venerdì 30 luglio 2010

[REPORT] Viaggio a Londra | High Voltage Fest (ZZ Top, ELP, ...)

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"CASSANDRA ovviamente sapeva che gli autobus londinesi erano rossi e a due piani, ma vederli con i suoi occhi procedere verso destinazioni come Kensington High Street e Piccadilly Circus faceva comunque un certo effetto. Come se d'un tratto fosse caduta fra le pagine di un libro letto da bambina, o nella scena di uno dei tanti film dove sfrecciavano gli inconfondibili taxi neri."
K. MORTON, Il Giardino dei Segreti, Sperling&Kupfer, p. 157
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Nell'ultimo mio intervento, quale premessa ad un breve commento al film Psycho, discutevo sulla diversità degli argomenti che tratto su questo blog. Quasi mai, specificavo, sfocio nell'autobiografico; cerco certo di scrivere sempre in una prospettiva personale, ma di argomenti o di attualità o di un discutibile interesse pubblico (pur non avendo ancora un pubblico). Ci sono però dei casi inevitabili in cui non riesco ad esimermi da un cambiamento di prospettiva, quando ogni mio pensiero si concentra su qualcosa che mi è accaduto, su una esperienza che ho vissuto. In questo caso il mio blog diventa davvero MIO, come forse è giusto che sia, dato che ne sono il creatore ed il principale fruitore.
E' questo il caso dell'intervento in questione. Rientrato da poco da Londra, come posso non parlarne?

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Prologo.
Il Tetley's Pub di Trento.
Il tutto è iniziato in una sera d'inverno. Non saprei dire se fosse già febbraio, o ancor prima. Di certo ricordo che faceva abbastanza freddo dal preferire il caldo dell'interno d'un locale, piuttosto che le strade di Trento
Il Tetley's è un bel pub, ha solo il difetto di essere piccolo e forse un po'costoso. Ma fanno della birra buona, e se hai la fortuna di trovare posto (o hai tempo di arrivare in anticipo), puoi godertela con relativa tranquillità. E' il posto ideale per trovarsi una sera, bere qualcosa e parlare del tutto o del nulla.
Quella sera di febbraio, o di qualche mese prima, era proprio ciò che volevamo fare: passare una serata fra amici, senza molte pretese. Una serata fra coppie, da una parte io e la mia ragazza (Susanna), dall'altra Ambra e Giacomo, che Susanna aveva conosciuto sui banchi di scuola.
Il manifesto definitivo dell'evento.
Fra una battuta e l'altra, ricordi, aneddoti, forse un whiskey di troppo, Giacomo se ne uscì con i suoi progetti estivi: andare a Londra per l'High Voltage Festival, dove avrebbero suonato - per la prima volta dopo quindici anni - gli Emerson, Lake & Palmer in formazione originale. 
"Venite anche voi?"
"Certo!"

Il giorno dopo, navigando su internet, scoprimmo poi che fra i gruppi già annunciati vi erano nomi come gli ZZ Top, gli Heaven&Hell, i Foreigner, gli Uriah Heep: non solo alcuni dei miei ascolti abituali, ma anche gruppi che mai avevo avuto occasione di apprezzare dal vivo. In più l'attrattiva di un festival a Londra era forte. Si sa: a quest'età l'entusiasmo non manca, semmai ciò che manca sono le risorse.
Per diversi mesi in effetti sono stato sul baratro, fra la voglia di esserci e la paura di non potermelo permettere. D'altronde credo che anche i miei compagni di viaggio abbiano avuto qualche pensiero, tanto che in un primo momento dovevamo partire in cinque, con un amico di Giacomo che si è infine ritirato. Anche quest'ultimo ad un certo punto sembrava si potesse tirare indietro, per colpa di impegni con il suo gruppo. Ma ogni perplessità si è pian piano appianata, personalmente grazie a lavori snervanti e sottopagati (ma almeno pagati). Ad un mese, le cose si son piano piano trasferite verso una dimensione più concreta, grazie all'acquisto di biglietti, volo Ryanair e la sistemazione (diversa fra noi e l'altra coppia).
Pochi giorni prima, a suggellare l'ormai imminente partenza, facciamo un ultimo incontro a casa mia, a base di tartine e Chardonnay della cantina La Vis. Check in online, e siamo già pronti per partire.

