugli autobus. Voglio solo riflettere sul significato emotivo dell'uscita di scena di un personaggio che, sul tetto d'Italia, ha vissuto per quasi diciotto anni.

Noi giovani abbiamo imparato ad avere ricordi sbiaditi della Storia italiana. Un'immagine che ci arriva dai libri e, per gli episodi recenti, dai racconti dei nostri genitori. Noi che eravamo piccoli quando Craxi veniva bersagliato di monetine fuori dall'hotel Raphael, noi che al Parlamento abbiamo sempre visto le stesse facce, alternate a qualche volto nuovo, piombato dal nulla, ma con le stesse idee dei gerarchi di governo ed opposizione. Certo, noi giovani non siamo così sconsiderati dal credere che con Berlusconi scomparirà d'improvviso la vecchia politica, quell'odioso sistema di casta che ben conosciamo. Ma, vedendo questa sera la Storia camminare su un colle di Roma, anche noi ci siamo resi conto di una fantastica verità: nulla è eterno, e tutto può cambiare. Non è la soluzione, ma un buon punto di partenza per il nostro futuro.

mercoledì 22 giugno 2011

Maturità

Ogni anno seguo l'uscita dei titoli dell'esame di maturità, soprattutto per quanto riguarda la prima prova, con un certo interesse. Da un lato perché i responsabili della scelta cercano sempre di stupire, discostandosi dalla prevedibilità e scovando qualche opera minore (spesso comunque di gran pregio). Dall'altra, lo ammetto, anche perché è una grande gioia vivere l'esame di maturità con distacco, come un qualcosa di lontano e di passato.
Di per sé è un discorso che sembra quasi incoerente, visto che proprio oggi ho affrontato un esame in università. Ma non ho un ricordo positivissimo delle scuole superiori, sebbene mi son reso conto che ciò che ho studiato in passato mi è servito poi molto, ed altrettanto molto mi son pentito di ciò che non ho studiato (per la tipica pigrizia adolescenziale). Credo però sinceramente che non vi sia cosa peggiore dello studio di ciò che non si ama; veramente: lo studio può essere, deve essere, un piacere, un otium, la soddisfazione di una curiosità. Quando diventa un obbligo, allora il suo senso si perde nel circolo delle tante costrizioni della vita. Ho vissuto il mio esame di maturità come il climax di questa fase della vita, in cui tutto sembra un obbligo. Certo: anche affrontare l'esame di maturità mi è servito, ma l'ho capito solo col tempo. Allora mi sembrava lo scempio burocratico di un sentimento vampiristico, in cui il peso del dover conseguire un pezzo di carta mi si incollava al collo come una zecca. Quanto avrei voluto essere libero, anche di studiare (ma per mia scelta!), senza quell'ultimo spasmo di obbligatorietà. Mi sentivo già fuori dalla scuola molto, ma molto, tempo prima di esser dichiarato “maturato”. L'esame di maturità è una selva di radici che tentano di legarti ad un passato che, ormai, è già sfumato altrove.

*

Lo ammetto: questo mio commento all'esame di maturità è decisamente esistenzialistico. Forse esagerato nei termini. In effetti l'esame è in qualche modo una prova di vita, che per qualcuno scorre come il dispiego di una formalità, per qualcun altro diventa un ricordo che, più o meno, ritornerà nel corso di tutta l'esistenza (come un fantasma, un incubo). Leggete i giornali in questi giorni, e avrete il vip di turno che vi dirà la stessa cosa. Bene, lasciate che ve lo dica anch'io: l'esame è una prova, e come tale può essere affrontata in mille modi. Sta a voi.
Mi rivolgo direttamente ai maturandi. Il mio consiglio è di prenderla alla leggera, in fondo le vere prove sono altre, e l'esame può essere anche formativo. “Bella forza”, mi risponderebbero questi maturandi “è più facile a dirsi che a farsi!”. Avrebbero assolutamente ragione.

*

L'esame, con il suo orribile nome di 'maturità' (uno Stato retto da immaturi ha pure il coraggio di definirmi più o meno maturo? Vergogna!), cinicamente è proprio questo. Una prova. E cos'è l'esistenza se non un insieme di prove?
Ecco che ritorna questa similitudine abusata, e a cui nemmeno io so rinunciare. Lo scoglio artificiale, burocratico, di un esame, attraverso cui le istituzioni vogliono insegnarci ad affrontare gli scogli della vita. Anche dal punto di vista pedagogico, l'esame è proprio questo; non un metro di giudizio: salvo casi particolari, sappiamo che chi è ammesso all'esame ha già aperte le porte per le università o il mondo del lavoro.

*

Mi son divertito ad immaginarmi la commissione che ha scritto le tracce. Mi son figurato questi barbuti vecchiardi, riuniti intorno ad un tavolo di legno, fra libri e fogli di appunti, che si arrovellano a pensare su cosa proporre ai maturandi. Me li vedo: o tutti zitti sui loro fogli sudati, che non riescono a trovare la traccia adatta (che non sia uscita su internet, mi raccomando!), o che litigano fra loro, perché ognuno vorrebbe che il suo autore prediletto fosse oggetto dei commenti degli studenti. Fra tutti, proprio il tema letterario è quello che deve essere ponderato meglio: deve essere un tema che possa far riflettere, ma non deve essere scontato.
Mi immagino il vecchio professore di turno che, all'improvviso, si alza urlando “CE L'HOOO! UNGARETTI!!”.. e piovono i fischi degli altri professori: Ungaretti, che banalità! Foglie d'autunno, lui che s'illumina d'immenso; tutte cose già sentite, tutti i siti internet lo hanno già previsto; che poi la guerra non è neanche più di moda! Ora bisogna parlare di facebook. Dei reality show! (“Ehilà”, fa uno, “potremmo proporre un titolo su Andy Warhol!”).
“Ma no colleghi” riprende sicuro il primo tale “Proponiamo il commento alla poesia 'Lucca'!!!”. Silenzio generale. I vari professori si gettano sui loro libri. Uno finge un malore. Lucca? Niente foglie sugli alberi? E chi l'ha mai sentita?
“Colleghi, questa è una genialata! Proponiamo una poesia sull'esistenza, nell'esame di maturità!”. Silenzio, qualcuno bisbiglia. Uno urla: “l'ho trovata! È de 'L'Allegria'!”. “Sì certo, una poesia sulla vita, data all'esame di maturità, che è una prova di vita..”, riprende il primo “i sentimenti legati ad una città, che fanno da sfondo ad una riflessione più piena sul senso dell'esistenza. Fino alla morte”. I vari professori si guardano fra loro. Uno inizia ad applaudire. Un altro si accoda. In pochi minuti sembra di essere allo stadio, tutti che applaudono, qualcuno si alza. Standing ovation. Quello che aveva finto il malore si rianima. La traccia è scelta.

