lunedì 24 settembre 2012

«Noi siamo migliori»


Non mi piace scrivere troppo di ciò che non conosco a menadito; e così ho una certa difficoltà a scrivere di quanto sta accadendo in Nord Africa ed in Medio Oriente. Purtroppo questo mio scrupolo non se lo pongono in molti, e mi capita quindi sempre più spesso di sentire analisi approssimate – giudizi che sfuggono nei bar o sugli autobus –, solitamente nate più da una certa saccenteria, che da una conoscenza reale dei fatti. Bene, non voglio fare ora l'errore di cascare nello stesso atteggiamento, come se, non potendo trovarne la cura, volessi ammalarmi di quello stesso male che vorrei debellare.

Ci sono alcuni misteri assoluti della storia, a cui si cerca di dare una risposta con la comprensione della contingenza. Prendiamo certe adesioni, anche di intellettuali affermati o di scrittori di assoluta fama, al fascismo (l'esempio c'entra poco, ma mi pare possa essere facilmente comprensibile): come possiamo comprenderle ora, dall'alto della nostra cultura antifascista? Soprattutto noi giovani, nati nei tempi di una Repubblica che si è voluta legittimare proprio per il suo antifascismo (qui, lo ammetto, c'è l'eco di una lezione che ho seguito oggi in università), non ci possiamo che sentire, per istinto, più vicini ad un Benedetto Croce che ad un Giovanni Gentile. Ma se affrontiamo con più serietà lo studio storico, ci rendiamo conto che spesso cadiamo in un errore, tanto banale quanto difficile da superare. Non possiamo giudicare il passato con gli schemi del presente; o meglio: non possiamo giudicare una situazione a noi distante, senza comprenderla anche dal punto di vista culturale. È una lezione che, nella storiografia, ci arriva soprattutto da certi studiosi francesi.

Ma anche nel giudizio dell'attualità, io credo, non possiamo esimerci da questo sforzo. Possiamo capire l'altro solo conoscendone la cultura; e riuscendo a scrollarci d'addosso la nostra supponenza da “occidentali”, che ci porta a giudicare come peggiore solamente ciò che non conosciamo. (d.e.)

giovedì 13 settembre 2012

L'AiFon Faiv


Da una settimana ho 25 anni, e mi sento vecchio. 

Non davvero, sia chiaro. Ma c'è un piccolo, ma non indifferente particolare, che questa mattina mi ha reso vecchio. Non fisicamente, ma moralmente. Io non so nulla dell'Iphone 5.

Vorrei spacciare per verità una bugia, ed andare fiero della mia ignoranza. Vorrei dire: «io non so nulla dell'Iphone 5, perché è simbolo della follia capitalista, perché… com'era quel detto? “Ciò che possiedi, ti possiede”. Ma va, che spreco di denaro, poi io il telefono lo uso solo per scrivere qualche sms, ogni tanto». Ma mentirei, la verità è un'altra.

Io non so nulla di Iphone5, perché io vorrei un Iphone 5, ma non posso permettermelo. Ecco, l'ho scritto. Me ne vergogno, ma ci sono cascato pure io. Potrei fingermi snob, superiore a tutti, guardare con disprezzo chi ha l'iphone. Ma la verità è che io non provo disprezzo, provo invidia.

Steve Jobs, pace all'anima sua, è riuscito ad ammanettarci tutti. Quella mela morsicata è la mela proibita, che ti promette l'Eden fra i mortali, e ti distrae dal vero senso dell'esistenza. Perché da questa mattina nessuno vuole davvero la pace nel mondo, tutti vogliono l'iphone 5. (d.e.)

sabato 30 giugno 2012

Gulp!

nuovo episodio della storia di Nikky:
http://lastoriadinikky.blogspot.it/2012/06/lacrime-al-buio.html

rock'n'roll!

martedì 8 maggio 2012

...