23 luglio. Primo giorno.
Ambra, io e Giacomo a Picadilly Circus
Ci sono molte cose difficili in un viaggio di questo tipo: una delle maggiori è l'ansia che il bagaglio (che non può superare i 15Kg) in realtà pesi di più. Per quattro giorni di viaggio non avevamo in realtà molto in valigia, ma il peso maggiore era quello dei nostri due chiodi - non siamo fabbri, intendo i nostri giubbotti di pelle -, che da soli pesavano più del resto del vestiario (per risparmiare avevamo deciso di utilizzare una valigia per due persone). Con la bilancia di casa il peso raggiunto superava i 14 kg, ma avevamo il dubbio che essa fosse tarata diversamente da quella in aeroporto. 
Un'altra cosa difficile è svegliarsi presto la mattina, in questo caso intorno alle tre, per poter partire altrettanto presto ed essere in aeroporto in tempo per svolgere tutte le pratiche burocratiche. Personalmente un altro dubbio era il viaggio in sé, non avendo mai avuto occasione di volare prima.
Arrivati all'aeroporto di Orio al Serio nella prima mattinata - grazie rispettivamente ai passaggi del padre di Susanna e dello zio di Ambra - finalmente possiamo fare colazione ed imbarcare le valigie (senza nessuno dei problemi che temevamo). Le ore prima dell'imbarco passano tutto sommato velocemente; passiamo il metal detector con un poliziotto che ci prega di salutare Biff Byford dei Saxon, anche loro previsti al festival. Il viaggio in aereo, se si esclude un piccolo attacco di claustrofobia iniziale ed un atterraggio un po' troppo brusco, scorre anch'esso benone.

Ambra e Giacomo a Liverpool Street. 
Ed un pezzo di me.
Arrivati a Londra, veniamo accolti da una ventata che ci fa presagire un clima del tutto diverso da quello caldissimo lasciato in Italia. In effetti è molto fresco, tanto che una volta raggiunta Liverpool Street - dopo aver preso il treno dall'aeroporto di Stansted - dobbiamo indossare delle maglie dalle maniche lunghe.
Dopo aver acquistato i biglietti della metropolitana, decidiamo di girare in cerca di un Fish&Chips dove mangiare. Dopo decine di minuti a vuoto, ripieghiamo su un self service che vende panini e muffin, i famosi dolci inglesi che avremo tutto il tempo per apprezzare ancora. In questo caso, Giacomo riesce a rendersi protagonista, inforcando il sacchetto con il muffin dalla parte sbagliata, e facendolo cadere sotto lo sguardo ilare dei presenti.

Tornati alla stazione di Liverpool Street, saliamo in metropolitana e ci dividiamo nelle due coppie, verso i rispettivi alloggi. Il nostro è un appartamento a Stratford, che abbiamo scelto perché ad una sola fermata della metro dal Victoria Park (sede del concerto).
La zona è tutta un cantiere, in quanto vicina alla sede delle olimpiadi inglesi del 2012. Come spesso succede per eventi di questo tipo, la città londinese ha approfittato dei soldi e della pubblicità di un evento sportivo per rilanciare un quartiere che prima era sotto-sviluppato rispetto al resto della metropoli. E' una zona tutto sommato tranquilla, ma multietnica, con delle case lasciate in abbandono, ed un'architettura meno raffinata di quella che caratterizza la Londra vittoriana. 
Parte dell'appartamento
Il nostro appartamento è in un complesso ben tenuto, in un quartiere silenzioso, disturbato solo dal rumore dei treni di passaggio nella vicina stazione. Lo troviamo abbastanza agevolmente, grazie alle indicazioni stampate da internet, e l'aiuto di un immigrato del luogo.
problemi si presentano però al cancello: innanzitutto dobbiamo suonare più volte il campanello, prima che qualcuno ci apra. Al momento del check-in, poi, una portinaia ci informa cordialmente che necessita di una caparra di 200£ (pari a circa 240€), che ci verrà restituita al termine della nostra vacanza. Se non abbiamo fatto danni. Il fatto non ci coglie del tutto di sorpresa, dato che il giorno prima avevamo letto di tale richiesta fra gli aspetti negativi delle recensioni in internet riguardanti l'appartamento. Il problema è che la somma richiestaci non l'avevamo (o quanto meno, se l'avessimo lasciata non avremmo più avuto i soldi necessari per mantenerci nella costosissima Londra). 
Dopo qualche minuto di discussione, con un incerto inglese (dovuto al momento di agitazione ed alla stanchezza del viaggio - tanto che quando mi è stato chiesto l'indirizzo ho detto il CAP in italiano e non in inglese), riusciamo finalmente a farci accettare, senza l'obbligo della caparra. In compenso, l'appartamento è spazioso e molto bello. Il letto talmente comodo, che ci addormentiamo quasi subito.

