mercoledì 29 dicembre 2010

Le Chat


foto di Susanna Alessandrini

1488

Ho comprato Lolita di Nabokov, perché lo volevo leggere, ma anche con un po’ di vergogna per aver vissuto ventitré anni della mia vita senza aprirlo mai. Senza emozionarmi già solo per quell’incipit (di più ancora non ho letto), per quella meravigliosa descrizione: “Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.” Pura meravigliosità narrativa, melodica e lirica. Eppure eran passati ventitré anni, ed ancora, fino a ieri, Lolita restava un consiglio, un progetto, un libro-che-leggerò.

Esistono, e si ritrovano anche in internet, degli elenchi di libri che si dovrebbero leggere prima di morire. E’ un elenco sempre arbitrario, ma che porta anche molti lettori fecondi ad una serie di questo-non-l’ho-letto, che atterrisce un poco.

Mi son messo a fare un calcolo. Mettiamo per ipotesi che si riescano a leggere due libri per intero, nel corso di un mese (mi sembra comunque già una buona media, se si considerano i soli libri letti per diletto, e non per studio), si avranno poi ventiquattro libri letti in un anno. Ipotizziamo pure che un lettore inizi a leggere a quindici anni (molti, per fortuna, iniziano anche molto prima, ma i quindici anni mi sembrano comunque la giusta età per acquisire coscienza del piacere della lettura), e che per limiti d’età legga fino ad ottant’anni (ancora: per fortuna molti riescono a leggere anche oltre). Si avranno quindi sessantadue anni da lettore, che - moltiplicato per ventiquattro libri letti all’anno - significano 1488 libri letti nel corso di una vita. Senza considerare i periodi in cui non si riesce a leggere, le malattie, le sventure, i pensieri che corrono verso tutto ciò che non è il libro dimenticato sul comodino.

Gli elenchi di cui parlavo sopra, quelli che pretendono di indicare i libri che si dovrebbero leggere prima di morire, già da soli spesso consigliano 1000 libri. Eppure ancora, ognuno di noi, in quegli elenchi non ritrovano il proprio scrittore preferito, c’è persino chi si indigna per certe assenze clamorose. E ci sono i gusti personali, l’incapacità di sopportare certi autori, la voglia quasi feticistica di conoscere tutto di un determinato scrittore. Mamma mia: questi 1488 libri sembrano così pochi, che crescere senza sapere di Lolita e le sue seduzioni sembra quasi probabile. Figurarsi, poi, per quelle persone - troppe - che si vantano di non sfogliare mai nessuna pagina diversa da quella del quotidiano sportivo. Si può vivere senza leggere, mi si obietterà. Certo: si può; senza emozioni, senza amore: si può vivere senza ideali, senza profumi, senza battiti, senza musica. Si può esistere e basta. Ma che vita grama, che vita inutile. Non voglio vivere così, voglio cogliere tutto ciò che posso, prima di dover chiudere l’ultima pagina.

Perdonatemi allora se prenderei a calci l’editore che pubblica il libro-brutto-che-però-si-vende, ma so che non c’è tempo.. abbiamo solo un migliaio di libri ancora da leggere, forse dovremmo sceglierli bene.

martedì 28 dicembre 2010

A bordo d'un foglio

Nel mondo esistono persone che, per ciò che fanno, sembrano essere usciti dalla mente di un poeta. E' il caso di un vecchio uomo che ho conosciuto questa mattina; il volto corrucciato, la voce che sembrava corrotta forse dal troppo fumo di una vita. Biblioteca di Trento, prima mattina, gli studenti dagli occhi stanchi, io che tentavo di studiare una complicata analisi critica sul Manzoni (forse non il menù perfetto per iniziare la giornata, ma non si può scappare - in eterno - dagli obblighi). L'anziano si è seduto alla mia sinistra, ha tratto da una borsa un piccolo blocco con dei fogli bianchi. Tossendo un poco, ha iniziato a disegnare con dei gessi ed una penna; io, curioso, cercavo di spiare, facendo scivolare lo sguardo al di là del mio libro su suoi fogli. Ma non riuscivo a capire cosa stesse disegnando esattamente, perché non volevo apparire indiscreto col mio spiare. Ed invece era lui, senza che io me ne accorgessi, a spiare me, a riportare su carta i tratti ammorbiditi del mio volto. Mi ha regalato una caricatura, un ritratto, del mio viso, e per me è stato un bellissimo dono. Non ho avuto il tempo di chiedergli il nome, si è alzato tossendo, e se ne uscito dalla biblioteca.

martedì 14 dicembre 2010

Gli ebook possono cambiare il popolo? #2

Susanna, nella sua pragmaticità, mi ha suggerito che un lettore rimarrà un non-lettore, sia col supporto cartaceo, sia con l'ebook. Chiaro, il mio blog precedente (questo) era giocato su un filo di utopia ed idealismo. Resto comunque dell'opinione che l'ebook dovrebbe essere meno demonizzato. Ma posso sempre cambiare idea, la discussione l'ho aperta appositamente. Aspetto, ahimè credo inutilmente, altri commenti.

Gli ebook possono cambiare il popolo?

Discutendo, per quanto possibile in 140 caratteri, sull'ebook in twitter, ho ricevuto una bella risposta di Giovanni Maria Vencato. "I libri sono come l'eroina, leggi perchè per un po' stai meglio". Ci ho riflettuto, e penso che sia proprio una bella definizione. 
Aggiunge "non metterei l'accento sull'aspetto etico della lettura". Il motivo è l'interrogativo che io gli ponevo: "se l'alternativa all'ebook è il nulla,allora forse val la pena di accettarli?in modo che si diffonda un po'di coscienza..o no?". Ecco appunto l'aspetto etico della lettura, quale veicolo principale, io credo, della diffusione di una coscienza civile (prima ancora che intellettuale). Sull'aspetto ho già riflettuto su questo stesso blog (qui): l'ebook può essere un compromesso per difendere e diffondere il piacere della lettura; quasi fosse il veicolo di quella che Vencato definisce "eroina"?
Si legge per piacere, sono d'accordo, ma non c'è anche un aspetto subliminale nella lettura? Chi legge non impara sempre qualcosa, anche senza accorgersene? Dipende da ciò che si legge, sia chiaro. Nel mercato della narrativa non tutto ciò che si vende è pedagogico, e forse ha proprio ragione Vencato nel porre l'accento sull'aspetto più ludico e di disimpegno ("per stare meglio") della lettura. Ma forse illusoriamente io ritengo che un popolo di lettori, sia sempre un popolo illuminato. E siccome il demos ha ancora un certo - seppur relativo - potere, allora un popolo colto e cosciente dovrebbe essere davvero l'auspicio comune. E può la diffusione della lettura creare questo popolo colto, contro quell'anticultura, rappresentata forse dal mezzo televisivo? E' pur sempre utopia, ma se così non fosse, io continuo a ritenere che l'innovazione tecnologica dell'ebook potrebbe portare altre menti ad entrare in contatto con il piacere della cultura, ed i suoi effetti benevoli.
I Lettori, quelli veri, continueranno a preferire il profumo della carta, il calore delle librerie, il vanto di scaffali pieni di volumi e polvere. Ma forse non dovrebbero vedere gli ebook come i nemici assoluti, più gravi persino dell'ignoranza e dell'ostracismo al libero pensiero. 

giovedì 9 dicembre 2010

Semi

Credo molto in questo blog, e ne è testimonianza il fatto che sia, per ora, ancora vivo. Ormai non riesco più a contare i progetti che ho lasciato naufragare nel corso della mia vita, idee a cui credevo sinceramente, ma a cui ho smesso di occuparmi, per pigrizia o perdita d'interesse. Credo sia normale; ancor più per chi, come me, ha una certa emotività, vive di sensazione, spesso d'istinti (a volte mediati da un certo raziocinio, ma in genere sempre d'istinti si parla). Ebbene: a distanza di qualche anno da quell'agosto 2008, eccomi ancora a scrivere su queste pagine, nella speranza di poterlo fare ancora a lungo. 