TAKE A WALK OUTSIDE YOUR MIND
TELL ME HOW IT FEELS TO BE
THE ONE WHO TURNS
THE KNIFE INSIDE OF ME.

domenica 6 maggio 2012

Il Bar dei Quattro Venti


«Facciamo una passeggiata
Laggiù, sulla spiaggia
so che presto ti sposerai
e desideri sapere da dove vengono i venti»

Hanno aperto il Bar dei Quattro Venti. Ci servono cianuro in vasche da litri, e si paga solo con il sangue. Nikky ha il suo sgabello, bordato di rosso, si appoggia al banco e finge di avere l'aria di un uomo vissuto. Tutta finzione, nei suoi occhi si vede la fragilità di chi si sente solo, senza autostima, e sconfitto dal passato. La barista non lo chiama ancora per nome, ma quando lo vede sa che potrà guadagnarci. Nikky di sangue ne ha molto; beve “dic'otto lune”, e poi versa la sua emoglobina, pagando sino all'ultima goccia.

Ma accanto a lui non c'è mai nessuno che possa capirlo. Nikky vorrebbe solo essere abbracciato, lasciare che il tempo si fermi, divenga tutto buio. Vorrebbe tornare d'improvviso bambino, fingendo che non sia successo mai nulla. Vorrebbe sentirsi stordito ma soccorso, e chi se ne importa dei litigi, degli errori, delle parole e della gelosia; ogni tanto bisognerebbe solo smettere di parlare, e trasformare ogni sillaba in una nota. Se tutti diventassimo una canzone, pensa Nikky, ci si potrebbe mescolare in un concerto, e superare tutte le limitazioni di una vita piatta, che ferma i battiti del cuore per lasciare troppo spazio ai limiti della mente. Nikky si uccide di alcool perché ha troppo amore da dare, vorrebbe solo qualcuno pronto a raccoglierlo. Solo?

Quando Nikky siede sul suo sgabello al Bar dei Quattro Venti, quando diviene una cosa sola col legno e la sua umidità, ciò che lo circonda è solo uno sfondo. Vede gente impolverata che corre, gli sembra che siano tutti coperti di ragnatele. In quelle occasioni il bisogno di Mary esplode; la mente inizia a pensare a lei, le narici a cercare il suo profumo, le labbra a cercare il suo contorno da assaggiare. E il resto del corpo, ogni singola parte, cerca quei brividi di un tempo. Sensazioni che ora sono immaginazione. In quei casi tutto sfuma, e lui non riesce a smettere di cercarla.

Poi le porte si chiudono anche al Bar dei Quattro Venti. La leggenda dice che da quel posto si possa uscire solo da morti. Nikky non può sapere se è vero. È passato un mese da quando Mary se ne è andata, e lui non ha più ripreso a vivere davvero. Si sente come un gesso spezzato, senza una lavagna su cui scrivere. E vorrebbe tanto essere abbracciato.

vedi:

sabato 7 aprile 2012

Cadendo come pioggia

Nikky aveva riprovato con le strisce pedonali su per il naso, come quando, qualche anno fa, aveva pensato di uccidersi impiccandosi con una corda di chitarra. Allora si chiamava Jonathan, ne è passato di tempo. Ora di corde ne ha sei, quindi potrebbe tagliarsi la gola con ognuna di esse, ed ogni tanto sembra davvero la via più facile, soprattutto di notte, soprattutto quando nelle orecchie ha quel vuuuu che ricorda il mare di Ἀγκών. Pensava di avere un cervello nella testa, non si era mai accorto di averne uno anche nel petto, uno nel profondo dello stomaco, ed uno fra le gambe. Quello fra le gambe è il più facile da zittire, basta una mano. Per gli altri ci vuole molto di più. A volte basta un mare d'inchiostro, in cui affogare ogni pensiero con la fantasia. Il fuoco d'anice a volte serve, ma il whisky può anche peggiorare le cose. Ed allora si prova con la farina, sistemata su un tavolo marrone di una casa in zona industriale, al di là del torrente, ed il vuu diventa d'improvviso un bum. Bum bum bum bum bum. Il battito di un muscolo che passa nelle vene, irrora il cervello, si scontra sul timpano. È in quei momenti che Nikky può davvero tuffarsi nel vuoto, scoprire ogni fibra del suo tessuto, sentire le arterie che s'ingrossano, ed essere felice di non poter uccidere Mary. Anche col conforto di due occhi blu, a volte vicinissimi che li puoi sfiorare, a volte così lontani, con due occhi che non si vedono anche quando sono aperti, con le fantasie di una strada che odora d'asfalto anche con il cellulare acceso ma zitto. Anche con le carezze di una puttana coi capelli appena lavati, che gli sussurra «lasciati andare, e a te ci penserò io. Almeno questa notte». Quando la coca arriva al cervello, in quel momento in cui si supera il confine dell'intelligenza, e ci si sente pienamente vivi al di sopra di tutto, anche lì, Nikky capisce di non voler premere il grilletto, di non saper sparare. È in quei momenti che re-impara a sorridere. Ed inizia a cantare una vecchia canzone dei Decibel. Io ripeto anche a chi non chiede niente. Lei è uscita, tornerà immediatamente. Non è così, non sei più qui. Poi, di solito, Nikky si siede, si preme il pollice sulle vene del braccio per sentirle battere. E battono forte, così forte, e sussurrano sempre lo stesso nome. E l'immenso si chiama Mary, così bello quando lo hai affianco, l'immenso sembra diventare ancora più straordinario quando è lontano, e lo puoi solo immaginare, invidiare, volere.