*

Domani c'è la seconda prova. Ai miei tempi scelsero una versione di Seneca che persino alcuni latinisti faticarono a tradurre. Miei cari maturandi, se ce la fate, fregatevene altamente! Sono gli ultimi spasmi di cinismo, di un sistema che vi avrà ancora per poco. Poi va beh, lì fuori c'è la vita. E quella è tutta un'altra storia. Chiedetelo ad Ungaretti!

lunedì 13 giugno 2011

I Referendum e la sconfitta del demagogo

Tutto maggio, e questa prima porzione di giugno, ho faticato a trovare il tempo per coltivare quel mio modesto piacere che questo blog rappresenta. I motivi sono i soliti: impegni universitari, a cui si alternano alcune soddisfazioni personali.
Ma ora, seppure con degli esami molto complicati alle porte, non posso evitare di esprimere i miei pensieri su quanto sta avvenendo nel mio Paese.

*

Quando ero molto giovane, ai tempi delle elementari, non capivo bene cosa fosse il Referendum. Avevo più coscienza di cosa fosse il nucleare, se non altro perché nel mio paese, ogni anno, venivano dei ragazzini bielorussi, ospitati per respirare aria pulita, e purificarsi dalle radazioni respirate dopo Černobyl’. Ebbene: l’idea che questi vispi coetanei fossero costretti a venire da noi per avere un’aria pura, che permettesse loro di vivere meglio, mi inquietava e continua ad inquietare oggi. Il nucleare per me era il male assoluto, stigmatizzato anche dalle pagine che avevo letto su Hiroshima e Nagasaki; uno dei classici, incomprensibili, parti di malvagità degli adulti. Ma, come una luce di speranza, come un lieto fine in una fiaba cupa, ecco che la spada del Bene aveva trionfato sul Male. Grazie a questo strumento strano, che gli adulti chiamavano Referendum, la paura di un disastro nucleare sembrava (almeno un poco) più lontana: ero così fiero della scritta COMUNE DENUCLEARIZZATO sotto al cartello del mio paese.

*

Sono cresciuto, ma non ho cambiato la mia idea. Ho qualche coscienza in più, ora so che cos’è il Referendum, e delle centrali nucleari so anche il pericolo rappresentato non solo dalla loro esistenza, ma anche dalle scorie che producono. So che un’energia pulita, ben più efficace di quelle ora conosciute, è possibile, ma solo con un sostegno alla ricerca. Ogni grande momento di progresso nella Storia, leggasi pure ogni ‘rivoluzione industriale’, si è accompagnata ad un cambiamento della fonte di energia. Puntare oggi su una fonte vecchia e pericolosa, avrebbe favorito soltanto chi su questa fonte può lucrare. Un anacronismo, che anche una visione conscia dell'attualità - con Giappone, Germania ed altre nazioni che si avviano ad una de-nuclearizzazione sempre maggiore - può suffragare. È così deprimente che, per render legge un NO AL NUCLEARE, che dovrebbe essere fondamento della storia umana contemporanea, serva ancora un Referendum. È così esaltante che ancora una volta, come a fine anni Ottanta, il popolo italiano si ritrovi, per una volta, UNITO. In un NO AL NUCLEARE, enorme come il quorum fieramente raggiunto.

*

Ma sarebbe stupido commentare un Referendum dimenticando che, appena due settimane fa, ci sono state altre elezioni, che hanno visto una sconfitta generalizzata dei candidati del centro-destra. L'attuale maggioranza parlamentare ha fatto i conti con un'altra maggioranza, quella fatta non di poltroncine romane e sterili polemiche in salotti televisivi, ma di persone che, unite, hanno urlato la loro stanchezza. Il governo, che si arrocca su quelle stesse poltrone, aggrappandosi agli specchi con unghie di mani e piedi, attraverso questi Referendum ha ancora prova di quanto il popolo italiano sia stanco. Berlusconi, ormai privo di ogni contatto con la realtà, aveva chiesto di NON votare. Gli italiani hanno votato. Anche contro quel suo scudo, così personalmente voluto (e che tanto tempo ha rubato agli affari di governo), che gli permetteva di proteggersi con la scusa del legittimo impedimento.
Sarebbe sbagliato leggere il Referendum di questi giorni come un Referendum PRO o CONTRO Berlusconi. Ma trovo pienamente sensato scrivere che Berlusconi, a distanza di poche settimane, ha avuto prova della disaffezione anche dei suoi stessi elettori. È la morte della sua arma più forte, un ribaltamento della demagogia, la sconfitta del suo carisma. Berlusconi è sconfitto, Berlusconi è finito. Anche se cercherà di legarsi al suo ruolo per tutti gli anni che è possibile, ormai è solo l'ultima scoria del passato. E noi siamo quasi come quei bambini bielorussi, abbiamo così tanto bisogno, finalmente, di aria pulita.

domenica 27 marzo 2011

Il pasticcio italiano nella questione libica

Vi siete mai trovati in quella situazione orribile di avere due amici che litigano fra loro? Letteralmente è come essere fra il martello e l'incudine, ascolti uno e ti pare che abbia ragione, poi vai dall'altro e rivedi le tue idee. Se poi prendi le difese di uno, è facile che ti ritrovi a litigare con l'altro. Una situazione in cui si potrebbe uscire esercitando la difficile arte della mediazione, ma non sempre è possibile.
Ecco: la situazione italiana (da leggersi 'del governo italiano'), alla vigilia della guerra in Libia, era questa. Da una parte l'amico Gheddafi, quello che nell'agosto scorso era stato invitato in Italia con tutti gli onori, dall'altra la cosiddetta comunità internazionale, che non poteva restare ferma a guardare il primo massacrare il suo stesso popolo. 
Andiamo con ordine. In un bellissimo libro [1], anche se ha già qualche anno (è del 1998), il geografo Giacomo Corna Pellegrini sottolineava le tre correnti culturali che caratterizzavano il paesaggio libico. Da una parte la Libia colonia italiana, che sopravvive nell'edilizia di stile "fascista", ma anche in elementi culturali "rinforzati recentemente dalla visione delle televisioni italiane". Vi è poi "l'antica tradizione locale, di cui Re Idris era espressione" che, ci dice Corna Pellegrini, "sopravvive nei circoli familiari, nelle campagne, tra le generazioni più vecchie (nelle modalità del vestire, dell'abitare, del rapportarsi tra uomini e donne, vecchi e giovani). La Libia moderna è quella, invece, cui il petrolio ha cambiato volto e cui la dittatura" - sì, che in Libia vi fosse una dittatura, meglio chiarirlo, lo si sapeva ben prima della ribellione di quest'anno - "ha impresso la durezza della repressione d'ogni opposizione politica all'interno". 
Ma il primo elemento per descrivere la nuova Libia, Corna Pellegrini lo trovava proprio nel petrolio. Leggendo questa descrizione, alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, allora torna alla mente ciò che aveva scritto Eduardo Galeano, in occasione di un altro intervento occidentale a favore della democrazia: "Se l'Iraq producesse rape invece che il greggio a chi verrebbe in mente d'invadere Bagdad?"[2] . La reazione di Gheddafi è stato il casus belli, l'occasione che nazioni come la Francia stavano aspettando per ridiscutere la divisione dell'oro nero libico.
Di per sé è un capolavoro di diplomazia, un affare colossale. Certo, basta un minimo d'intelligenza per capire come il petrolio sia un elemento chiave della guerra libica. Ma d'altra parte, l'opinione pubblica, quella che generalmente si schiera contro ogni guerra, comprende che senza l'intervento militare di potenze occidentali il dittatore sarebbe stato libero di soffocare nel sangue le ribellioni del popolo.