Eppure vi sarete resi conto - o voi pubblico di lettori fantasma - che gli aggiornamenti si stanno facendo più radi. Sto forse perdendo interesse anche per il blog? Ma va, se ho appena scritto che ci credo molto. Ci credo, come il contadino crede al campo dove mette il seme, anche se dovrà aspettare mesi prima di raccoglierne i frutti. Io credo che ci vorranno anni, ma un giorno raccoglierò i frutti anche di questo spazio dimenticato. 
Allora perché sto scrivendo così poco? Ecco: mi ricollego al discorso appena fatto. Non solo uno, ma molti sono i semi che sto distribuendo in questo periodo. L'anno si sta piano piano chiudendo, e presto sarà ora di fare quella sorta di esame di coscienza di ciò che l'anno passato è stato, com'è orma tradizione su queste pagine (2009 e 2010). Sarà ancora strano rendersi conto che nulla è veramente cambiato; ma non vorrei che questo intervento suoni come un triste riconoscimento della staticità della mia vita. In realtà tutto è in evoluzione, tutto in movimento, tutto - soprattutto - in costruzione. La mia esistenza, proprio come questo blog. In attesa di un futuro, che vorrò godermi col sorriso di chi ha faticato per conquistarlo.

PS: nella retorica, ho dimenticato di specificare che in questo periodo scrivo meno nel blog proprio per mancanza di tempo.. (era intuibile!). Studio, lavoro, affetti, sogni.. tutto mi tiene occupato, mi stanca persino. Ma sono fiero di dire che questo è ciò che voglio!

mercoledì 1 dicembre 2010

H-Factor. Ovvero, speranze per il futuro.

Fra i ricordi migliori di quel lungo periodo del liceo, vi era quella settimana di febbraio definita, con una sorta di neologismo, cogestione. Pareva quasi una reminiscenza sessantottina, lontano eco delle occupazioni, in realtà un modo per staccare fra la fine del primo e secondo quadrimestre. In concreto, erano tre giorni (quindi non una vera "settimana") in cui si sospendevano le normali attività didattiche, sostituite da conferenze alternative, in teoria pensate ed organizzate da docenti e studenti. Non tutti i professori, in effetti, erano d'accordo; anzi, in una scuola con quella patina un po' arcaica, quale era - ed in parte è ancora, sebbene già nei pochi anni della mia frequenza le cose siano cambiate non poco - il liceo classico di Trento, si elevavano sempre i cori contrari. "E' solo una perdita di tempo", sbottava la vecchia di turno; lei che uno speciale-parlamento avrebbe dovuto condannare per l'uccisione culturale che portava avanti ogni giorno, arroccata sulla cattedra, con metodi paleolitici, contraria ad ogni ammodernamento (che non fosse l'aggiornamento mensile dello stipendio). In realtà, non è un caso che ricordo ancora quei momenti come i migliori della mia formazione, attimi in cui mi accorgevo di uno dei pregi migliori della cultura…anzi, di più: dell'umanità, della natura, della vita…la varietà. Il saper cogliere stimoli ovunque, l'inseguire il piacere di ciò che piace, l'uscire dagli schemi di programmi-di-studio, di ciò-che-si-deve-fare; cogliere il pregio dell'humanitas, un elevamento dello Spirito, dell'anima. Che gran soddisfazione capire che tutte queste cose erano inarrivabili per quelle stesse vecchie-megere in cattedra. Che bello scoprire che essere giovani significa avere una marea di chiavi, e poi basta solo capire quali sono le porte che possiamo aprire.

Certo, nel concreto questi sono tutti pensieri che ho compreso solo di recente, ammetto che ai tempi il tutto mi sembrava un "modo migliore per cui alzarsi la mattina e andare a scuola". Ma d'altronde credo che molti dei migliori insegnamenti ci arrivano addosso, senza nemmeno che ce ne rendiamo conto.

(Piccolo aneddoto: è proprio durante una di queste conferenze che ho conosciuto Giancarlo Alessandrini, grandissimo disegnatore della Bonelli. Io da appassionato di fumetti, e di Dylan Dog in particolare, avevo vinto la mia proverbiale timidezza, ed avevo chiesto di fotocopiare una tavola dell'Indagatore dell'Incubo, nella versione nata dalle sue chine. Me l'ero portata a casa con gioia ed orgoglio, con tanto di dedica e firma.

Ebbene: qualche anno dopo, per altre strade, ho conosciuto quella che di Giancarlo Alessandrini è la figlia, Susanna, di cui si ritrovano tracce in altri miei interventi nel blog (più o meno esplicite). La stranezza sta nel fatto che in realtà non sapevo delle parentele-celebri di Susanna, con cui nel frattempo avevo avuto qualche flirt. Immaginatevi la stranezza di scoprire la firma del padre sul muro di casa mia, la sera in cui strane coincidenze l'hanno portata a dormire da me.
Tra l'altro, sempre per la cronaca, io e Susanna ora siamo felicemente innamorati, da ormai "quasi" tre anni).

L'atmosfera di quei tempi passati, l'ho ritrovata incredibilmente oggi, presso la mia università. L'iniziativa, dal nome simpatico (ma anche un po' inquietante, nello scoprire ancora una volta quale sia l'influenza televisiva su tutto) di H-Factor, era volta a dar credito alla facoltà umanistica, nei suoi sbocchi lavorativi. Quali sono le possibilità che si aprono per i laureati; quali possono essere i punti d'incontro con le aziende, quali i pregi in genere degli umanisti? Pare un normale incontro orientativo, come molti se ne hanno nelle università, ed ancor prima proprio nei licei. In realtà è il tentativo, difficile, di far comprendere che una laurea in Lettere non significa, a prescindere, un antipasto al sussidio di disoccupazione. E' una crociata che, nei mille dialoghi avuti a riguardo, porto avanti da molto tempo; avere un supporto da chi non si è nutrito di soli sogni, ma anche di pane conquistato da vero-lavoro, è stato il primo aspetto della giornata di oggi.
In pratica: durante la giornata si sono alternati diversi relatori, ognuno portatore (più o meno sano) di una laurea umanistica. Sono stati loro, forti di un'esperienza decennale, a farsi testimoni di come anche il laureato in Lettere può lavorare. Ed ancor più: essere apprezzato, ed aver successo.
Grazie a Alida Caramagno, archivista, Paolo Di Stefano, giornalista de Il Corriere della Sera, e Patricia Chendi, editor di Sonzogno (tutte persone che, più o meno, fanno lavori vicini ai miei sogni), son riuscito  finalmente a capire cosa dovrò rispondere a chi mi chiederà cosa voglio fare nella vita - spesso con un tono sprezzante, e mezzo-retorico -. 

"Io voglio fare l'umanista"

E cioè? non lo so ancora, ma ho ancora una vita per capirlo. E il giorno in cui arriverò a quello sbocco professionale, chissà dove sarà quel tale che mi chiedeva, con curiosità polemica, del mio futuro. Chissà se mi ricorderò ancora di lui, e lui di me.

PS: intanto, io un biglietto da visita me lo son portato a casa. Chissà che.. no beh, meglio non dar ordini al destino!

venerdì 26 novembre 2010

Si celebreranno i 150 anni dell’Unità con la chiusura degli Istituti storici nazionali!


ricevo questa mail, e condivido:
Si celebreranno i 150 anni dell’Unità con la chiusura degli Istituti storici nazionali!
Comunicato stampa della Giunta centrale per gli studi storici
La Giunta centrale per gli studi storici e i presidenti degli Istituti storici nazionali, anche a nome delle Società e Deputazioni di storia patria, esprimono la forte preoccupazione per la tragica situazione che coinvolge, con loro, tutti gli Istituti culturali. Ma vogliono anche sottolineare che la funzione affidatagli come strutture pubbliche istituite per la tutela della memoria e la promozione della ricerca storica viene praticamente meno come conseguenza dei tagli previsti per il prossimo anno. È paradossale e contraddittorio che proprio mentre si celebra il centocinquantesimo anniversario dell’Unità italiana si assista contemporaneamente alla cancellazione di quegli Istituti creati nel processo unitario per rafforzare e conservare l’identità nazionale.
Il dimezzamento dei già limitati finanziamenti costringerà nei prossimi mesi non soltanto alla sospensione delle attività in corso ma anche ad una chiusura delle strutture con danni irreparabili per il patrimonio culturale accumulato dal Risorgimento ad oggi: con la sottrazione delle risorse necessarie ci troviamo di fronte ad una lesione dell’autonomia delle Istituzioni culturali (sancita dalla Costituzione) e all’amputazione della memoria del Paese.
Prof. Paolo Prodi, Presidente Giunta centrale per gli studi storici
Prof. Andrea Giardina, Presidente Istituto italiano per la storia antica
Prof. Luigi Lotti, Presidente Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea
Prof. Massimo Miglio, Presidente Istituto storico italiano per il medio evo
Prof. Romano Ugolini, Presidente Istituto per la storia del Risorgimento italiano
Per informazioni: Agostino Bistarelli, Giunta centrale studi storici 0668805209
www.giunta-storica-nazionale.it

Rassegna stampa

lunedì 11 ottobre 2010

Nonna

NONNA
Sei sorta d'inverno,
coi capelli innevati,
mi tendevi la mano,
se cadevo sul ghiaccio.