L'altra notte Nikky si è svegliato sudato, con la testa che girava. Si è messo le scarpe tagliate, il chiodo, e scappando, coperto dal rumore di chi russava nella camera accanto, si è gettato nel nulla della notte. È andato sino al torrente con una bottiglia di Chardonnay. Un pescatore, con la barba che puzzava di sigaro, gli ha chiesto dove stesse scappando.
«Vado a parlare con l'Avisio, vecchio», gli ha risposto Nikky.
«È la prima volta, capellone?».
«Sì vecchio. Ho assaggiato quest'acqua da poco, ma non so se era il torrente ad essermi parso dolce, o chi mi era accanto, asciugando le mie lacrime.»
«Non c'è nulla più dolce di quest'acqua, ragazzo.»
«Ti sbagli vecchio, c'è Mary.»
«È lei che ti ha portato qui?»
«È lei, ma sono stato anch'io.»
«È sempre una lei che ti porta qui.»
«Anche tu, vecchio?»
«Anch'io». Ed il pescatore ha alzato gli occhi al cielo per nascondere il riflesso d'una lacrima.
«Non è più tornata, vero?»
«Per questo sono ancora qui. Tu cosa vuoi, capellone?»
«Cosa voglio?»
«Cosa chiederai al torrente?»
«Che Mary sia felice, è questo che m'importa».
«Sciocco! Attento a quello che vuoi, perché potrebbe diventare realtà.»
«Questa l'ho già sentita, vecchio. Anni fa, avevo una corda di chitarra, e tante illusioni.»
«Lei potrebbe essere felice senza di te.»
«Lo so, vecchio».
«È questo che vuoi?»
«Sì. No. Non lo so. Vorrei che fosse felice con me.»
«E tu sei in grado di renderla felice, ragazzo?»
«Un tempo forse sì. Ora non lo so più.»
«Sai cosa devi fare, capellone?»
«Vorrei saperlo.»
«Devi capire cosa vuoi. E se davvero la vuoi…»
«…la voglio!»
«…se davvero la vuoi, preparati a poterla rendere felice, se tornerà.»
«E se non tornerà?»
«Allora…»
«No, non lo voglio sapere!»
«È giusto, ragazzo. Combatti per quello in cui credi. Ed ora va, il torrente ti aspetta.»