Ritorniamo alla metafora dei due amici che litigano fra loro. L'Italia è proprio in questa situazione: è la maggiore importatrice del petrolio libico [3], e per questo motivo non può evitare un intervento, che le permetta di sedere all'eventuale tavolo dei vincitori della guerra. Ma non può nemmeno palesarsi come conquistatrice di un paese con cui ha di recentemente stretto un trattato di amicizia. Trattato in cui, fra l'altro, era esplicitata la promessa di non-attacco reciproco fra Italia e Libia.
Insomma: quello che per gli altri paesi è un capolavoro di diplomazia (la possibilità di intervenire per i propri interessi, con la scusa di proporsi come difensori dell'ordine del mondo), per l'Italia è un gran casino!

La soluzione di Berlusconi è stata in linea con il suo ruolo di magnate televisivo. Ancora una volta è riuscito ad orchestrare una via mediana, in cui ha tentato di cercare definizioni proprie, che gli permettessero di uscire da quest'impiccio. Lo ha fatto parlando a giornali e televisioni, ma decidendo (e probabilmente non è un caso!) di non esporsi a Senato e Camera, dove l'autorizzazione all'intervento in Libia è stata richiesta dai ministri Frattini e La Russa. In pratica, la linea del presidente del consiglio è stata quella di partecipare alla guerra, ma dichiarando che l'Italia non è in guerra (che contraddizione di termini!). Di più: che degli aerei italiani stavano in effetti volando sui cieli libici per collaborare alle operazioni militari, ma che non avrebbero sparato nessun colpo (come se fosse già possibile prevedere in anticipo l'evolversi di un conflitto militare!). Così l'Italia ne esce come la Rosalia dei Malavoglia, ancora "né carne, né pesce", a metà strada fra una scelta e l'altra, senza alcuna forza per imporsi. Un presidente con ancora le terga al vento, che tenta di riallacciarsi i pantaloni, ma non ci riesce.

opere citate / note:
[1] G. C. PELLEGRINI, Il mosaico del mondo. Esperimento di geografia culturale, Roma: Carocci, 1998, pp. 183-184.
[2] cit. in P. BATTISTA, I neopacifisti e il petrolio. Torna il partito di 'chi non se la beve', Il Corriere della Sera, giovedì 24 marzo 2011, p. 3
[3] http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=36895

lunedì 12 luglio 2010

Mondiali (9)




da La Gazzetta del 12 luglio 2010 (intendo il titolo qui sotto, il resto dell'articolo è mio):

Quel dannato polpo ce l'ha fatta di nuovo! Con la vittoria della Spagna, in un Mondiale che è stato ottimo per organizzazione un po' meno per il gioco, il vero protagonista rimane lui: il polpo Paul che supera per fama anche Iniesta (autore del gol vittoria). 
Poco importa che la mia tesi che il polpo scelga sempre la bandiera alla destra non sia stata nuovamente smentita, poco importa che la Spagna fosse effettivamente la favorita secondo la maggior parte (la sua vittoria l'avevo prevista anch'io, seppure mi aspettavo un maggiore scarto di risultato). Il polpo Paul si porta a casa l'invidiabile primato di aver previsto il 100% delle vincenti nelle partite su cui è stato chiamato a pronunciarsi. Così ha superato per fama le vuvuzela, il team BJ (una squadra di pornostar che aveva promesso squallidamente del sesso orale a chiunque le avesse seguite su twitter, in caso di vittoria dell'Olanda), Larissa Riquelme (modella paraguayana, notata sugli spalti, che aveva promesso uno spogliarello in caso di vittoria ai quarti della nazionale del suo paese, salvo poi spogliarsi ugualmente nonostante l'eliminazione della squadra), e tutto quel mondo fra gossip e folklore che si porta dietro il Mondiale.
E l'Africa? Sempre in sottofondo, quasi uno scenario lontano, estraneo a tutto questo. Giustamente estraneo, ogni discorso sul continente nero non dovrebbe equivalere alla frivolezza di una pornostar olandese o di un cefalopode. Però se ne poteva parlare, almeno questo sì. Fame, povertà e guerre, interessi, razzismo, malattie: di argomenti ce ne sarebbero stati, e tutti quanti potevano essere portati all'attenzione mondiale, aprendo quanto meno delle parentesi nel contesto disimpegnato di un evento sportivo. Ogni primo passo per cambiare qualcosa, in fondo, è la formazione di una cultura condivisa, che possa essere il via di un mutamento vero e proprio. Ma si è preferito parlare solo d'un polpo.

giovedì 24 giugno 2010

Mondiali (6)

Marcello Lippi, due Mondiali con l'Italia. LaPresse
Ebbene ce ne andiamo a casa: o meglio, se ne tornano a casa loro. Quegli Azzurri che in qualche modo ci rappresentano, chi più chi meno. Tre palloni in fondo alla rete, la nostra, Marchetti col mal di schiena a forza di raccoglierli. Errori, errori ed errori, ogni minuto dei primi quarantacinque questa parola scandita dalla voce di Fabio Caressa su SKY. La voglia infinita di lanciare qualcosa al televisore, o di spegnerlo definitivamente. C'è stato dell'orgoglio, delle unghie con cui si è r-iniziato finalmente a graffiare; ma solo nell'ultimo quarto d'ora. Lì l'Italia è stata una squadra da Mondiale. Prima, solo l'ombra di ciò che quanto meno ci si dovrebbe aspettare.
Ha fatto bene a prendersi le responsabilità Lippi, in apertura della conferenza stampa. In parte ha ragione. Ma non c'è solo lui, non conta nemmeno indicarlo come capro espiatorio: lui lascerà una panchina calda ad un altro nome (quello di Prandelli), con ancora molti problemi da risolvere.  Ora ci deve riprendere dalla sbornia del 2006, e riniziare a lavorare serenamente.
Ecco uno degli errori del calcio italiano: in tutti gli studi delle televisioni italiane ci sono ancora le facce del 1982, dei signori di mezza età a cui ancora c'è chi chiede consigli su come vincere. Basta: la vittoria del Mondiale dell'82 è lontana, altrettanto anche quella del 2006. Ora c'è il 2010, e tanta vergogna. Trasformiamola in energia positiva.


