domenica 27 marzo 2011

Il pasticcio italiano nella questione libica

Vi siete mai trovati in quella situazione orribile di avere due amici che litigano fra loro? Letteralmente è come essere fra il martello e l'incudine, ascolti uno e ti pare che abbia ragione, poi vai dall'altro e rivedi le tue idee. Se poi prendi le difese di uno, è facile che ti ritrovi a litigare con l'altro. Una situazione in cui si potrebbe uscire esercitando la difficile arte della mediazione, ma non sempre è possibile.
Ecco: la situazione italiana (da leggersi 'del governo italiano'), alla vigilia della guerra in Libia, era questa. Da una parte l'amico Gheddafi, quello che nell'agosto scorso era stato invitato in Italia con tutti gli onori, dall'altra la cosiddetta comunità internazionale, che non poteva restare ferma a guardare il primo massacrare il suo stesso popolo. 
Andiamo con ordine. In un bellissimo libro [1], anche se ha già qualche anno (è del 1998), il geografo Giacomo Corna Pellegrini sottolineava le tre correnti culturali che caratterizzavano il paesaggio libico. Da una parte la Libia colonia italiana, che sopravvive nell'edilizia di stile "fascista", ma anche in elementi culturali "rinforzati recentemente dalla visione delle televisioni italiane". Vi è poi "l'antica tradizione locale, di cui Re Idris era espressione" che, ci dice Corna Pellegrini, "sopravvive nei circoli familiari, nelle campagne, tra le generazioni più vecchie (nelle modalità del vestire, dell'abitare, del rapportarsi tra uomini e donne, vecchi e giovani). La Libia moderna è quella, invece, cui il petrolio ha cambiato volto e cui la dittatura" - sì, che in Libia vi fosse una dittatura, meglio chiarirlo, lo si sapeva ben prima della ribellione di quest'anno - "ha impresso la durezza della repressione d'ogni opposizione politica all'interno". 
Ma il primo elemento per descrivere la nuova Libia, Corna Pellegrini lo trovava proprio nel petrolio. Leggendo questa descrizione, alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, allora torna alla mente ciò che aveva scritto Eduardo Galeano, in occasione di un altro intervento occidentale a favore della democrazia: "Se l'Iraq producesse rape invece che il greggio a chi verrebbe in mente d'invadere Bagdad?"[2] . La reazione di Gheddafi è stato il casus belli, l'occasione che nazioni come la Francia stavano aspettando per ridiscutere la divisione dell'oro nero libico.
Di per sé è un capolavoro di diplomazia, un affare colossale. Certo, basta un minimo d'intelligenza per capire come il petrolio sia un elemento chiave della guerra libica. Ma d'altra parte, l'opinione pubblica, quella che generalmente si schiera contro ogni guerra, comprende che senza l'intervento militare di potenze occidentali il dittatore sarebbe stato libero di soffocare nel sangue le ribellioni del popolo.

Ritorniamo alla metafora dei due amici che litigano fra loro. L'Italia è proprio in questa situazione: è la maggiore importatrice del petrolio libico [3], e per questo motivo non può evitare un intervento, che le permetta di sedere all'eventuale tavolo dei vincitori della guerra. Ma non può nemmeno palesarsi come conquistatrice di un paese con cui ha di recentemente stretto un trattato di amicizia. Trattato in cui, fra l'altro, era esplicitata la promessa di non-attacco reciproco fra Italia e Libia.
Insomma: quello che per gli altri paesi è un capolavoro di diplomazia (la possibilità di intervenire per i propri interessi, con la scusa di proporsi come difensori dell'ordine del mondo), per l'Italia è un gran casino!

La soluzione di Berlusconi è stata in linea con il suo ruolo di magnate televisivo. Ancora una volta è riuscito ad orchestrare una via mediana, in cui ha tentato di cercare definizioni proprie, che gli permettessero di uscire da quest'impiccio. Lo ha fatto parlando a giornali e televisioni, ma decidendo (e probabilmente non è un caso!) di non esporsi a Senato e Camera, dove l'autorizzazione all'intervento in Libia è stata richiesta dai ministri Frattini e La Russa. In pratica, la linea del presidente del consiglio è stata quella di partecipare alla guerra, ma dichiarando che l'Italia non è in guerra (che contraddizione di termini!). Di più: che degli aerei italiani stavano in effetti volando sui cieli libici per collaborare alle operazioni militari, ma che non avrebbero sparato nessun colpo (come se fosse già possibile prevedere in anticipo l'evolversi di un conflitto militare!). Così l'Italia ne esce come la Rosalia dei Malavoglia, ancora "né carne, né pesce", a metà strada fra una scelta e l'altra, senza alcuna forza per imporsi. Un presidente con ancora le terga al vento, che tenta di riallacciarsi i pantaloni, ma non ci riesce.

opere citate / note:
[1] G. C. PELLEGRINI, Il mosaico del mondo. Esperimento di geografia culturale, Roma: Carocci, 1998, pp. 183-184.
[2] cit. in P. BATTISTA, I neopacifisti e il petrolio. Torna il partito di 'chi non se la beve', Il Corriere della Sera, giovedì 24 marzo 2011, p. 3
[3] http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=36895

1 commenti:

Floriano ha detto...

Da notare sopratutto che l'attacco francese è partito non appena le notizie nucleari giapponesi si facevano più allarmanti.

Che Sarkozy l'anno prossimo si voglia ricandidare puntando sulla chiusura delle centrali nucleari (e quindi su un uso del petrolio come fonte energetica alternativa)?