Su queste rocce viene la tentazione di fumare. Per vedere come le nuvole di fumo possano intingersi nell'acqua, quasi a fare l'amore. Ma Nikky non ha mai fumato. È strano che non lo abbia mai fatto, è strano come gli sembri assurdo uccidersi con della cenere, ma non si preoccupi di mascherare la Sorella Nera di whisky, in un bicchiere senza ghiaccio. Quella notte però aveva solo del Chardonnay, una bottiglia intera in realtà, e a pensarci bene lo faceva sembrare molto più raffinato di quello che era davvero Non si sentiva più quel dandy che aveva finto di interpretare, in altri momenti, e con altri progetti. Ora si sentiva piuttosto truffato dai mercanti di sogni, con le guance sempre un po' troppo calde, e una nausea che lo spingeva quasi a vomitare. E mentre Nikky iniziò a bere, d'un fiato, il torrente iniziò a parlare.
«Ogni sorso di quel vino è uno strale conficcato nel tuo petto lì sulla sinistra, dove tu che hai un cuore lo senti pulsare fino alla gola».
«Lei non mi ha mai detto» urlò Nikky al torrente «che non sapevo bere».
«Perché ora hai lo sguardo di cera, e tramuti in lacrime ogni cazzo di pensiero che hai? In passato hai pianto per chi nemmeno ricordi più come si chiama. E non sai più nulla di loro, sono passate come un livido che si cancella con il tempo, lasciando una leggera cicatrice che si fa sentire sempre meno.»
«Forse sono tutte morte nel mio fottuto fiume di lacrime, annegate dalla loro mente paranoica, suicide del loro essere troie ben oltre le ossa, fin dentro la più recondita profondità delle viscere.»
«E Mary?»
«Lei è un'altra cosa. Continuo a sognare il suo collo fra le mie mani, quella pelle ch'io un tempo sfioravo di baci.»
«Vorresti quella carnagione così candida da sembrare latte divino sotto la presa forte delle tue dita, per togliere al mondo il peso del suo respiro sul tuo cuore così spezzato?»
«No, cazzo, non potrei vederla morire, vorrei baciarla ancora, accendere per sempre i suoi occhi coi miei, e sentirla ancora implorare il mio nome.»
«Patetico stronzo!»
«Non ho mai avuto la capacità di prendere tutto alla leggera. Anche se so scherzare.»
«Anche su questo?»
«Sì anche su questo!»
«Su, dai, scherza..»
«Non ho mai scherzato con un corso d'acqua…»
«C'è sempre un momento per iniziare.»
«E c'è sempre un momento perché le cose finiscano?»
«Sì c'è.»
«Ed è questo il momento?»
«Sono solo un torrente, io non lo posso sapere.»
«Perché la tua acqua continua a scorrere?»
«Perché evapora, e ritorna come pioggia».
«Mary tornerà?»
«Solo se si trasformerà in pioggia, e tu sarai ancora lì, pronto a mescolarti con lei.»
«Mi ha detto che è troppo tardi!»
«Quand'è troppo tardi perché l'acqua torni ad essere acqua, e perché l'Amore torni ad essere Amore?».

Quando tornò a casa quella notte, Nikky aveva la febbre alta. Si mise a letto, prese un foglio bianco, ed iniziò a scrivere. Tremando, per l'astinenza dello zucchero da naso, e l'astinenza non solo di quello. Iniziò a scrivere, aspettando che Mary lo venga a trovare sul greto, se mai tornerà, almeno per passeggiare insieme, e perché lui le possa presentare il vecchio pescatore. Le sue prime parole furono: «Nikky aveva riprovato con le strisce pedonali su per il naso».

(ogni riferimento a persona o a fatti realmente accaduti è puramente casuale)

sabato 11 febbraio 2012

[REC] Alan Bennett, Gli studenti di storia

È uscita finalmente in questi giorni anche in Italia, per Adelphi, History Boys, l'ultima commedia firmata da Alan Bennett. Scritta e rappresentata per la prima volta nel 2004 (al National Theatre di Londra), possiamo ora apprezzarne anche la traduzione italiana di Mariagrazia Gini, intitolata Gli studenti di storia. È una pièce teatrale pluripremiata, vincitrice di ben sei Tony Awards (gli oscar del teatro), fra cui quello per la migliore rappresentazione. Da essa è stato tratto anche un film omonimo (2006), recitato dagli stessi attori del cast teatrale, e con la regia, anch'essa in comune con il teatro, di Nicholas Hytner.

LA TRAMA – La trama è all'apparenza molto semplice. Siamo nel contesto di una scuola inglese, dove otto studenti, che puntano ad accedere alle prestigiose Università di Cambridge ed Oxford, partecipano ad un corso propedeutico estivo, proprio in vista degli esami in ingresso che dovranno sostenere. Il preside è un uomo orgoglioso, più interessato al prestigio della scuola che al futuro dei suoi studenti, fiero della facciata di rigore che ha costruito (salvo poi lasciarsi andare un po' troppo con la segretaria). I tre professori, incaricati di preparare gli alunni all'esame, sono con gli studenti i veri protagonisti della narrazione. La professoressa Lintott, fautrice di un metodo d'insegnamento tradizionale, è forse il personaggio più concreto. In lei traspare una sottile melanconia, un certo senso di inadeguatezza, mitigato da un certo fiero femminismo. Il professor Hector è un eccentrico pedagogo, amante della poesia, colto e col gusto per la citazione. Ama davvero ciò che insegna, ed odia che il bagaglio di conoscenze sia svilito dalla necessità pratica di superare un esame. Il suo opposto è rappresentato dal giovane professore Irwin, spietato nel vendere la verità al fine pratico di dare agli studenti gli strumenti per superare il test d'ingresso nelle Università. «Mollate il branco.», dice Irwin «Seguite Orwell. Siate provocatòri. E già che cito Orwell, prendete Stalin. Tutti lo definiscono un mostro, e hanno ragione. Quindi voi dissentite. Trovate qualcosa, una qualsiasi cosa da dire in sua difesa. Oggi la storia non ruota intorno alle convinzioni. È performance. È spettacolo. E quando non lo è, fate in modo che lo diventi.»