dal sito della GAZZETTA:
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dal sito del Corriere dello Sport:


dal sito del Bild (GERMANIA):

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dal sito della CNN (USA):
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dal sito de El Pais (Spagna):

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dal sito de L'Equipe (Francia):

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dal sito del Times (Inghilterra):

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IPSE DIXIT:
Lippi: "è tutta colpa mia. Credevo si qualificassero le prime quattro del girone."

lunedì 21 giugno 2010

Mondiali 2010 (5)

ITALIA - NUOVA ZELANDA: 1-1
C'è un atteggiamento tipicamente italiano, quello disfattista, che viene sempre trasportato anche nel giudizio agli Azzurri. Saran certo motivi culturali quelli che portano gli italiani ad essere sia pessimisti, sia severi nei loro giudizi. Oppure più semplicemente una certa abitudine al peggio, in una situazione politico-sociale che toglie generalmente ogni serenità d'opinione.
Per questo motivo, tornando al discorso meno impegnato del calcio (di cui, per motivi già scritti, mi son ripromesso di parlare in questo mese, nel mio blog), non sorprende che la nazionale di calcio sia sempre accompagnato da cori avversi, proprio da quelli che sono probabilmente i suoi tifosi più accaniti. Un odi et amo che ogni commissario tecnico sa, anche se talvolta finge di non sapere, di dover affrontare. Fa parte un po' del gioco.
Generalmente preferisco non accodarmi a questo disfattismo: invito piuttosto alla prudenza, a giudicare non quelle che sono le premesse, ma l'effettività del gioco. Ma ora non posso fingere più. Non posso scrivere che l'Italia ieri ha giocato bene. Non si tratta più di quel pregiudizio, o giudizio distorto, tipicamente italiano: è obbiettivo che ieri l'Italia ha sofferto, ha giocato male, e la prestazione generale è stata vergognosa.
Non importa che in questo mondiale, se non si guarda all'Argentina ed al Brasile, ogni grande ha fatto male o ha in qualche modo deluso. Si tratta della consolazione dei perdenti. Prima di guardare ai campi altrui, si dovrebbe porre l'attenzione al proprio spogliatoio, riflettendo sulla prestazione di ieri dei vari Camoranesi (tiri a caso e confusione nel campo), Marchisio (perché non è uscito lui, invece di Pepe?), Criscito (un disastro), Cannavaro (colpevole nel gol subito), Gilardino (invisibile), Pazzini (doveva essere risolutivo, non ha combinato nulla), ...
L'atmosfera non è buona. Voci parlano di un gruppo che si sta incrinando, di qualche malumore. Poco importa che matematicamente si può andare ancora avanti; poco importa anche che nel 1982 gli Azzurri passarono il 'gironcino' con solo tre pareggi. Ricordiamo che ieri di fronte avevamo la Nuova Zelanda. Questa volta il coro dei disfattisti fa bene a far sentire la sua voce.

  

PICCOLA RASSEGNA STAMPA:
Corriere dello Sport, forse il più sincero, titola "Azzurri, che pena!", la Gazzetta chiede invece "Lippi tutto qui?", sottotitolando "Italia addormentata, il gioco non si vede". Tuttosport è l'unico che pare già ad un primo sguardo ottimista: titola "Italia, fatti furba!", specificando "Bloccati dalla Nuova Zelanda. Ma il Mondiale si può ribaltare". Speriamo bene.

lunedì 14 giugno 2010

Mondiali 2010 (4)


Va bene, l'avevo scritto. Niente commenti dopo la prima partita. Però due osservazioni: vincere magari avrebbe fatto bene, ma il risultato spesso non dà nessuna indicazione. Il Paraguay si è trovato anche sulla via dei tre punti, ma chi ha davvero giocato bene è l'Italia. Ed è importante. Si può migliorare, anche molto, ma le buone indicazioni ci son state (però...attenzione all'Olanda!!!).

RISULTATI:

ITALIA - PARAGUAY : 1-1
DANIMARCA - OLANDA: 0-2
CAMERUN - GIAPPONE: 0-1

sabato 12 giugno 2010

Se questo è un portiere...



RISULTATI
COREA DEL SUD - GRECIA 2-0
ARGENTINA - NIGERIA 1-0
INGHILTERRA - STATI UNITI 1-1

venerdì 11 giugno 2010

Mondiali 2010 (3)

per chi legge su facebook: post originale su livingepitaphs.blogspot.com
Dopo le prime due partite del Mondiale sudafricano, c’è da dire una cosa. L’Italia che sembrava così fuori forma, non sembra orientativamente così lontana da quelle che sono le condizioni di Sudafrica, Messico (al di là dell’amichevole), Uruguay e, soprattutto, Francia. Certo, c’è da aspettare Italia-Paraguay, ma se ci si aspettava un inizio esplosivo non c’è stato. O meglio: lo è stato per altri motivi, per la cerimonia inaugurale, per il ballo dei sudafricani dopo la prima marcatura, per le urla e per le vuvuzela. Per il resto, praticamente solo noia (mitigata, come previsto, solo dal commento della Gialappa's).

Risultati:
GIRONE A
Sudafrica - Messico: 1 - 1
Francia - Uruguay: 0 - 0

Legge Bavaglio

ANCHE QUESTO BLOG, nel suo piccolo, E' CONTRARIO ALLA
LEGGE BAVAGLIO.


martedì 25 maggio 2010

Momento di riflessione..


Italian shop-keepers, businessmen and judges are not the only victims of organised crime networks such as Cosa Nostra, the Camorra, the ’Ndrangheta, and the Sacra Corona Unita. Journalists and writers also find themselves in the line of fire as soon as they try to cover the Italian mafia. One of them is Roberto Saviano, author of the book Gomorra, who is forced to live under permanent police protection.