Ti chiedevo del gelo,
mi rispondevi di camminare,
t'imploravo un sorso di sole,
non rispondevi nemmeno.

Fumavi il cielo,
e si trasformava in nuvole,
continuavi a camminare,
ed io ti seguivo.

Ti sei fermata su un prato,
ti ho chiesto dov'eravamo,
tu m'hai detto "a casa".

"Che casa?", ho chiesto,
"La tua casa" mi hai risposto,
"Questa è la primavera".

E sei sparita.
Daniele Erler
 
- ho preso questo vizio. La seconda poesia della mia vita -.

domenica 10 ottobre 2010

Vuoti a rendere

VUOTI A RENDERE
I pensieri sono insorti,
salpano nei greti,
si perdono sulle rive.

Cercano pescatori
con ami di cellule,
ed occhi e lacrime.

La carta l’inchiostra,
ma non è una prigione,
hanno ali per volare,
ed altre vite in cui vivere.
Daniele Erler
 
- sì beh son io, ma voglio sia chiara la mia colpa -.

venerdì 8 ottobre 2010

Generazione di muti

Sono in biblioteca, accanto a me decine di persone. Non ne so i nomi, rifuggo nei miei libri, non ne odo nemmeno le voci, spente dagli auricolari e le note d’una chitarra. Dovrei chiedere ad ognuno come sta, cosa sta studiando, scambiare opinioni su ciò che sto leggendo. Ed invece nemmeno li guardo, m’infastidisco persino se qualcuno dei loro sguardi scivola al di là dei fogli ed incrocia il mio. Siamo stati educati al rispetto della solitudine dei pensieri, alla mancanza di comunicazione; siamo una generazione che sta crescendo di fronte agli schermi; nei salotti il profumo del caffè e le risate sostituite dal volume d’un televisore, dall'asetticità di ingranaggi senza sentimenti. Veri sentimenti.
E così mi rendo conto di non saper più parlare, di non voler più parlare; nel futuro saremo tutti muti, come i ciechi di Saramago, ed anche le ultime tracce dei Romantici si ritrovano solo nei blog, su facebook, su twitter. Ma senza nemmeno un commento, virtuale almeno, perché i Romantici rifuggono dalla comprensione dei più; si guadagneranno al massimo un ‘mi piace’, due parole elementari, primitive, ma che hanno perso ogni loro significato.
Pubblico sul blog, chiudo il computer, vado in bagno. Potrei davvero essere muto, e nessuno se ne accorgerebbe.

lunedì 4 ottobre 2010

La notizia falsa



Sebbene cerchi di scrivere perlopiù materiale mio, come è giusto che sia, succede talvolta che trovi un articolo altrui talmente bello, geniale o interessante, che non posso esimermi dal volerlo condividere. Così da poterlo poi anche ritrovare nel tempo. E' il caso dell'articolo di Michele Serra, che ho qui copiato.


"Un importante quotidiano dedica la sua prima pagina al probabile ritrovamento di una cucina Scavolini. Un premier europeo è accusato di controllare 64 società off-shore attraverso le quali avrebbe sottratto 884 miliardi di lire al fisco del paese del quale è primo ministro. Un celebrato playboy viene accusato dal suo anziano amante gay di averlo mantenuto per anni. Un ministro definisce "porci" i cittadini della capitale del suo Paese. Un sindaco fa sgomberare dai carabinieri i giornalisti che volevano seguire una seduta del Consiglio comunale. Un miliardario a lungo latitante nei Caraibi torna in Italia per spiegare in televisione che i numeri vincenti del Superenalotto erano i suoi e non quelli della sua ex fidanzata, nel frattempo diventata moglie del presidente della Camera. Si indaga sui brogli elettorali che hanno falsato un reality-show. Il Papa annuncia che imbiancherà personalmente il suo appartamento in Vaticano. Viene reso pubblico il regolare contratto di assunzione (diecimila euro di stipendio al mese) con il quale un governo ha pagato il voto di due parlamentari esterni alla sua maggioranza. Una sola di queste notizie è falsa. Sapreste dire quale?"

Michele Serra, "L'Amaca", in La Repubblica, 29 settembre 2010


PS: soluzione dell'enigma: "Il Papa annuncia che imbiancherà personalmente il suo appartamento in Vaticano" (seleziona per leggere) è la notizia falsa.. il resto è purtroppo vero!

domenica 26 settembre 2010

Batman

giovedì 23 settembre 2010

WEEEE.

martedì 21 settembre 2010

Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo!

sabato 18 settembre 2010

Fotografia digitale (democrazia dell'immagine)

"L'avvento della foto digitale ha contribuito a rivoluzionare la comunicazione dell'era moderna. Non tanto e non solo dal punto di vista quantitativo e - almeno in parte - anche qualitativo, bensì come processo di "democratizzazione". Grazie a una tecnologia avanzata oggi centinaia di milioni di persone possono scattare immagini e metterle in comune attraverso internet. (…) E' evidente che l'immagine di qualità presuppone altri tempi, altra preparazione. La democrazia dell'immagine non cammina di pari passo con la virtù, con l'eccellenza. (…) Perché se è vero che oggi, grazie al digitale, siamo capaci tutti di scattare immagini "passabili", pochi però sono quelli in grado di renderle uniche e irripetibili."

GUGLIELMO PEPE, "Qui Italia", National Geographic Italia, Vol. 26 N. 3, Settembre 2010
foto di Vincent Laforet, con una Canon5DmII

martedì 14 settembre 2010

TG

Maurizio Costanzo, una persona su cui avrei molto da contestare, ma che non trovo giusto criticare a priori, ha recentemente chiesto a Mauro Masi, direttore generale RAI, come mai vedendo il Tg3 ed il Tg1 pare di essere in due Paesi diversi. Non dimentichiamo che lo stesso Costanzo è tornato proprio nell'azienda di via Teulada di recente - condurrà un programma quotidiano, che eviterò in realtà come la peste -, quindi bisogna riconoscergli un certo coraggio. Lo stesso che probabilmente ha portato Masi a negare l'evidenza.
La realtà è evidente: l'ha posta all'attenzione di tutti Maria Luisa Busi, lasciando nel maggio scorso la conduzione del Tg1, scrivendo una lettera molto intelligente. Ma, in nome della stessa intelligenza, bisogna ammettere che la credibilità del Tg1 era già evidentemente in pericolo, anche senza la presa di posizione di chi le cose le viveva dall'interno. Basterebbe ora lasciare a chi legge l'iniziativa di ricercare alcuni degli editoriali del direttore Minzolini, facilmente rintracciabili anche online, perché il giudizio su di lui sia semplice per tutti.
Esiste la libertà di una condotta editoriale di parte, e credo che sia uno dei principi fondamentali della democrazia: l'oggettività giornalistica è forse un falso mito, in quanto il giornalista - come soggetto pensante, con dei principi, delle idee, delle convinzioni, ecc. - raccontando un fatto, anche in minima parte, ci metterà sempre del suo. Ciò che importa è però che anche il normale cittadino, colui che necessita dell'informazione innanzitutto per il suo diritto e dovere fondamentale di andare alle urne, abbia la possibilità di scegliere; un cittadino davvero coscienzioso, e d'un'intelligenza e consapevolezza sociale quantomeno al di sopra della norma, tenderà ad ascoltare così più voci. Ancor meglio: cercherà di farsi la propria opinione, sottoponendo a critica tutte le voci altrui, dal giornalista amico a quello che la pensa diversamente.
La realtà ci porta però a pensare che esistono, nella società italiana, due problemi principali. Il primo è che l'influenza d'una determinata linea editoriale, e c'è chi lo ha esemplificato in un documentario, è quella nettamente più sovraesposta "mediaticamente". Su due livelli: quello esplicito dell'informazione di parte - IlGiornale, Libero, StudioAperto, in parte Tg5, molto più, paradossalmente, Tg1 -, quello subliminale d'un tipo di anti-cultura e di consapevole distrazione. 
Il secondo problema è il risultato del primo: il cittadino-medio tende, soprattutto per effetto d'una certa anticultura, a non voler ricercare l'oggettività nell'informazione, ma a fomentare il suo credo prendendo per buono ciò che legge, o evitando persino di leggere e fidandosi del sentito dire. Fossimo tutti illuministi, potremmo sperare che la ragione d'ognuno porti verso una ricerca, spesso tediosa e complicata, di questa verità. La realtà è purtroppo diversa, e lo si comprende sia da determinati risultati elettorali, sia dalle voci che si possono raccogliere negli autobus, nei bar, per le strade, nella stessa televisione o nei social network. L'ignoranza, sia essa sulla politica, sulla società, sulla cultura in senso lato, sulla Musica, l'arte o la letteratura, raggiunge livelli sconfortanti.
In questo scenario, che spero sia più pessimista che realistico, fa quindi piacere il recente successo d'ascolti di Mentana, nuovo-direttore del Tg de LA7. Potrebbe essere l'indizio d'un risveglio delle masse, d'un nuovo interesse per il giornalismo di qualità. O semplicemente infine la possibilità, per chi non riusciva a trovare il suo posto in un ventaglio d'informazione piatta e perlopiù allineata, di attingere ad un professionista che sa fare il lavoro di giornalista, e non si limita a quello del servo. La speranza è sempre quella che chiunque possa riuscire ad avere la dignità di cercare i diversi punti di vista, e di elaborare così il suo; ma chi non lo vuole fare, per favore spenga Minzolini, ed accenda Mentana. E scusate se anch'io sono di parte.