LA MORALE – La commedia di Bennett vibra d'intelligenza; anche quando la risata è scaturita dall'equivoco, o dall'esplicito ricorso alla sfera semantica dell'erotico, il lettore si rende conto che al di sotto c'è sempre un senso più profondo. Chiedendosi cos'è la storia, come dev'essere studiata e come insegnata, Bennett sfuma verso un concetto che ha dell'esistenziale. Perché il vero tema della commedia è in realtà la vita. Al di là di libri ed esami, la vera storia, quella di ognuno, è fatta da momenti, da eventi che non serviranno mai a superare l'esame per Cambridge. Quella di Bennett è insomma insieme una pungente satira contro il mondo accademico, e un'intelligentissima riflessione. Dopo i sorrisi e le risate, il lettore viene coinvolto in una riflessione interiore, che – come la prefazione ben spiega – nasce direttamente dall'esperienza autobiografica dell'autore. Ma la commedia è un gioco in cui i valori sono costantemente sospesi, quasi sempre annullati, ribaltati. Il significato vero della narrazione è proprio l'assenza apparente di significato; di come ogni cosa sia relativa: l'amore, la poesia, la vita e la morte. E la storia, soprattutto la storia.

pubblicata anche: laRotaliana.it

sabato 28 gennaio 2012

Vento

piccolo sfogo in versi, non chiamiamolo poesia (sarebbe una sopravvalutazione), minimamente autobiografico.

Poggio i remi
nel vento
volto, giro
per Dio!

Dov'è la rotta?
S'è perso,
s'è perso!
In balia del vento,
s'è perso.

Grido, strattono
il cielo
di insulti,
faccio fulmini
di bestemmie.

Ma la luce
non taglia il vento,
dov'è la via,
dove ho gettato i remi?

Come si ferma il vento,
come si bacia il vento?

sabato 31 dicembre 2011

Whatever will be

«Vedo che i giovani d'oggi s'industriano con ogni mezzo a dimenticare il tempo vivendo un eterno presente senza passato e senza futuro. Ma non è facile dimenticare il tempo. Noi ne siamo intrisi, la nostra identità è nutrita dal sentimento del tempo, la nostra differenza da tutte le altre specie viventi consiste in quel sentimento che soltanto a noi è riservato.» E. Scalfari

Odio ed amo questa mia personale tradizione, di fare un bilancio della mia vita ogni primo gennaio (più o meno, oggi è il 31, non stiamo a sindacare). Credo siano molti che, molto tristemente, ogni nuovo calendario s'accorgono che un altro anno è passato. Che il tempo scorre, e non lo si può fermare. Per me non è un dramma, è solo un cambio di calendario, uno fra i tanti che ancora mi aspettano. O almeno lo spero.

***

Bene, è una tradizione, quindi. Lo è diventata; è dal 2009 che rendo pubblico ciò che penso di me, ogni inizio di anno nuovo. Da cosa posso partire, per fare un bilancio? Ovviamente dal rileggere ciò che scrivevo gli altri anni:

2009  //  2010  //  2011

Mi fa uno strano effetto rileggermi. In primis, perché mi rendo conto che sono un mare di retorica. Non sempre, sia chiaro, ma forse il parlare di me stesso mi rende più melodrammatico. Ed anche un po' triste. Forse preferisco semplicemente scrivere degli altri, di personaggi veri o inventati, raccontare storie altrui, non la mia. Perché quando ci si guarda dentro è sempre un po' pericoloso, il rischio è di trovare lati che non pensavi di avere, oppure che tenevi nascosti, tappandoti le orecchie a più non posso. Va beh, facciamolo.