In all, some 10 journalists work under police protection. There have been hundreds of cases of threats, anonymous letters, vandalised tyres, and torched cars. Every journalist writing about these criminal groups has been watched at one time or another. Lirio Abbate, 38, correspondent in Palermo, Sicily, for the news agency Ansa, and author of I Complici (The Accomplices), also lives under permanent police protection. This is also the case, since March 2008, for Rosaria Capacchione, a 48-year-old journalist working for more than 20 years for the leading Naples daily Il Mattino, who covers the Camorra and who, like Roberto Saviano, is being hunted by the Casalesi clan. And their work, with all the risks that accompany it, gets no support from Prime Minister Silvio Berlusconi. In November 2009, he said he wanted to “strangle” writers and filmmakers who give Italy a bad image by focusing on the mafia.

fonte:

http://en.rsf.org/predator-organised-crime,37265.html

mercoledì 27 gennaio 2010

27 gennaio

Ci sono dei rischi a mio avviso nel concetto di “giornata della memoria”, non che celebrare un ricordo e farlo ammonimento sia di per sé sbagliato, né oso erigermi a voce fuori dal coro. Premetto insomma, per non essere frainteso, che è giustissimo ricordare l'anniversario della liberazione di Auschwitz come giornata che ispiri alla riflessione sulle tragedie e le colpe dell'umanità.
Ma il primo rischio è di stigmatizzare un evento passato e sentirlo nel ricordo come un qualcosa di distante, avvenuto ineluttabilmente quasi fosse un peccato originale. Una macchia che è giusto condannare, ma che appartiene ad una cultura sbagliata e così lontana. Come il massacro dei nativi americani, che probabilmente ormai le nuovissime generazioni dimenticano in media come la stessa data della scoperta dell'America.
E' vero che ciò che è accaduto è un parto (anzi, un aborto) di un preciso momento storico, che come tale è irripetibile per filo e per segno. Ma questo non significa che anche oggi non avvengano nel mondo soprusi, genocidi, colpe di un'umanità crudele e sempre costantemente colpevole. Nel mondo ci sono dei momenti in cui l'opinione pubblica viene presa e scrollata, attimi in cui chi è sempre così cieco si sveglia all'improvviso. Il 27 gennaio 1945 è successo proprio questo, ed è giusto che una volta all'anno l'uomo si ricordi di quanto faccia schifo. E' un po' quello che è successo ad Haiti a causa del terremoto, che non ha fatto altro che massacrare e squarciare una popolazione che stava già morendo di fame, svegliando un'opinione pubblica che prima quando sentiva la parola Caraibi pensava solo a spiagge bianche e scenari da favola.
Il secondo rischio di una “giornata della memoria” è quindi direttamente conseguenziale: è quello di prendere un simbolo come quello della Shoah, e dimenticarsi di tutto il resto. Il 27 gennaio che diviene il momento di una catarsi – nel senso aristotelico -, il momento ovvero in cui il Mondo si ferma a ricordare la tragedia più grande, per uscirne purificato e con la coscienza rinata. Come il bambino che il 24 dicembre se ne sta buono, perché Babbo Natale sta arrivando e non sia mai che porterà del carbone con sé! La differenza, in realtà, è che la colpa di un bambino può essere solo quella di essere un po' discolo..la colpa di certi uomini, invece..

Il 27 gennaio non deve insomma diventare il pretesto per dimenticare ricordando, o ricordare per nascondere. Non dev'essere solo il giorno in cui si riflette sulle parole di Anna Frank o Primo Levi, ma il punto di partenza per vivere amando il bene ed odiando il male. Il 27 gennaio, come ogni giorno.

venerdì 6 novembre 2009

Influenza, l'anno scorso in Trentino 50 morti

da L'Adige

http://www.ladige.it/news/2008_lay_notizia_01.php?id_cat=4&id_news=45297

Influenza, l'anno scorso in Trentino 50 morti

TRENTO - Par di capire che l'influenza A ha colpito soprattutto il sistema di comunicazione di massa dei grandi e potenti Paesi dell'Occidente. Però questo Grande Allarme

serve. Serve a testare i sistemi di allerta contro i virus (l'eterna lotta tra micro e macro organismi sembra pendere a nostro sfavore) è, quindi, un'immensa esercitazione di Protezione civile; la paura che serpeggia nell'opinione pubblica forse serve anche a stimolare la ricerca, però, se i numeri hanno un senso, ce n'è uno che va ricordato: lo scorso anno, il Ministero della salute (tanto importante che in Italia non c'è, nel senso che è fuso con quello del lavoro e delle politiche sociali) ha stimato che i morti in Trentino per causa o concausa dell'influenza sono stati 80.

La nostra Azienda sanitaria fa una stima più cauta e si ferma a 50. In tutta Italia si stimano 8 mila decessi per causa o concausa del virus che lo scorso anno non era l'ormai famigeratissimo H1N1. Morti silenziose. Secondo quanto è stato detto ieri durante la conferenza stampa dell'assessore Ugo Rossi e dai dottori Alberto Betta e Valter Carraro questo virus fa meno danni di quello «normale». Questo emerge dall'esperienza dei mesi scorsi nei Paesi del sud del mondo che hanno già vissuto il picco della pandemia. Quindi il è soprattutto l'influenza dell'informazione. «La vera emergenza è l'eccesso di informazioni talora contraddittorie, presenti per esempio su internet», ha detto il responsabile della Direzione promozione educazione alla salute dell'Azienda Alberto Betta. Vero, ma questa è la realtà con i suoi pregi e i suoi tanti difetti. I pregi stanno nella maggiore trasparenza i difetti nella confusione. Che in casi come questi (il virus all'inizio sembrava pericolosissimo) sembra inevitabile. L'importante è far tesoro dell'esperienza. B.Z.

mercoledì 7 ottobre 2009

Lodo Alfano Illegittimo


Roma, 07-10-2009
La Consulta ha bocciato il 'lodo Alfano' per violazione dell'art.138 della Costituzione, vale a dire l'obbligo di far ricorso a una legge costituzionale (e non ordinaria come quella usata dal 'lodo' per sospendere i processi nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato). Il 'lodo' è stato bocciato anche per violazione dell'art.3 (principio di uguaglianza).

L'effetto della decisione della Consulta sarà la riapertura di due processi a carico del premier Berlusconi: per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.
La decisione della Corte Costituzionale di dichiarare l'illegittimità del 'lodo Alfano' è stata presa a maggioranza. Il 'verdetto' della Corte costituzionale sarà ufficializzato a breve dalla Consulta con un comunicato.

Violato anche il principio di uguaglianza

Il lodo Alfano viola anche l'articolo 3 della Costituzione, inerente il principio di uguaglianza. E' quanto hanno sancito i giudici della Consulta, con la decisione di oggi sulla legge che sospende i processi penali per le 4 piu' alte cariche dello Stato.

Bonaiuti: sentenza politica, Berlusconi va avanti
"E' una sentenza politica, ma il presidente Berlusconi, il governo e la maggioranza continueranno a governare come, in tutte le occasioni dall'aprile del 2008, hanno richiesto gli italiani con il loro voto". Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti.
Il comunicato della Consulta
Da Palazzo della Consulta e' stato diffuso il seguente comunicato: "La Corte costituzionale, giudicando sulle questioni di legittimita' costituzionale poste con le ordinanze n. 397/08 e n. 398/08 del Tribunale di Milano e n. 9/09 del GIP del Tribunale di Roma ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124 per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione. Ha altresi' dichiarato inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale della stessa disposizione proposte dal GIP del Tribunale di Roma".

fonte: RAINEWS24

martedì 15 settembre 2009

Beatles, top dell'evoluzione umana?