lunedì 13 settembre 2010

Determinate aree…

giovedì 9 settembre 2010

[REC] Stephen King, L'acchiappasogni

Quando ci si abitua a certi standard qualitativi, è difficile poi prendere con serenità un passo falso.



Stephen King non è mai stato uno scrittore che ha scritto particolarmente bene, se prendiamo, intendo, come metro valutativo l'estetica del linguaggio utilizzato. Il motivo è banale: la sua è una narrativa d'evasione, non ha l'interesse un po' accademico - un po' edonistico - di colpire il lettore con ogni singolo vocabolo utilizzato. La sua è pura fiction, del tipo che per di più vanta la scritta "best seller" in copertina. La sua è certo una narrativa un po' di genere, fra horror e fantascienza, ma è comunque letta da un pubblico vasto, e non selezionato. E' il discount della narrativa, e questa sua caratteristica è stata in passato il motivo di critiche poco lusinghiere; ci si deve però rendere conto che non esiste solo la narrativa - o sarebbe meglio dire la letteratura - con la N o la L maiuscole. Esiste la narrativa che non è un piacere intellettuale, ma un piacere sensoriale. Quella che ti lega alle pagine non perché ti accresce culturalmente, ma perché ti fa passare il tempo, perché ti attrae, perché…semplicemente "ti piace la storia".
In appendice al libro che sto recensendo, L'Acchiappasogni (2010,  Sperling&Kupfer, ed. or. 2001), è riportata una citazione dello stesso King, che in parte avvalla questa mia premessa: "A me interessa aggredire le emozioni dei lettori, scipparle. Non credo che i libri debbano essere una questione intellettuale. Il mio lavoro è quello di farvi bruciare la cena mentre leggete. Se poi spegnete la luce e avete paura che ci sia qualcosa sotto il letto, bene." Ecco, nelle sue parole ben si spiega ciò che intendo. E' un discorso che non mi sento di condividere in pieno - i libri, o almeno alcuni libri, sono esattamente una questione intellettuale! -, ma che esprime con precisione lo stile di King. E della maggior parte degli autori di narrativa.
Ed allora dove stanno quegli standard qualitativi, di cui parlavo in apertura? Se non nell'estetica della scrittura - beh, piccola precisazione: King sa scrivere, ed anche molto bene… ma non è né un Oscar Wilde, né un Saramago; e nemmeno vorrebbe esserlo -, sicuramente nella capacità d'inventare. Non nella cornice, ma nella sostanza. Non è uno scrittore barocco, il suo talento lo si trova nella straordinaria capacità d'evocare storie, incubi ed emozioni. Si leggano It (1986) e Misery (1987), probabilmente i suoi due capolavori del filone orrorifico, per comprendere appieno quale sia il dono che lo ha reso così celebre.
Sorprende quindi che L'Acchiappasogni abbia un intreccio meno riuscito, quasi un gioco sarcastico di citazionismo, in cui si riprendono canoni propri di certa fantascienza, e li si fa propri in un contesto originale e non sempre efficace. Così la possessione aliena avviene attraverso l'incorporamento di esseri mostruosi, definiti dai protagonisti come "donnole di merda" (sic!), che si palesano attraverso le nauseabonde scoregge (di nuovo sic!) degli sfortunati impossessati. Di tutti, sia chiaro, tranne uno dei protagonisti, Jonesy, che la presenza aliena - definita Mr. Gray, ed è ancora una citazione - riesce solo a controllare a livello intellettuale, provocando allucinazioni e deliri. Fintantoché lo stesso Jonesy rimane seduto in una sorta d'ufficio nel suo cervello, il controllo alieno avviene anche sul fisico di Jonesy (che è così costretto a macchiarsi di svariati omicidi). Ma mentre Mr. Gray inizia la sua umanizzazione scoprendo il fantastico mondo del bacon (ancora sic!), con l'aiuto di Duddits - un ritardato, conosciuto nell'infanzia, ma che ha straordinari poteri telepatici - Jonesy riesce infine a ribellarsi, in uno scontro finale che avviene in un'immaginifica situazione allucinatoria. A condire il tutto, ci si mette anche Kurtz, un pazzo che misteriosamente è a capo dell'operazione militare contro gli alieni, e che decide di ordire una disinfestazione di massa, uccidendo tutto ciò che è entrato in contatto con le presenze extraterrestri (e con un virus, che gli umani chiamano Ripley - citazione da Alien -, e gli invasori chiamano - che originalità! - byrus), compresi animali, civili e soldati. La situazione evolve insomma in una sorta di lungo inseguimento, con alla testa Jonesy controllato da Mr.Gray (che vuole raggiungere una torre dell'acqua, per diffondere attraverso essa il virus), alle spalle Henry (amico di Jonesy, con cui è anche in contatto telepaticamente), Duddits, ed Owen (un soldato che si è ribellato a Kurtz). Da ultimi, lo stesso Kurtz, che si vuole vendicare di Owen.
Il riassunto rende l'idea di quale sia la storia dietro le pagine del libro. E' un po' ingiusto, perché forse ridicolizza una narrazione che è in alcuni tratti costruita magistralmente (soprattutto quando si parla dell'amicizia fra i protagonisti, un tema che King tratta spesso, e sempre con competenza). Ma la trama non è mia invenzione, ed anche mentre si legge ci si rende conto che talvolta si esce un po' dal seminato. Spiace dirlo, da assoluto fan di Stephen King da tempo immemore, ma forse in questo libro si è verificato ciò che Seth MacFarlene aveva stigmatizzato con la solita irriverenza in un episodio della sua Family Guy (in italiano, I Griffinvedi lo spezzone cliccando qui ). Al sottoscritto il libro è comunque piaciuto, e sicuramente soddisferà molti dei fan dello scrittore americano. Ma non mi sentirei di consigliare questa lettura a chi si vuole avvicinare a King, non avendo mai letto nulla prima.

Stephen King, L'acchiappasogni, Milano: Sperling&Kupfer SuperBestSeller, 2010 (ed. or. Sperling&Kupfer, 2001, da Id., The Dreamcatcher, 2001)




in vendita a 11.90 € (a settembre 2010)

domenica 5 settembre 2010

La crisi dell'Editoria (quella con la E)




"L’editoria, non solo quella italiana ma mondiale, si indirizza a un non lettore. Gira e rigira, è la demagogia del cliente, è l’acchiappare gli sfigati e le sfigate che nel libro cercano il passatempo, la consolazione, la cabala rivelata dell’amore, del sogno nel cassetto ovvero dell’assassinio di una vita, il chip misticheggiante per far ripartire alla meglio la loro arrugginita macchina ghiandolare."

Aldo Busi

(M. Cavalli, Aldo Busi: "Io e il caso Mondadori", Oggi 36, pp. 28-32) // 
intervista completa disponibile online: qui

mercoledì 1 settembre 2010

The Mask




*
"Tògli quella maschera d'oro ardente
Con gli occhi di smeraldo".


"Oh no, mio caro, tu vuoi permetterti


Di scoprire se i cuori sian selvaggi o saggi,
Benché non freddi".


"Volevo solo scoprire quel che c'è da scoprire,
Amore o Inganno".
"Fu la maschera ad attrarre la tua mente,
E poi a farti battere il cuore,
Non quel che c'è dietro".


"Ma io debbo indagare per sapere
Se tu mi sia nemica".
"Oh no, mio caro, lascia andar tutto questo; 
Che importa, purché ci sia fuoco 
In te, in me?"