***

Retorica, appunto. Quella che mi spingeva l'anno scorso a ripromettermi di tuffarmi nel mare, rischiando di rompermi le ossa o di nuotare finalmente. L'ho fatto? Ma va! Non potevo sperare davvero che il 2011 cambiasse la mia vita. Per farlo, avevo bisogno di un numero pari. Il 2012 è l'anno giusto! Come suona bene… duemilaedodici…duemilaedodici… lo ripeterei per un anno intero… duemilaedodici… Quando ti sei laureato? Nel duemilaedodici! Bingo!

Non lo credo davvero. Non credo che sarà il prossimo, l'anno della svolta. Però, a quanto pare, sarà davvero l'anno della mia laurea. Se i Maya non metteranno lo zampino, anticipando di qualche mese la fine del mondo, l'anno prossimo sarò un dottoredelbucodelculvaffanculvaffancul. Non male, primo obiettivo raggiunto, ranger. La missione continua.

***

Tempo di bilanci, allora. Cosa c'è stato davvero di buono nel 2011? Ho conosciuto nuove persone, ed ho trovato nuovi stimoli. Di per sé ho continuato a percorrere la stessa identica strada, ma finalmente qualcuno si sta accorgendo di me. Non miro affatto ad un riconoscimento, ma che qualcosa mi venga riconosciuto, non posso fingere che non mi faccia piacere. Sto trovando nuovi spazi per esprimermi, nuove pagine bianche da riempire, nuovi mondi da esplorare (la missione continua, appunto). 
Accanto a me ho sempre la luce di quello stesso faro, sempre più luminosa. Non è una candela, è una costellazione di immensità, è un universo di irrazionale potere. Senza lei non sarei io, l'io di adesso. Penso questo, questa è la mia idea.

***

Allora, per il nuovo anno per una volta non mi auguro un cambiamento. Non per forza qualcosa che sconvolga la mia vita. Intanto, mi basta continuare così. Poi… que sera, sera, whatever will be, will be.

venerdì 16 dicembre 2011

Pogrom moderni: gli Italiani sono razzisti? Ed i Trentini?

Mio articolo pubblicato qui: http://www.larotaliana.it/home/i-commenti/item/1475-pogrom-moderni-gli-italiani-sono-razzisti?-ed-i-trentini?.html


Trento - Pensavo di iniziare questo articolo con una premessa: gli storici sono indispensabili alla società; gli storici permettono di comprendere meglio sia il passato, sia il presente. Sarebbe stato contento l'amico Andrea, che su queste pagine (e non solo) scrive proprio di storia. Ma qualcuno, che si è avventurato sulle nostre modeste biografie nella pagina della Redazione, si sarebbe accorto che anch'io sono ormai prossimo alla laurea in storia, e sarebbe così crollato tutto il palco, e si sarebbe compreso che non posso essere del tutto oggettivo.

CAUSE PERSE - Ed allora al diavolo il cappello introduttivo; non diamo a tutti gli storici l'onore di essere esaltati in un articolo de laRotaliana.it. Lasciate però che vi consigli un libro, che, da solo, vale ben più di ogni parola che potrei spendere in questo senso. Sto parlando di Cause Perse, un diario civile, di Adriano Prosperi, uscito lo scorso anno (2010) per Einaudi.

LO STORICO - Adriano Prosperi è professore ordinario di Storia moderna alla Scuola Normale di Pisa; ha scritto Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari (Einaudi, 1996), forse uno dei libri più belli della storiografia contemporanea. A lui si devono degli studi fondamentali sul mondo degli eretici e l'inquisizione, sulla Riforma, sulla Controriforma, sulla cultura in età moderna, sullo stesso Concilio di Trento. Prosperi è insomma un uomo d'alta dignità accademica, apprezzato in tutto il mondo per le sue qualità intellettuali.

IL TESTIMONE - Ma Prosperi non è rimasto confinato sulla cattedra universitaria; in parte grazie al suo carisma e le sue capacità di scrittore, in parte anche grazie all'intuito di chi lo ha ospitato, lo storico ha smesso di scrivere soltanto del passato, ed ha iniziato a riflettere anche sul presente. Cause Perse è proprio questo: la raccolta di una serie di editoriali che l'autore ha pubblicato sul quotidianoLa Repubblica, e che trattano di argomenti di attualità, commentati con lo sguardo dello studioso.