Mi pare strano che sul mio blog non abbia ancora parlato di Musica. E che a farlo, ora, in realtà mi limiti a citare un articolo altrui (di Clausi e Castaldo, lo si trova su http://musica-ilcaso.temi.kataweb.it/2009/09/15/se-due-alieni-discutessero-di-beatles-e-dintorni/) L'argomento trattato, però, lo trovo molto interessante. Così come l'artificio giornalistico.


Antefatto: a nostra insaputa sul pianeta Crumble (distanza approssimativa 12 anni luce) hanno una ricezione istantanea di quello che avviene sulla terra. La terra è un pianeta sorvegliato da Crumble per incarico della Federazione Intergalattica. I due guardiani di turno sono Leoc3bx e Obi999.

Nei panni degli alieni: Leonardo Clausi è Leoc3bx, Gino Castaldo Obi999

Leoc3bx: “Questi umani hanno proprio una tecnologia obsoleta. Pensa che solo adesso hanno saputo rimasterizzare gli album dei Beatles. Che suonano meglio, per carità ma dimostrano anche quanto poco i discendenti hanno saputo produrre dopo di loro. Guarda le classifiche inglesi. Il ritorno dei Beatles ai vertici almeno ci dà una tregua dalle varie Lady Gaga e Arctic Monkeys”.

Obi999: “E’ vero, che noia. Ma anche i Beatles, ormai li conosciamo a memoria. Li ascoltiamo da anni. Ti ricordi la prima volta?. Avevamo detto: però, questi terrestri. Sembravano avviati bene. Anche l’atmosfera di quegli anni faceva sperare in meglio. Poi sono come regrediti. E stiamo ancora ad ascoltare i Beatles, quarant’anni dopo”.

Leoc3bx: “Per me è la loro cultura popolare a essere scarsa. Dopo la prima età aurea (Bach, Beethoven, Mozart) e la seconda (Elvis, Dylan, Beatles e Stones), mi spieghi cos’altro c’è stato? Forse quel Michael Jackson? Gli U2? Non scherziamo”.

Obi999: “Sei sempre così cattivo con i poveri terrestri. Forse dovresti cambiare pianeta. Non c’è stato solo quello. Poi gli U2 non sono così male. Certo i Beatles…”

Leoc3bx: “Solo trent’anni fa c’è stato uno scossone. Ricordi quello con i capelli rossi, tutto stracciato e soprannominato Rotten, che osava dichiarare che non gli piacevano i Beatles? E il suo degno compare Strummer che diceva ”la finta beatlemania è crollata”. La storia gli ha dato torto, per usare un’espressione che gli è cara. E dire che hanno avuto quasi mezzo secolo di tempo per produrre qualcosa di meglio. Invece, questo continuo riscaldare la stessa minestra…”.

Obi999: “Sì, in parte è vero. Stanno vivendo un periodo così. Riciclano, ripetono, imitano, ricompongono. Idee nuove in giro non se ne vedono. Ma prima di denunciarli alla Federazione aspetterei ancora un po’. Magari è un ciclo. E’ successo tante volte. Il fatto è che non imparano dagli errori. Tutto questo clamore sui Beatles potrebbe essere utile se ci riflettessero sopra, se capissero che per imprimere nuove energie ci vuole un nuovo pensiero. Insomma dovrebbero fare proprio come i Beatles, non nel senso di copiarli, ma di applicare quello che era il loro metodo. Non accontentarsi mai dell’ovvio. Cedere allo stupore, all’estasi meravigliosa dell’atto creativo”.

Leoc3bx: “E poi, diciamocelo, la tesi che avrebbero ucciso il rock and roll, come si è cominciato a capire molti anni dopo, non suona poi tanto assurda. Prima di loro il rock era un misto di stili bianchi e neri, mentre loro lo strapparono alle radici nere, lo annacquarono per renderlo appetibile alle middle class bianche europee e finirono per dividere la cultura popolare da un punto di vista razziale, una cesura irrisolta fino a oggi”.

Obi999: “Questa è una boiata di qualche terrestre in cerca di notorietà, e tu abbocchi come un merlo. Casomai è il contrario. Guarda Aretha Franklin che cantava Bacharach. Quello era tutto un gioco di scambi, era proprio quella la ricchezza della musica popolare del tempo. Ho scoperto scartabellando vecchi archivi che i Beatles stavano per andare a registrare negli studi della Stax a Memphis. Poi andò a monte perché alla Stax non seppero mantenere il segreto e arrivò una folla di fans sovraeccitati. Il disco che dovevano fare era Revolver“…

Leoc3bx: “Stamattina ascoltavo la totalità della musica popolare terrestre dopo il 1968 mentre mi radevo le antenne e ho notato che un buon 45 per cento ricorda qualche cosa che quei Beatles avevano già fatto, meglio, migliaia di anni prima. eppure a º¬º#ºπø] continuano a non piacere: dice che erano meglio i loro rivali, quelli col cantante che ancheggia”.

Obi999: “E’ per questo che li ha vietati. Forse ha ragione. Sul nostro pianeta è vietata la riproduzione di ogni album o brano dei Beatles. E’ censura totale. La Federazione sostiene sia l’unico modo perché qualcuno inventi musica nuova”…

giovedì 10 settembre 2009

L'immortalità di un mediocre


Si dice "anno bisesto, anno funesto", peccato che il 2009 bisestile non sia (lo era il 2008), ed in quanto al "funesto" ognuno giudicherà per sé.

Ciò che la morte di Mike Bongiorno ha rappresentato, l'altroieri, senza false retoriche è comunque la fine di un'epoca della storia della televisione. Fa sensazione che avvenga dopo quella di Michael Jackson e di Les Paul (fine di epoche musicali, si potrebbe dire, tanto furono miti loro nel pop e nel blues), o di Mino Reitano (sempre musica, ma italiana), Tulio Kezich, Candido Cannavò, Giorgio Mondadori, Ted Kenendy e Fernanda Pivano (di quest'ultima, lo ammetto, mi rammarico particolarmente). Per chi, come me, ha passato ore dell'infanzia giocando a FIFA, anche la morte di Giacomo Bulgarelli può definirsi epocale (mi rendo conto che semplifico ironicamente la vita d'un uomo, così scrivendo).