Una presa di corrente inglese
Ci svegliamo verso le 17.30. Ci rendiamo conto che non abbiamo pensato ad un adattatore, per le diverse prese di corrente rispetto all'Italia. 
In questo modo, non solo la mia compagna scopre drammaticamente di non poter usare la piastra, ma nemmeno possiamo provvedere a ricaricare cellulare e fotocamere (compresa la reflex Canon EOS 450D, con cui sono state scattate le foto di questo report). Dopo aver chiesto inutilmente aiuto in portineria, veniamo indirizzati ad un supermercato. In realtà si tratta di un centro commerciale, non distante dal nostro appartamento. Giriamo velocemente il posto, acquistando dei muffin per merenda, ma non riuscendo a trovare l'adattatore della corrente. Decidiamo allora di rientrare nell'appartamento, che lasciamo dopo una doccia ristoratrice, diretti a Picadilly Circus, dove già ci aspettavano Ambra e Giacomo.

Si tratta di una via in centro, bellissima nelle architetture, che mi hanno in parte ricordato il centro di Copenhagen. Ovunque vi sono negozi, ristoranti del più diverso tipo, teatri (con ogni tipo di musical, da quelli su Queen e Michael Jackson, da Grease a Mamma Mia, fino a Les Mirables, e molti altri..).
Finalmente leggiamo Fish&Chips
Il nostro obbiettivo era però trovare finalmente un Fish&Chips, non essendo riusciti nell'impresa per il pranzo a Liverpool Street, ed essendo più che motivati nel mangiarli (soprattutto i maschi del gruppo. Io in primis, essendo per la prima volta in Inghilterra). Dopo aver vagato per diverso tempo, ed esserci inoltrati anche per il quartiere cinese, riesco quasi per caso a vedere la scritta "Fish&Chips", su d'un cartello manoscritto, su una parete che quasi non sembra l'ingresso d'un ristorante, meno appariscente degli altri. Veniamo avvicinati da un simpatico promoter, che ci istruisce sul contenuto del ristorante, convincendoci all'istante.
Io e Susanna, nel ristorante
All'interno, ci troviamo in un piccolo ma elegante locale, con musica jazz e classica in sottofondo. Approfittiamo della promozione che ci permette d'ordinare un antipasto con il piatto da noi scelto, e mangiamo innanzitutto dei totani con maionese e salsa di chili piccante (tranne Giacomo che ordina un paté con insalata, pane e salsa chili), accompagnati da del Chardonnay - non paragonabile a quello della cantina di La Vis, ma comunque bevibile -. Assaggiamo quindi finalmente il Fish&Chips, che ci soddisfa e ripaga della fatica nel trovarlo. Ordiniamo anche, con discreto coraggio, due caffé, che sono naturalmente imbevibili. Più acqua sporca che caffé.
Susanna ed il pinguino
La scorta di caffeina ci permette almeno di restare in piedi ancora qualche ora, senza cedere troppo alla stanchezza che si fa comunque sentire. Decidiamo allora di girare ancora un poco per Piccadilly Circus. Veniamo così attratti da un negozio che vende peluches di animali, e dove Giacomo ed Ambra acquistano un tucano, mentre io regalo un pinguino a Susanna. Finiamo la serata prima in un negozio di donutsm, e poi al supermercato dove facciamo scorta di bottigliette d'acqua. Torniamo in appartamento, e ci abbandoniamo al nostro amore, prima di addormentarci.
24 luglio. Secondo giorno.
Susanna e il pinguino, nel letto.