ITALIANI RAZZISTI - Come sottolinea Giuseppe Marcocci nella postfazione al libro, il vero impegno civile del testimone Prosperi nasce da una domanda, fondamentale, che non può evitare di porsi: «Come e perché gli italiani sono diventati razzisti?». L'interrogativo parte dalla cronaca, da quel giorno del maggio 2008 in cui si diffuse la notizia che una giovane donna rom avrebbe tentato di rapire una bambina di sei mesi; gli abitanti del quartiere Ponticelli a Napoli appiccarono il fuoco alle baracche del vicino campo. La notizia di allora è in questi giorni tornata tristemente di grande attualità. Da una parte per il folle omicida Gianluca Casseri, il militante di destra che martedì scorso (13 dicembre), a Firenze, ha aperto il fuoco contro i senegalesi, uccidendone due e ferendone altri tre. Dall'altra per quanto è avvenuto a Torino, dove una ragazzina di sedici anni che ha perso la verginità in un rapporto consensuale con il suo ragazzo, ha pensato di rimediare alla sua “onta” accusando di stupro degli zingari romeni. Accusa inventata, ma che, come era avvenuto nel 2008 a Ponticelli, ha portato una folla di circa 500 persone a bruciare le baracche del vicino campo. A quanto scrive il Corriere, quando i Vigili del Fuoco hanno cercato d'intervenire, i manifestanti si sono intromessi, urlando che gli zingari dovevano bruciare.

POGROM MODERNO – La definizione che meglio si addice a fenomeni di questo genere, secondo Prosperi, è quella di “pogrom moderno”. «Da oggi», scriveva Prosperi all'indomani di quanto accaduto a Napoli, «la parola “pogrom” ha cessato di indicare solo tragedie di altri tempi e di altri popoli per diventare la definizione di atti compiuti da folle di italiani». Leggendo quanto Prosperi scrive, riusciamo a tracciare un'inquietante similitudine su quanto avveniva in un passato che ci sembra fieramente lontano, e la realtà di ciò che ancor oggi leggiamo sui giornali. «Ci sono altre storie», continua Prosperi «che hanno un sapore tristemente familiare: quella del bambino rom che non vuole più andare a scuola perché i compagni lo escludono dal gruppo e dicono che è sporco, che puzza. Anche per gli ebrei dei secoli scorsi si diceva che fossero sporchi e riconoscibili dall'odore; ma lo dicevano coloro che prima li avevano chiusi negli spazi stretti e senza acqua dei ghetti».

TRENTINI RAZZISTI – Anche Trento ha la sua triste tradizione di antisemitismo. Il caso più celebre è quello del piccolo Simone, che sin dalla prima età moderna e fino al 1965 era venerato come beato. La credenza popolare, sostenuta dall'allora vescovo Johannes Hinderbach, voleva che il fanciullo fosse stato ucciso dalla comunità ebraica locale. Gli Ebrei trentini furono torturati, costretti alla confessione e poi uccisi. Il Simonino fu chiamato Santo, e gli si attribuirono anche dei miracoli. Ma ora che finalmente il culto del Simonino è stato decanonizzato, e che anche Trento sembra aver richiuso certe ignoranze popolari nello scrigno del passato, nella nostra città si è definitivamente sconfitta la xenofobia?
In un articolo per QT di qualche anno fa, e che ancora si può leggere in internet, Mattia Pelli rifletteva sulla notizia dell'arresto di due nomadi, la cui “gravissima” colpa era stata quella di aggirarsi «con fare sospetto» nell'area Ex Zuffo. Sul percorso della ferrovia Trento-Malè-Marileva, la famosa “vaca nonesa”, la fermata di Lamar è proprio vicino ad un campo nomadi; nel corso dei miei viaggi mi è capitato spesso di sentire commenti, da parte di giovani ragazzi o di distinte vecchine, che poco si discostano da quelli dei manifestanti di Torino.

Questi, piccoli indizi presi dal mucchio, sono davvero segnali d'allarme? C'è davvero il pericolo che anche Trento si risvegli, un giorno, infestata dal fumo di un “pogrom moderno”?