Il 2009 sembra si sia candidato a fare da spartiacque fra il passato ed il presente; c'è chi ne gioisce cinicamente, e chi abbozza un qualche dispiacere nostalgico. A dire il vero che esista la morte non è novità di quest'anno, e fra tutte sono state proprio quelle di Jackson e Bongiorno ad aver fatto scalpore sull'opinione pubblica. -Ma come, non esiste l'immortalità nemmeno per loro? -, sembra ci si chieda.
Sono queste morti che non possono comunque lasciare del tutto indifferenti, se non si confonde il cinismo con l'ignavia. Perché Mike Bongiorno era innanzitutto un'istituzione simbolica della società italiana. Indubbiamente criticabile, come ogni istituzione, ma sarebbe poco oggettivo non definirlo come tale. Ha detto il critico televisivo Aldo Grasso: -L'Italia è stata unificata linguisticamente da "Lascia o Raddoppia"-. Pare una delle tante esagerazioni encomiastiche che si susseguono in questi casi, ed invece c'è del vero. E' scientificamente accertato che è proprio il mondo mediatico ad aver creato un nuovo standard linguistico, un'unificazione che esce dall'astratto dell'uso letterario dei libri, combatte la settorialità diatopica dei dialetti e si pone come modello. Francesco Sabatini, fra i più celebri linguisti italiani, da presidente dell'Accademia della Crusca disse a Mike Bongiorno: -lei ha insegnato l'italiano agli italiani-.
Sicuramente ha comportato un impoverimento linguistico, come già osservava nel suo celebre "Fenomenologia di Mike Bongiorno" Umberto Eco, attraverso un trionfo della mediocrità. - Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi- scrisse Eco. Lo stesso Paolo Villaggio (che attenzione: ha interpretato Fantozzi, ma non è un Fantozzi), in un'intervista ad Adnkronos rifiuta d'unirsi al cordoglio per Bongiorno: - non posso non dire che adattare quella cultura all'italiano medio, fu uno di quegli eventi che hanno contribuito all'abbassamento culturale del nostro paese-.
Un modello insomma di non perfezione, in cui è evidente la "mediocrità", nel suo carattere di gaffeur più o meno volontario. Una visione a cui però si oppone ancora Sabatini, che preferisce sostituire il termine "semplice" al mediocre di Eco e Villaggio. E' d'accordo Angelo Guglielmi, critico letterario e dirigente televisivo, che sulle pagine de La Stampa afferma: - Era sostanzialmente, allo stesso tempo, un grande professionista e un uomo di un'ingenuità incredibile, ma proprio in questa sua sincerità pensava di fare, e in certo modo faceva, un'operazione di valenza culturale -.
Il modello linguistico di Mike, nella sua semplicità, unita al nozionismo da quiz, non è forse oggi più accettabile. A fronte di questa standardizzazione bassa, oggi si dovrebbe cercare un accrescimento culturale e linguistico superiore, che tenga il passo con il generale miglioramento dell'istruzione, della cultura e della società italiana. Ma è altrettanto sbagliato studiare il passato con un modello odierno: ai tempi di "Lascia o Raddoppia" ci si trovava nel Dopoguerra, con un'Italia in gran parte analfabeta, che aveva bisogno di una semplificazione di uno standard linguistico letterario, che reclamava la vita di una lingua in realtà morta. Di vivo c'erano solo i dialetti: la Rai, e Bongiorno in primis, hanno così contribuito alla creazione di una lingua che unificasse l'Italia, un secolo dopo l'unificazione politica.
Insomma, al di là della morte fisica, il "modello Bongiorno" preso sic et simpliciter credo sia antiquato da tempo. Il mondo televisivo dovrebbe oggi ricercare un accrescimento culturale, non accontentarsi di quella mediocrità, che un tempo era la soluzione alla completa assenza di competenze linguistiche e di pensiero. Ora si dovrebbe offire un palinsesto che stimoli l'interesse culturale e la capacità critica. Si punta invece su ciò che è evasione, ignoranza ed immediatezza: salvo rare eccezioni, la tendenza è ad offrire un prodotto che sia commerciabile, che plasmi la mente umana alle tentazioni pubblicitarie innanzitutto. Il modello di un sistema televisivo che si fa pedagogico idealmente rimane ancora attuale, o meglio auspicabile. E' una riflessione che intellettualmente andrebbe fatta, ma che si scontra poi con gli interessi di chi possiede o finanzia il mezzo televisivo. Oggi più che nel passato.

Tornando alla morte di Mike Bongiorno, il dilemma morale che sorge, al di là del giudizio sulla persona, è un altro: vale la pena spendere tonnellate di parole, pensieri o ricordi per una persona, mentre un "qualsiasi signor chiunque" in questo preciso istante sta soffrendo, piangendo o morendo?
Effettivamente parrebbe non giusto: ma la disuguaglianza della vita è anche la disuguaglianza della morte. Esistono uomini che riescono a vincere il tempo, a rimanere immortali per ciò che hanno fatto. Per loro merito, demerito o solo per sorte o contingenza.
Non sarà stato un Aristotele, un Darwin o un Virgilio, ma Mike Bongiorno rientra, volenti o nolenti, in quella categoria di persone che vivono per sempre.
Nella consapevolezza che la riflessione e le parole di commento non sono sempre sinonimo di ipocrita cordoglio.

martedì 8 settembre 2009

Arriva Kindle: il futuro della lettura?