[W. B. Yeats]

mercoledì 18 agosto 2010

La morte di Cossiga

All'età di 82 anni, si è spento ieri Francesco Cossiga, uno fra i maggiori protagonisti dell'Italia repubblicana. Non è facile darne un giudizio, scevro di simpatie o antipatie politiche, soprattutto se si vuole cancellare quel velo di omertà, reticenze e mistero che circonda molti dei nomi della Prima Repubblica. Ma che lo sia stato nel bene o nel male, Cossiga fu davvero protagonista, legando inequivocabilmente il suo nome a quello della storia. Occorrerà certo ancora del tempo prima che di lui si possa avere un ritratto più preciso, più veritiero delle lodi - più o meno demagogiche - del giorno dopo la morte. Fu provocatore, talvolta intelligente e talvolta certamente meno (come quando propose a Berlusconi di infiltrare agenti provocatori nei cortei degli studenti, affinché questi perdessero il controllo, e potessero poi essere puniti con la violenza), tanto che ad un certo punto si diffuse la voce che fosse matto. Lo ricorda Paolo Guzzanti su Il Corriere: "Questo è ciò che scrissero alcuni. Ma Cossiga, posso garantirlo, s'era solo fatto furbo". Furbizia: ecco un'altra delle caratteristiche di Cossiga, forse una dote, forse persino un difetto. Cossiga il politico, Cossiga il teologo, Cossiga il massone, Cossiga che si porta nella tomba forse troppi segreti sugli anni di Piombo (anche sul caso Moro). No: non è facile darne un giudizio. Ma se qualcuno lo deve fare, lasciate che siano gli storici e non i politici. O continueremo sulla linea dei segreti e delle mitizzazioni, che già tanto male hanno fatto alla cultura del nostro Paese.

venerdì 30 luglio 2010

[REPORT] Viaggio a Londra | High Voltage Fest (ZZ Top, ELP, ...)

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"CASSANDRA ovviamente sapeva che gli autobus londinesi erano rossi e a due piani, ma vederli con i suoi occhi procedere verso destinazioni come Kensington High Street e Piccadilly Circus faceva comunque un certo effetto. Come se d'un tratto fosse caduta fra le pagine di un libro letto da bambina, o nella scena di uno dei tanti film dove sfrecciavano gli inconfondibili taxi neri."
K. MORTON, Il Giardino dei Segreti, Sperling&Kupfer, p. 157
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Nell'ultimo mio intervento, quale premessa ad un breve commento al film Psycho, discutevo sulla diversità degli argomenti che tratto su questo blog. Quasi mai, specificavo, sfocio nell'autobiografico; cerco certo di scrivere sempre in una prospettiva personale, ma di argomenti o di attualità o di un discutibile interesse pubblico (pur non avendo ancora un pubblico). Ci sono però dei casi inevitabili in cui non riesco ad esimermi da un cambiamento di prospettiva, quando ogni mio pensiero si concentra su qualcosa che mi è accaduto, su una esperienza che ho vissuto. In questo caso il mio blog diventa davvero MIO, come forse è giusto che sia, dato che ne sono il creatore ed il principale fruitore.
E' questo il caso dell'intervento in questione. Rientrato da poco da Londra, come posso non parlarne?

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Prologo.
Il Tetley's Pub di Trento.
Il tutto è iniziato in una sera d'inverno. Non saprei dire se fosse già febbraio, o ancor prima. Di certo ricordo che faceva abbastanza freddo dal preferire il caldo dell'interno d'un locale, piuttosto che le strade di Trento
Il Tetley's è un bel pub, ha solo il difetto di essere piccolo e forse un po'costoso. Ma fanno della birra buona, e se hai la fortuna di trovare posto (o hai tempo di arrivare in anticipo), puoi godertela con relativa tranquillità. E' il posto ideale per trovarsi una sera, bere qualcosa e parlare del tutto o del nulla.
Quella sera di febbraio, o di qualche mese prima, era proprio ciò che volevamo fare: passare una serata fra amici, senza molte pretese. Una serata fra coppie, da una parte io e la mia ragazza (Susanna), dall'altra Ambra e Giacomo, che Susanna aveva conosciuto sui banchi di scuola.
Il manifesto definitivo dell'evento.
Fra una battuta e l'altra, ricordi, aneddoti, forse un whiskey di troppo, Giacomo se ne uscì con i suoi progetti estivi: andare a Londra per l'High Voltage Festival, dove avrebbero suonato - per la prima volta dopo quindici anni - gli Emerson, Lake & Palmer in formazione originale. 
"Venite anche voi?"
"Certo!"

Il giorno dopo, navigando su internet, scoprimmo poi che fra i gruppi già annunciati vi erano nomi come gli ZZ Top, gli Heaven&Hell, i Foreigner, gli Uriah Heep: non solo alcuni dei miei ascolti abituali, ma anche gruppi che mai avevo avuto occasione di apprezzare dal vivo. In più l'attrattiva di un festival a Londra era forte. Si sa: a quest'età l'entusiasmo non manca, semmai ciò che manca sono le risorse.
Per diversi mesi in effetti sono stato sul baratro, fra la voglia di esserci e la paura di non potermelo permettere. D'altronde credo che anche i miei compagni di viaggio abbiano avuto qualche pensiero, tanto che in un primo momento dovevamo partire in cinque, con un amico di Giacomo che si è infine ritirato. Anche quest'ultimo ad un certo punto sembrava si potesse tirare indietro, per colpa di impegni con il suo gruppo. Ma ogni perplessità si è pian piano appianata, personalmente grazie a lavori snervanti e sottopagati (ma almeno pagati). Ad un mese, le cose si son piano piano trasferite verso una dimensione più concreta, grazie all'acquisto di biglietti, volo Ryanair e la sistemazione (diversa fra noi e l'altra coppia).
Pochi giorni prima, a suggellare l'ormai imminente partenza, facciamo un ultimo incontro a casa mia, a base di tartine e Chardonnay della cantina La Vis. Check in online, e siamo già pronti per partire.

23 luglio. Primo giorno.
Ambra, io e Giacomo a Picadilly Circus
Ci sono molte cose difficili in un viaggio di questo tipo: una delle maggiori è l'ansia che il bagaglio (che non può superare i 15Kg) in realtà pesi di più. Per quattro giorni di viaggio non avevamo in realtà molto in valigia, ma il peso maggiore era quello dei nostri due chiodi - non siamo fabbri, intendo i nostri giubbotti di pelle -, che da soli pesavano più del resto del vestiario (per risparmiare avevamo deciso di utilizzare una valigia per due persone). Con la bilancia di casa il peso raggiunto superava i 14 kg, ma avevamo il dubbio che essa fosse tarata diversamente da quella in aeroporto. 
Un'altra cosa difficile è svegliarsi presto la mattina, in questo caso intorno alle tre, per poter partire altrettanto presto ed essere in aeroporto in tempo per svolgere tutte le pratiche burocratiche. Personalmente un altro dubbio era il viaggio in sé, non avendo mai avuto occasione di volare prima.
Arrivati all'aeroporto di Orio al Serio nella prima mattinata - grazie rispettivamente ai passaggi del padre di Susanna e dello zio di Ambra - finalmente possiamo fare colazione ed imbarcare le valigie (senza nessuno dei problemi che temevamo). Le ore prima dell'imbarco passano tutto sommato velocemente; passiamo il metal detector con un poliziotto che ci prega di salutare Biff Byford dei Saxon, anche loro previsti al festival. Il viaggio in aereo, se si esclude un piccolo attacco di claustrofobia iniziale ed un atterraggio un po' troppo brusco, scorre anch'esso benone.

Ambra e Giacomo a Liverpool Street. 
Ed un pezzo di me.
Arrivati a Londra, veniamo accolti da una ventata che ci fa presagire un clima del tutto diverso da quello caldissimo lasciato in Italia. In effetti è molto fresco, tanto che una volta raggiunta Liverpool Street - dopo aver preso il treno dall'aeroporto di Stansted - dobbiamo indossare delle maglie dalle maniche lunghe.
Dopo aver acquistato i biglietti della metropolitana, decidiamo di girare in cerca di un Fish&Chips dove mangiare. Dopo decine di minuti a vuoto, ripieghiamo su un self service che vende panini e muffin, i famosi dolci inglesi che avremo tutto il tempo per apprezzare ancora. In questo caso, Giacomo riesce a rendersi protagonista, inforcando il sacchetto con il muffin dalla parte sbagliata, e facendolo cadere sotto lo sguardo ilare dei presenti.