Ci svegliamo al suono della 
sveglia, con qualche difficoltà. A dire il vero, mentre Susanna si riprende con un bagno, io ne 
approfitto per dormire ancora un poco. Ci vuole una doccia per convincermi del tutto che è ora di lasciare l'appartamento.
L'appuntamento con gli altri è al centro commerciale nella nostra zona. In attesa del loro arrivo, giriamo nel posto, scoprendolo ancor più grande di quel che credevamo. Riusciamo così anche a trovare l'adattatore per la presa di corrente, dopo averlo chiesto inutilmente le più svariate volte.
"Do you have an adaptor for the electric plug?" "I beg your pardon?" "Electric plug!" - scandendo ciò che prima avevo sbrodolato con tutti i difetti di pronuncia e mimando il gesto dell'inserimento di una presa nella corrente. "Ah no, sorry. Next one, please?"
Verso mezzogiorno veniamo raggiunti dai compagni di viaggio. Prima di partire, ci fermiamo al Burger King, per un in-salutare pranzo, allietato però da una bella vista sulla stazione di Stratford. Raggiunta quest'ultima, prendiamo la metro per scendere a Mile's End. Siamo un po' confusi nel tentativo di raggiungere il Victoria Park, ma ci accorgiamo che il modo più intelligente per arrivare nel luogo del concerto è ovviamente seguire la massa di rockers e metallari. 
Il posto è a circa un quarto d'ora a piedi dalla stazione, e lo raggiungiamo agevolmente, spinti sia dall'eccitazione sia da un succo all'anguria che ci viene offerto lungo la strada. Scopriamo però di dover fare una lunghissima coda per accedere ai braccialetti che ci avrebbero permesso di entrare nel luogo del festival, pur avendoli già prenotati da mesi. Ambra si getta nelle più funeste previsioni: "non riusciremo ad entrare prima delle 16".
Parte dell'enorme coda per i braccialetti, in realtà poi facilmente
superabile grazie alla velocità degli addetti.