Arriva Kindle: è il futuro della lettura?
Duttilità, praticità e salvezza editoriale, o empietà culturale omicida della poesia?
Arriverà in Europa nel 2010 il Kindle, strumento nato dalla mente degli americani di Amazon. Si tratta di un sistema digitale che permette la lettura di libri, naturalmente anch’essi digitalizzati, nonché di quotidiani, blog, e quant’altro. La piattaforma è elegante, l’uso intuitivo. Il Corriere della Sera è il primo quotidiano italiano che si può leggere, per ora in America, anche su Kindle. Attraverso un abbonamento (9.99$ al mese), il reader riceve automaticamente ogni notte l’edizione del quotidiano, che può essere così consultata la mattina al risveglio. Anche l’acquisto di libri, attraverso Amazon, può essere fatto senza l’utilizzo di un computer e con il solo Kindle. In meno di sessanta secondi si possono ricevere dei titoli direttamente sulla piattaforma. Ulteriori informazioni si possono ricavare attaverso numerosi video dimostrativi in youtube.
Chi ritiene che un sistema che è rimasto sostanzialmente coerente negli ultimi secoli non possa essere modificato, intendo quello della lettura, dimentica forse che anche l’invenzione della stampa in epoca moderna ha portato ad un radicale cambiamento nell’uso e nel rapporto con il libro. O ancora, per rientrare nella contemporaneità, di come i supporti per la musica (altra forma di cultura) si siano radicalmente modificati negli ultimi anni: dal vinile alla musicassetta, dal cd all’mp3. Chi tuona contro gli ebooks avrà i suoi buoni motivi per farlo, ma dire che il kindle rimarrà fantascienza credo sia altrettanto sbagliato.
Non tutte le invenzioni hanno avuto successo, bisogna ammetterlo. Nel 1992 la Sony lanciò il Mini Disc, un supporto che nell’ottica dell’azienda avrebbe dovuto sostituire nell’uso il cd. Rimane un’alternativa poco usata, se non del tutto soppiantata dai lettori mp3, o dalla tenacia resistenza dei cd e di qualche vinile. Un’invenzione che sulla carta avrebbe potuto attecchire (la grande novità stava nella possibilità di riutilizzazione di uno stesso supporto per masterizzazioni virtualmente infinite), ma che nell’effettivo non ha riscontrato un successo di pubblico.
Torniamo al Kindle, e al libro soprattutto. La prima obbiezione, la più istintiva per qualsiasi lettore, è che l’avvento di questo mezzo comporterà un abbandono della poesia della letture. L’odore della carta, il rumore delle pagine che si sfogliano, il maniacale vizio di poter esporre con vanto una libreria; ma anche il poter vagare in una libreria o biblioteca: tutti vizi del lettore che il Kindle pretende, di punto in bianco, di spazzare via, in un tornado di pixel. Mi si perdoni ancora il paragone musicale: mi torna in mente il gracchiare di un vinile, sostituito dalla freddezza dell’mp3. Ma, fra la maggior parte dei nostalgici (e fra questi mi si può annoverare) del classico ellepì, è davvero difficile trovare chi non si è arreso alla comodità degli mp3: la praticità che vince sulla poesia. Non sempre, ma in un largo numero di persone.
Il Kindle potrebbe essere, insomma, non un sostituto del libro (giammai!), ma un’alternativa. Uno strumento che trova i suoi pregi nell’economicità dell’acquisto dei titoli, nella velocità, nel minimo ingombro, nel mancato dispendio di carta (poveri alberi!). Senza contare che l'editoria in difficoltà potrebbe trarne un beneficio (Books Aren't Dead, they're just going digital, ha tuonato il 'Newsweek' tempo fa). Se poi, come l’i-phone, diverrà anche uno strumento alla moda, ben venga: chissà che Amazon non abbia trovato il modo per inculcare il piacere della lettura (ed un conseguente accrescimento culturale ed intellettivo) in chi, normalmente, ne è del tutto estraneo.

mercoledì 19 agosto 2009

Lutto nel mondo della cultura


MILANO - È morta all'età di 92 anni la scrittrice e giornalista Fernanda Pivano. A lei, nata a Genova nel 1917 ma trasferitasi presto a Torino con la famiglia, si deve la conoscenza in Italia dei grandi autori della letteratura americana. Da Edgar Lee Masters a Hemingway, dai poeti e gli scrittori della «beat generation» a Bob Dylan, i più grandi e rappresentativi autori della nuova America sono stati portati ai lettori italiani dalla sua capacità di interpretare, capire, raccontare e descrivere un mondo ancora sconosciuto al pubblico italiano. Di quasi tutti questi autori, Fernanda Pivano è diventata amica e confidente, riuscendo a trasferire nelle versioni italiane delle loro opere, lo spirito più vicino possibile a quello dell'originale. Scrittrice e anche giornalista, è stata a lungo collaboratrice del Corriere della Sera, cui ha regalato interventi e scritti di grande. Il suo ultimo testo scritto per il Corriere in occasione del suo 92 esimo compleanno, il 18 luglio scorso, era una nostalgica ma anche serena riflessione sulla vecchiaia con tanti ricordi degli scrittori conosciuti nella sua vita. La Pivano si è spenta martedì sera in una clinica privata di Milano, dove era ricoverata da tempo. I funerali si svolgeranno probabilmente venerdì prossimo, a Genova. «È stata una protagonista della cultura italiana» ha scritto il capo dello Stato Giorgio Napolitano in un messaggio di cordoglio alla famiglia.

http://video.corriere.it?vxSiteId=af93f391-342b-4a64-9f9c-b3923872f90e&vxChannel=Cultura&vxClipId=2524_a1bce4c4-8c3b-11de-a273-00144f02aabc&vxBitrate=300



MILANO - "I miei adorati scrittori americani mi accompagnavano durante la guerra facendomi coraggio con le loro storie". E lei, Fernanda Pivano, la compagna italiana degli scrittori americani, si è spenta in una clinica privata di Milano, un mese dopo il suo novantaduesimo compleanno.

Scrittrice, giornalista, traduttrice e critica, nasce a Genova il 18 luglio 1917. A ventiquattro anni - e in piena seconda guerra mondiale - si laurea in Lettere con una tesi in letteratura americana su
Moby Dick. Il capolavoro di Melville è la chiave che le apre la porta sul mondo della grande letteratura made in Usa. Nel 1943, pubblica la prima parziale traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

Il suo mentore è Cesare Pavese, già suo professore al liceo D'Azeglio di Torino e il primo di una serie di incontri fondamentali, tra cui quello con il marito, il grande architetto e designer Ettore Sottsass. L'incontro del 1948, a Cortina, è con Ernest Hemingway. Nasce un rapporto di amicizia e di lavoro. Nel 1949, Mondadori manda in stampa la traduzione di
Addio alle armi. La Pivano sarà la maggiore curatrice delle opere dell'autore de Il vecchio e il mare.

Il primo viaggio negli Stati Uniti è del 1956. Al suo ritorno, porterà in Italia la poetica, le pagine di letteratura e di vita della beat generation. Di Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti e poi William Burroughs. La prefazione a
Sulla strada di un certo Jack Kerouac è sua. Negli anni successivi, traduce Allen Ginsberg, ma anche Bob Dylan. Il suo approccio alla letteratura non conosce steccati. Di Fabrizio De Andrè dirà, prima di altri, "è il più grande poeta italiano del Novecento".

Intanto, inizia a raccogliere i ricordi dei grandi che ha incontrato: Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Dorothy Parker, William Faulkner. Tutti protagonisti del suo libro I mostri degli anni Venti, del 1976. Seguono l'intervista a Charles Bukowski, Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle e una fondamentale biografia di Hemingway.

I suoi
Diari (1917-1973), pubblicati da Bompiani, sono una messe di aneddoti ed episodi tratti da una vita straordinaria. Negli ultimi anni, la Pivano continua a promuovere e a riconoscere il talento dei nuovi narratori d'America: Bret Easton Ellis, Chuck Palahniuk, David Foster Wallace. Il suo amore per la musica la porta a partecipare al video di Luciano Ligabue,Almeno credo, e a partecipare alla realizzazione del disco di Morgan omaggio-remake a De Andrè, Non al denaro, non all'amore né al cielo.

I funerali si svolgeranno venerdì a Genova, nella basilica dell'Assunta in Carignano. La stessa dove si celebro, dieci anni fa, l'addio all'amico poeta De Andrè.

(
18 agosto 2009)