Tornati alla stazione di Liverpool Street, saliamo in metropolitana e ci dividiamo nelle due coppie, verso i rispettivi alloggi. Il nostro è un appartamento a Stratford, che abbiamo scelto perché ad una sola fermata della metro dal Victoria Park (sede del concerto).
La zona è tutta un cantiere, in quanto vicina alla sede delle olimpiadi inglesi del 2012. Come spesso succede per eventi di questo tipo, la città londinese ha approfittato dei soldi e della pubblicità di un evento sportivo per rilanciare un quartiere che prima era sotto-sviluppato rispetto al resto della metropoli. E' una zona tutto sommato tranquilla, ma multietnica, con delle case lasciate in abbandono, ed un'architettura meno raffinata di quella che caratterizza la Londra vittoriana. 
Parte dell'appartamento
Il nostro appartamento è in un complesso ben tenuto, in un quartiere silenzioso, disturbato solo dal rumore dei treni di passaggio nella vicina stazione. Lo troviamo abbastanza agevolmente, grazie alle indicazioni stampate da internet, e l'aiuto di un immigrato del luogo.
problemi si presentano però al cancello: innanzitutto dobbiamo suonare più volte il campanello, prima che qualcuno ci apra. Al momento del check-in, poi, una portinaia ci informa cordialmente che necessita di una caparra di 200£ (pari a circa 240€), che ci verrà restituita al termine della nostra vacanza. Se non abbiamo fatto danni. Il fatto non ci coglie del tutto di sorpresa, dato che il giorno prima avevamo letto di tale richiesta fra gli aspetti negativi delle recensioni in internet riguardanti l'appartamento. Il problema è che la somma richiestaci non l'avevamo (o quanto meno, se l'avessimo lasciata non avremmo più avuto i soldi necessari per mantenerci nella costosissima Londra). 
Dopo qualche minuto di discussione, con un incerto inglese (dovuto al momento di agitazione ed alla stanchezza del viaggio - tanto che quando mi è stato chiesto l'indirizzo ho detto il CAP in italiano e non in inglese), riusciamo finalmente a farci accettare, senza l'obbligo della caparra. In compenso, l'appartamento è spazioso e molto bello. Il letto talmente comodo, che ci addormentiamo quasi subito.

Una presa di corrente inglese
Ci svegliamo verso le 17.30. Ci rendiamo conto che non abbiamo pensato ad un adattatore, per le diverse prese di corrente rispetto all'Italia. 
In questo modo, non solo la mia compagna scopre drammaticamente di non poter usare la piastra, ma nemmeno possiamo provvedere a ricaricare cellulare e fotocamere (compresa la reflex Canon EOS 450D, con cui sono state scattate le foto di questo report). Dopo aver chiesto inutilmente aiuto in portineria, veniamo indirizzati ad un supermercato. In realtà si tratta di un centro commerciale, non distante dal nostro appartamento. Giriamo velocemente il posto, acquistando dei muffin per merenda, ma non riuscendo a trovare l'adattatore della corrente. Decidiamo allora di rientrare nell'appartamento, che lasciamo dopo una doccia ristoratrice, diretti a Picadilly Circus, dove già ci aspettavano Ambra e Giacomo.

Si tratta di una via in centro, bellissima nelle architetture, che mi hanno in parte ricordato il centro di Copenhagen. Ovunque vi sono negozi, ristoranti del più diverso tipo, teatri (con ogni tipo di musical, da quelli su Queen e Michael Jackson, da Grease a Mamma Mia, fino a Les Mirables, e molti altri..).
Finalmente leggiamo Fish&Chips
Il nostro obbiettivo era però trovare finalmente un Fish&Chips, non essendo riusciti nell'impresa per il pranzo a Liverpool Street, ed essendo più che motivati nel mangiarli (soprattutto i maschi del gruppo. Io in primis, essendo per la prima volta in Inghilterra). Dopo aver vagato per diverso tempo, ed esserci inoltrati anche per il quartiere cinese, riesco quasi per caso a vedere la scritta "Fish&Chips", su d'un cartello manoscritto, su una parete che quasi non sembra l'ingresso d'un ristorante, meno appariscente degli altri. Veniamo avvicinati da un simpatico promoter, che ci istruisce sul contenuto del ristorante, convincendoci all'istante.
Io e Susanna, nel ristorante
All'interno, ci troviamo in un piccolo ma elegante locale, con musica jazz e classica in sottofondo. Approfittiamo della promozione che ci permette d'ordinare un antipasto con il piatto da noi scelto, e mangiamo innanzitutto dei totani con maionese e salsa di chili piccante (tranne Giacomo che ordina un paté con insalata, pane e salsa chili), accompagnati da del Chardonnay - non paragonabile a quello della cantina di La Vis, ma comunque bevibile -. Assaggiamo quindi finalmente il Fish&Chips, che ci soddisfa e ripaga della fatica nel trovarlo. Ordiniamo anche, con discreto coraggio, due caffé, che sono naturalmente imbevibili. Più acqua sporca che caffé.
Susanna ed il pinguino
La scorta di caffeina ci permette almeno di restare in piedi ancora qualche ora, senza cedere troppo alla stanchezza che si fa comunque sentire. Decidiamo allora di girare ancora un poco per Piccadilly Circus. Veniamo così attratti da un negozio che vende peluches di animali, e dove Giacomo ed Ambra acquistano un tucano, mentre io regalo un pinguino a Susanna. Finiamo la serata prima in un negozio di donutsm, e poi al supermercato dove facciamo scorta di bottigliette d'acqua. Torniamo in appartamento, e ci abbandoniamo al nostro amore, prima di addormentarci.
24 luglio. Secondo giorno.
Susanna e il pinguino, nel letto.

Ci svegliamo al suono della 
sveglia, con qualche difficoltà. A dire il vero, mentre Susanna si riprende con un bagno, io ne 
approfitto per dormire ancora un poco. Ci vuole una doccia per convincermi del tutto che è ora di lasciare l'appartamento.
L'appuntamento con gli altri è al centro commerciale nella nostra zona. In attesa del loro arrivo, giriamo nel posto, scoprendolo ancor più grande di quel che credevamo. Riusciamo così anche a trovare l'adattatore per la presa di corrente, dopo averlo chiesto inutilmente le più svariate volte.
"Do you have an adaptor for the electric plug?" "I beg your pardon?" "Electric plug!" - scandendo ciò che prima avevo sbrodolato con tutti i difetti di pronuncia e mimando il gesto dell'inserimento di una presa nella corrente. "Ah no, sorry. Next one, please?"
Verso mezzogiorno veniamo raggiunti dai compagni di viaggio. Prima di partire, ci fermiamo al Burger King, per un in-salutare pranzo, allietato però da una bella vista sulla stazione di Stratford. Raggiunta quest'ultima, prendiamo la metro per scendere a Mile's End. Siamo un po' confusi nel tentativo di raggiungere il Victoria Park, ma ci accorgiamo che il modo più intelligente per arrivare nel luogo del concerto è ovviamente seguire la massa di rockers e metallari. 
Il posto è a circa un quarto d'ora a piedi dalla stazione, e lo raggiungiamo agevolmente, spinti sia dall'eccitazione sia da un succo all'anguria che ci viene offerto lungo la strada. Scopriamo però di dover fare una lunghissima coda per accedere ai braccialetti che ci avrebbero permesso di entrare nel luogo del festival, pur avendoli già prenotati da mesi. Ambra si getta nelle più funeste previsioni: "non riusciremo ad entrare prima delle 16".
Parte dell'enorme coda per i braccialetti, in realtà poi facilmente
superabile grazie alla velocità degli addetti.