In una decina di minuti, un quarto d'ora al massimo, riusciamo invece a completare le 
operazioni, e verso l'una di pomeriggio riusciamo così ad entrare nel luogo del concerto.
Da subito notiamo il primo dei tre palchi: il Metal Hammer Stage, dove si stanno esibendo i Black Spiders. Ne rimaniamo favorevolmente colpiti, ma siamo troppo esaltati per fermarci più di qualche canzone: abbiamo l'intera area da esplorare. Raggiungiamo così il Prog Stage, dove stanno suonando i Pendragon, altro gruppo che ignoriamo, ma che ci colpisce positivamente. Ma anche a loro dedichiamo poche attenzioni: siamo più interessati a vagare per l'enorme parco, un vero e proprio villaggio costruito per l'occasione. Ci sono i due palchi minori ed il Main Stage, le varie aree di gioco (con il Wall Of Death o gli autoscontri), un piccolo palco dove dei pazzoidi si sfidano nell'air guitar, i vari stands con magliette ed altro merchandise (si possono ordinare anche dei cd con le esibizioni dal vivo di alcuni dei gruppi del festival, registrati direttamente nel luogo), l'esibizione di auto d'epoca, i toi-toi con delle piccole fontanelle d'acqua ed il disinfettante gratuito per le mani, i numerosissimi bar e stands con il cibo più vario (a pezzi relativamente modici). 
Il primo gruppo che seguiamo con maggiori attenzioni sono i Focus, sul Prog Stage. Ammetto che non li conoscevo doverosamente, e della mia ignoranza mi son subito pentito, apprezzando la qualità del gruppo. Il finale con Hocus Pocus e Neurotika è stato il suggello di una grande esibizione.
Neanche il tempo di apprezzare le ultime note, che decidiamo di spostarci verso il Metal Hammer Stage per i finlandesi Hammerfall, che aspettavo con curiosità essendo stati fra i miei ascolti puntuali di qualche anno fa. Ad un quarto d'ora dall'inizio del concerto decidiamo però di non sprecare nemmeno un minuto del nostro tempo: torniamo di corsa al Prog Stage, dove si stanno esibendo i Bigelf. Avevo scoperto il gruppo nella primavera scorsa, e sapevo che sarebbe stato un gran bel concerto: non sono stato smentito, riuscendo a seguire i primi pezzi: The Evils of Rock'n'RollNeuropsychopathic Eye e, in parte, Frustration. Pur essendo un gruppo relativamente giovane (si sono formati ad inizio degli anni Novanta), i quattro si ispirano ad un rock psichedelico d'annata, condito da un doom metal che ricorda i primi Black Sabbath (così anche nelle scenografie e nei vestiti). Torniamo al Metal Hammer Stage giusto in tempo per l'inizio del concerto degli Hammerfall. Forse penalizzati dall'esibirsi fra i primi gruppi, o un poco fuori forma, m'impressionano meno di quanto mi aspettassi: li seguo comunque volentieri per le prime canzoni (nell'ordine: Punish and EnslaveThe Dragon lies BleedingHallowed Be My Name e Renegade). Ma dobbiamo correre al Main Stage, dove ci godiamo per intero l'esibizione di Gary Moore. Il chitarrista è forse fra i più sottovalutati degli déi delle sei-corde: anche al Victoria Park è fautore di un'esibizione emozionante, tecnicamente ineccepibile, ma che unisce la potenza del rock al gusto del blues, senza mai annoiare. Attraverso classici come Over The Hill and Far AwayThunder Rising o Out in The Fields, più qualche improvvisazione e dei pezzi nuovi che non stonano affatto, l'irlandese si diverte e sa divertire. 
Sono ormai quasi le sei quando salgono invece sul palco i Foreigner, forse il gruppo che più aspettavo della giornata, e che più mi ha impressionato. Il cantante Kelly Hansen ricorda Steven Tyler per attitudine e movenze, mentre non fa rimpiangere Lou Gramm, voce storica dei Foreigner. Mick Jones, membro originale del gruppo, si alterna abilmente fra tastiere e chitarra, mantenendo il gusto che lo ha sempre contraddistinto. La scaletta è quasi-perfetta (rimpiango solo l'assenza di Dirty White Boy, uno dei pezzi che preferisco degli americani): su Head Games si è forse raggiunto il climax più alto, mentre il finale è stato lasciato al classico dei classici, quella I want to know what Love is, con a supporto un coro di bambini. 
Alla fine dei Foreigner, corriamo al Metal Hammer Stage per i Saxon. Già visti in Svezia nel 2008, sapevo quanto siano in forma. Anche sul palco inglese non si smentiscono, con Biff Byford a fare la solita parte del mattatore, incitando il pubblico. Riusciamo a seguire nell'ordine CrusaderWheels Of Steel Denim And Leather, ma già siamo di corsa verso il Prog Stage, dove stanno suonando gli Asia. Arriviamo sulla fine di Without You e ascoltiamo I believe, in cui il trio dà il massimo, con una perfetta esecuzione, ma forse una staticità eccessiva sul palco. Ambra e Giacomo, che riescono ad ascoltare tutta la performance, la giudicheranno comunque con grandi encomi, ma noi stiamo davvero poco sotto il palco. Infatti già siamo in dirotta verso il Main Stage, dove sul palco suonano le note di E5150, pezzo storico dei Black Sabbath. Gli Heaven&Hell si esibiscono nel loro ultimo concerto, in omaggio a Ronnie James Dio. Alla voce si alternano Jorn Lande e Glenn Hughes, nessuno dei due all'altezza della persona che omaggiano, ma entrambi fanno ottima figura. I pezzi suonati sono dei classici: Mob RulesChildren Of The SeaDie YoungHeaven And Hell e la conclusiva Neon Knights (con la partecipazione di Phil Anselmo). Durante il concerto, Wendy Dio - moglie di Ronnie James - si commuove, mentre prega il pubblico di sostenere la fondazione del marito per la ricerca sul cancro. Prima degli headliners, ci concediamo una pausa-cena. Noodles per Susi, Fish&Chips per me. Ed un espresso molto buono, ma che riempio di sale invece di zucchero, dovendone poi ordinare uno nuovo.
Gli ZZ Top sul palco.
Chiudono la serata gli ZZ Top, che vediamo inizialmente dalle prime file, salvo poi arretrare per la stanchezza e goderceli da più lontano. Anche i due barbuti e compagno sono in forma, con la voce naturalmente calata che viene compensata da un muro di suono senza eguali. Il basso fa vibrare le ossa, la batteria pare un metronomo, i riff di chitarra scuotono i culi del pubblico. E poi l'attitudine: quella da perfetti rockers del sud, rimasta inalterata nel corso degli anni. Got Me Under PressureJesus Just Left ChicagoCheep SunglassesParty On PatioGimme All Your Lovin'Sharp Dressed ManLegsTush sono alcuni dei classici dei tre, tutti riproposti dal vivo sul palco del Victoria Park. Ogni tanto Billy Gibbons si lancia in sorrisi e battute, sempre i nostri ispirano simpatia, divertono con naturalezza. Le ultime note vengono suonate intorno alle 23, per lasciare il tempo ai convenuti - noi compresi - di tornare verso la metropolitana di Mile's End. Il rientro è ordinato, la gente si allontana senza creare confusione (ed ecco una delle tante grandissime differenze del carattere inglese rispetto a quello italiano - un confronto che mi risulta semplicissimo, dato che ad inizio mese sono stato all'Heineken Jammin Festival di Mestre, per gli Aerosmith. In quel caso, il dopo-concerto è stato un delirio, ma preferisco non inoltrarmi nel discorso). Verso mezzanotte riusciamo finalmente a rientrare in appartamento, stanchissimi, con i piedi che reclamano pietà. Ma molto felici.