In una decina di minuti, un quarto d'ora al massimo, riusciamo invece a completare le 
operazioni, e verso l'una di pomeriggio riusciamo così ad entrare nel luogo del concerto.
Da subito notiamo il primo dei tre palchi: il Metal Hammer Stage, dove si stanno esibendo i Black Spiders. Ne rimaniamo favorevolmente colpiti, ma siamo troppo esaltati per fermarci più di qualche canzone: abbiamo l'intera area da esplorare. Raggiungiamo così il Prog Stage, dove stanno suonando i Pendragon, altro gruppo che ignoriamo, ma che ci colpisce positivamente. Ma anche a loro dedichiamo poche attenzioni: siamo più interessati a vagare per l'enorme parco, un vero e proprio villaggio costruito per l'occasione. Ci sono i due palchi minori ed il Main Stage, le varie aree di gioco (con il Wall Of Death o gli autoscontri), un piccolo palco dove dei pazzoidi si sfidano nell'air guitar, i vari stands con magliette ed altro merchandise (si possono ordinare anche dei cd con le esibizioni dal vivo di alcuni dei gruppi del festival, registrati direttamente nel luogo), l'esibizione di auto d'epoca, i toi-toi con delle piccole fontanelle d'acqua ed il disinfettante gratuito per le mani, i numerosissimi bar e stands con il cibo più vario (a pezzi relativamente modici). 
Il primo gruppo che seguiamo con maggiori attenzioni sono i Focus, sul Prog Stage. Ammetto che non li conoscevo doverosamente, e della mia ignoranza mi son subito pentito, apprezzando la qualità del gruppo. Il finale con Hocus Pocus e Neurotika è stato il suggello di una grande esibizione.
Neanche il tempo di apprezzare le ultime note, che decidiamo di spostarci verso il Metal Hammer Stage per i finlandesi Hammerfall, che aspettavo con curiosità essendo stati fra i miei ascolti puntuali di qualche anno fa. Ad un quarto d'ora dall'inizio del concerto decidiamo però di non sprecare nemmeno un minuto del nostro tempo: torniamo di corsa al Prog Stage, dove si stanno esibendo i Bigelf. Avevo scoperto il gruppo nella primavera scorsa, e sapevo che sarebbe stato un gran bel concerto: non sono stato smentito, riuscendo a seguire i primi pezzi: The Evils of Rock'n'RollNeuropsychopathic Eye e, in parte, Frustration. Pur essendo un gruppo relativamente giovane (si sono formati ad inizio degli anni Novanta), i quattro si ispirano ad un rock psichedelico d'annata, condito da un doom metal che ricorda i primi Black Sabbath (così anche nelle scenografie e nei vestiti). Torniamo al Metal Hammer Stage giusto in tempo per l'inizio del concerto degli Hammerfall. Forse penalizzati dall'esibirsi fra i primi gruppi, o un poco fuori forma, m'impressionano meno di quanto mi aspettassi: li seguo comunque volentieri per le prime canzoni (nell'ordine: Punish and EnslaveThe Dragon lies BleedingHallowed Be My Name e Renegade). Ma dobbiamo correre al Main Stage, dove ci godiamo per intero l'esibizione di Gary Moore. Il chitarrista è forse fra i più sottovalutati degli déi delle sei-corde: anche al Victoria Park è fautore di un'esibizione emozionante, tecnicamente ineccepibile, ma che unisce la potenza del rock al gusto del blues, senza mai annoiare. Attraverso classici come Over The Hill and Far AwayThunder Rising o Out in The Fields, più qualche improvvisazione e dei pezzi nuovi che non stonano affatto, l'irlandese si diverte e sa divertire. 
Sono ormai quasi le sei quando salgono invece sul palco i Foreigner, forse il gruppo che più aspettavo della giornata, e che più mi ha impressionato. Il cantante Kelly Hansen ricorda Steven Tyler per attitudine e movenze, mentre non fa rimpiangere Lou Gramm, voce storica dei Foreigner. Mick Jones, membro originale del gruppo, si alterna abilmente fra tastiere e chitarra, mantenendo il gusto che lo ha sempre contraddistinto. La scaletta è quasi-perfetta (rimpiango solo l'assenza di Dirty White Boy, uno dei pezzi che preferisco degli americani): su Head Games si è forse raggiunto il climax più alto, mentre il finale è stato lasciato al classico dei classici, quella I want to know what Love is, con a supporto un coro di bambini. 
Alla fine dei Foreigner, corriamo al Metal Hammer Stage per i Saxon. Già visti in Svezia nel 2008, sapevo quanto siano in forma. Anche sul palco inglese non si smentiscono, con Biff Byford a fare la solita parte del mattatore, incitando il pubblico. Riusciamo a seguire nell'ordine CrusaderWheels Of Steel Denim And Leather, ma già siamo di corsa verso il Prog Stage, dove stanno suonando gli Asia. Arriviamo sulla fine di Without You e ascoltiamo I believe, in cui il trio dà il massimo, con una perfetta esecuzione, ma forse una staticità eccessiva sul palco. Ambra e Giacomo, che riescono ad ascoltare tutta la performance, la giudicheranno comunque con grandi encomi, ma noi stiamo davvero poco sotto il palco. Infatti già siamo in dirotta verso il Main Stage, dove sul palco suonano le note di E5150, pezzo storico dei Black Sabbath. Gli Heaven&Hell si esibiscono nel loro ultimo concerto, in omaggio a Ronnie James Dio. Alla voce si alternano Jorn Lande e Glenn Hughes, nessuno dei due all'altezza della persona che omaggiano, ma entrambi fanno ottima figura. I pezzi suonati sono dei classici: Mob RulesChildren Of The SeaDie YoungHeaven And Hell e la conclusiva Neon Knights (con la partecipazione di Phil Anselmo). Durante il concerto, Wendy Dio - moglie di Ronnie James - si commuove, mentre prega il pubblico di sostenere la fondazione del marito per la ricerca sul cancro. Prima degli headliners, ci concediamo una pausa-cena. Noodles per Susi, Fish&Chips per me. Ed un espresso molto buono, ma che riempio di sale invece di zucchero, dovendone poi ordinare uno nuovo.
Gli ZZ Top sul palco.
Chiudono la serata gli ZZ Top, che vediamo inizialmente dalle prime file, salvo poi arretrare per la stanchezza e goderceli da più lontano. Anche i due barbuti e compagno sono in forma, con la voce naturalmente calata che viene compensata da un muro di suono senza eguali. Il basso fa vibrare le ossa, la batteria pare un metronomo, i riff di chitarra scuotono i culi del pubblico. E poi l'attitudine: quella da perfetti rockers del sud, rimasta inalterata nel corso degli anni. Got Me Under PressureJesus Just Left ChicagoCheep SunglassesParty On PatioGimme All Your Lovin'Sharp Dressed ManLegsTush sono alcuni dei classici dei tre, tutti riproposti dal vivo sul palco del Victoria Park. Ogni tanto Billy Gibbons si lancia in sorrisi e battute, sempre i nostri ispirano simpatia, divertono con naturalezza. Le ultime note vengono suonate intorno alle 23, per lasciare il tempo ai convenuti - noi compresi - di tornare verso la metropolitana di Mile's End. Il rientro è ordinato, la gente si allontana senza creare confusione (ed ecco una delle tante grandissime differenze del carattere inglese rispetto a quello italiano - un confronto che mi risulta semplicissimo, dato che ad inizio mese sono stato all'Heineken Jammin Festival di Mestre, per gli Aerosmith. In quel caso, il dopo-concerto è stato un delirio, ma preferisco non inoltrarmi nel discorso). Verso mezzanotte riusciamo finalmente a rientrare in appartamento, stanchissimi, con i piedi che reclamano pietà. Ma molto felici.

25 luglio. Terzo giorno.
Il Prog Stage, visto dalla distanza

Ci sono molti aspetti positivi nel condividere un'esperienza come questa con la propria ragazza. Ma se dovessi sceglierne uno negativo, è probabilmente il fatto che - inevitabilmente come la pioggia a Londra - ad un certo punto si sente nominare la parola SHOPPING. Col tempo mi sono abituato a questa inevitabilità, ne ho fatto un po' il callo, dopo che già da bambino dovevo sopportare quelle volte che mia madre mi portava in cerca di vestiti (la noia è ancora un ricordo molto vivido). Certo non sempre reagisco positivamente all'idea di passare un tempo che diviene indeterminato fra gonne e giacchette, ma tento per quieto vivere di risparmiare le lamentele (qualcuna ancora mi sfugge, dato che Oxford Circus - ecco la meta dello shopping compulsivo - mi sembra erroneamente lontanissima), e persino di dispensare qualche sorriso e consiglio. Passiamo probabilmente più d'un'ora (la percezione del tempo in questi casi è sfasata) all'interno di un H&M, per grazia di Dio la mia compagna riesce a spendere pochissimo. Nel frattempo però è già ora di pranzo, e ci avventuriamo in un ristorante abbastanza economico (per essere a Londra). Ordiniamo riso, carne e curry: buonissimo.
Abbiamo però poco tempo, mangiamo in fretta, paghiamo, e torniamo in metropolitana. Ci aspetta un altro giorno di concerti. Arriviamo che gli UFO sono già sul palco. Riusciamo comunque a sentire le ultime canzoni (Love To LoveRock Bottom Doctor Doctor); il gruppo è in forma, e mi diverto molto nel guardarli: sono classici che conosco da anni, ma che mai avevo sentito dal vivo. Qualche problema tecnico con la chitarra solista (il cui volume talvolta si azzera totalmente), non impedisce comunque ai britannici di dimostrare la loro indubbia qualità. Alla chitarra non c'è più Michael Schenker, ma Vinnie Moore (già nei Vicious Rumors, ma con una carriera solista che lo ha reso famoso) non lo fa rimpiangere affatto; anche nelle improvvisazioni su Doctor Doctor, pezzo acclamato e cantato a gran voce dai presenti. 
Giacomo e i Fish&Chips
Il tempo passa in fretta, ed è già ora di correre sotto il Prog Stage, dove stanno per esibirsi gli Uriah Heep. Il loro è un appuntamento speciale, in quanto hanno in previsione di suonare per intero il loro capolavoro, quel Demons&Wizards del 1972. Del gruppo originale ormai c'è solo Mick Box alla chitarra: il gruppo è però compatto, e riesce ad emozionare. Come ospite, alla seconda chitarra, c'è Micky Moody, grandissimo delle sei corde (ed originariamente nei Whitesnake dal 1978 al 1984). L'apice, a mio avviso, viene raggiunto con la conclusiva The Spell, dove Phil Lazon alle testiere ed hammond dà il massimo. Ma tutto il gruppo è davvero in forma, il nuovo batterista Russel Gillbrook se la cava perfettamente, e così anche il cantante Bernie Shaw (ormai negli Uriah Heep da più di vent'anni). Quella degli Uriah, se si escludono gli headliners, è forse l'esibizione migliore di tutto il weekend, di sicuro quella che mi ha esaltato di più.
Vaghiamo ancora un poco per l'area, ma quando mancano pochi minuti alle 19, decidiamo di prepararci sotto il Main Stage, per essere nelle prime file all'inizio del concerto degli Emerson, Lake & Palmer (headliners di questa giornata). Nell'attesa ci gustiamo i Down'n'Outz, super-gruppo formato da Joe Elliot dei Def Leppard e membri dei Quireboys, attivi in un tributo ai Mott The Hoople e Ian Hunter. Proprio quest'ultimo s'aggiunge al gruppo per le ultime canzoni (così che la formazione diviene infine composta da ben cinque chitarre). Ian Hunter si rende protagonista di un curioso retroscena sul finale: avendo infatti il gruppo sforato con i tempi, ed essendo gli organizzatori assolutamente precisi con gli stessi (anche per permettere agli astanti di raggiungere la metropolitana in tempo, a fine concerto), al gruppo viene inaspettatamente tolta la corrente, tanto che non possono chiudere il concerto come evidentemente da loro previsto. Ian Hunter, incitato anche dal pubblico, si allontana allora verso il backstage, brandendo la propria chitarra acustica e minacciando di darla in testa al responsabile. La scena  si conclude col gruppo - che fra l'altro aveva infiammato per un'ora e mezza il Main Stage, rivelandosi la vera sorpresa del festival - rappacificato, a prendersi i doverosi applausi.
Sul finale il sotto-palco si riempie, io rimango solo a pochi passi dalla prima fila. La gente s'accalca, ma con la solita educazione, senza le spinte e gomitate tipiche dei concerti in Italia. Lo staff distribuisce acqua fresca gratuitamente, che dalle prime file viene portata a chiunque alzi la mano (anche se è più distante, attraverso un passaggio di mano in mano fra il pubblico). Gli Emerson, Lake & Palmer - nome storico del Rock Progressivo - stanno per esibirsi insieme per la prima volta dopo quindici anni: l'attesa è palpabile, lo si capisce dai cori, dalle urla di gioia che si odono al solo comparire della batteria di Palmer o del sintetizzatore di Emerson. Poi d'un tratto le luci si spengono, i nostri si presentano sul palco, forse non con quell'ingresso trionfale che mi aspettavo, ma d'altronde lasciano gli orpelli alla loro musica. E di musica ne sanno, sono praticamente perfetti nell'esecuzione (solo Emerson, mi dirà Giacomo che di musica e tecnica ne sa più di me, commetterà qualche errore), snocciolando i classici del loro repertorio, come sempre rivisitati con minuti e minuti d'improvvisazione. Pura scuola e maestria, con quel loro stile che unisce barocco a potenza di suono. Mi vedo le prime canzoni dalle prime file, ma poi preferisco arretrare, sia per raggiungere Susanna che si era allontanata, sia per godermi il gruppo con più calma (ed evitare la stanchezza che ormai si fa sentire sempre più). Vedere gli ELP seduti in terra, dalla distanza, è emozionante; sul finale Palmer si lancia in un'assolo incredibile, partono le esplosioni, Emerson accoltella l'hammond e lo rovescia sul palco, vengono sparati dei fuochi d'artificio. Si ha la sensazione, in questi casi, di vivere un qualcosa di storico; magari non è nulla del genere, ma senz'altro emoziona, e ti rimane incollato alla pelle come una cascata di brividi e pelle d'oca.
Il concerto si chiude, rimane il suono dell'emozione, che ci accompagna fino al nostro rientro in appartamento, ed ancora nei nostri sogni della notte.
26 luglio. Quarto giorno.
Io, nei pressi del London Bridge.
Io con uno degli attori
Ci svegliamo abbastanza presto, per risolvere l'incombenza di riordinare l'appartamento (ecco il difetto di essere due persone relativamente disordinate), e fare il check-out dall'albergo.
Mentre l'altra coppia torna ad Oxford Circus (SHOPPING-SHOPPING-SHOPPING..a me va decisamente meglio, per fortuna!), noi decidiamo di visitare la zona del London Bridge. Il clima è sempre fresco, il cielo nuvoloso, ma in più inizia anche a piovere. Una pioggia leggera, non troppo fastidiosa, e che sul finire della mattinata se ne tornerà fra le nuvole che non ci lasciano mai. E' l'ultimo giorno, e purtroppo siamo a corto di soldi. Purtroppo, perché la zona è ricca di tentazioni: ci sono due parchi dei divertimenti in stile horror, pubblicizzati direttamente da attori nella zona della metropolitana (che è così piena di gente truccata, zombie, e ragazze in vestiti dell'Ottocento colanti sangue). E poi c'è il museo della guerra: il London At War, che mi guarda con occhi ammiccanti, ma a cui devo tristemente rinunciare.
Decidiamo allora di vedere il London Bridge, camminiamo un po' sul Queen Walk, un tratto di strada coperta, sulla destra al di sotto del ponte, e con una fantastica vista sul Tamigi.
E' ormai ora di pranzo, e per risparmiare decidiamo squallidamente di nutrirci al McDonald's. Calmiamo così i crampi alla pancia, e veniamo poco dopo raggiunti da Giacomo e Ambra. Quest'ultima fa conoscenza con uno degli attori horror, spaventandosi al BU! di un nano ricoperto di sangue. Come tipo di pubblicità è certamente efficace.
Il London Bridge
Torniamo sul London Bridge, giriamo ancora un poco per dare il nostro saluto a Londra. E' infatti ormai già ora di rientrare. Torniamo con la metropolitana a Liverpool Street, da dove con il treno rientriamo all'aeroporto di Stansted. Lì ci concediamo un ultimo muffin, buonissimo ma con un cappuccino di infima qualità (che ci lascia un senso di nausea). Riprende a piovere, ma il nostro aereo non ha problemi a decollare. Atterriamo a Milano intorno alle 22 italiane, con un certo senso di nostalgia, che diventerà sempre più forte. Non è quel senso di mancanza che si prova a rientro dalle vacanze, quel sentimento di difficoltà di riprendere la routine, lo stress di esami e lavoro. No: in questo caso c'è qualcosa di più; una sensazione che si fa più pulsante tornando a camminare per le strade di Trento, accendendo la televisione, sfogliando i giornali. La sensazione, forse illusoria, che tutto ciò che Londra rappresenta (l'educazione della gente, innanzitutto, la perfetta integrazione di culture ed etnie) non potremo mai ritrovarlo per le vie di casa nostra. E' con quest'idea che ho scritto questo breve racconto del viaggio fatto, sì un amarcord, sì un ricordo dei bei momenti passati con delle persone meravigliose. Ma ancor più una riflessione intima, che mi ha accompagnato nascondendosi fra i ricordi che ho qui trascritto: forse ho trovato la mia isola, un luogo in cui finalmente non mi sento a disagio. Se è un'utopia, lo potrò scoprire solo tornandoci.

PS: l'high voltage festival è confermato anche per il 2011.
PS2: tutte le foto qui presenti sono state scattate dai partecipanti al viaggio, la maggior parte da Susanna, con una CanonEOS450D o una CanonD10.