25 luglio. Terzo giorno.
Il Prog Stage, visto dalla distanza

Ci sono molti aspetti positivi nel condividere un'esperienza come questa con la propria ragazza. Ma se dovessi sceglierne uno negativo, è probabilmente il fatto che - inevitabilmente come la pioggia a Londra - ad un certo punto si sente nominare la parola SHOPPING. Col tempo mi sono abituato a questa inevitabilità, ne ho fatto un po' il callo, dopo che già da bambino dovevo sopportare quelle volte che mia madre mi portava in cerca di vestiti (la noia è ancora un ricordo molto vivido). Certo non sempre reagisco positivamente all'idea di passare un tempo che diviene indeterminato fra gonne e giacchette, ma tento per quieto vivere di risparmiare le lamentele (qualcuna ancora mi sfugge, dato che Oxford Circus - ecco la meta dello shopping compulsivo - mi sembra erroneamente lontanissima), e persino di dispensare qualche sorriso e consiglio. Passiamo probabilmente più d'un'ora (la percezione del tempo in questi casi è sfasata) all'interno di un H&M, per grazia di Dio la mia compagna riesce a spendere pochissimo. Nel frattempo però è già ora di pranzo, e ci avventuriamo in un ristorante abbastanza economico (per essere a Londra). Ordiniamo riso, carne e curry: buonissimo.
Abbiamo però poco tempo, mangiamo in fretta, paghiamo, e torniamo in metropolitana. Ci aspetta un altro giorno di concerti. Arriviamo che gli UFO sono già sul palco. Riusciamo comunque a sentire le ultime canzoni (Love To LoveRock Bottom Doctor Doctor); il gruppo è in forma, e mi diverto molto nel guardarli: sono classici che conosco da anni, ma che mai avevo sentito dal vivo. Qualche problema tecnico con la chitarra solista (il cui volume talvolta si azzera totalmente), non impedisce comunque ai britannici di dimostrare la loro indubbia qualità. Alla chitarra non c'è più Michael Schenker, ma Vinnie Moore (già nei Vicious Rumors, ma con una carriera solista che lo ha reso famoso) non lo fa rimpiangere affatto; anche nelle improvvisazioni su Doctor Doctor, pezzo acclamato e cantato a gran voce dai presenti. 
Giacomo e i Fish&Chips
Il tempo passa in fretta, ed è già ora di correre sotto il Prog Stage, dove stanno per esibirsi gli Uriah Heep. Il loro è un appuntamento speciale, in quanto hanno in previsione di suonare per intero il loro capolavoro, quel Demons&Wizards del 1972. Del gruppo originale ormai c'è solo Mick Box alla chitarra: il gruppo è però compatto, e riesce ad emozionare. Come ospite, alla seconda chitarra, c'è Micky Moody, grandissimo delle sei corde (ed originariamente nei Whitesnake dal 1978 al 1984). L'apice, a mio avviso, viene raggiunto con la conclusiva The Spell, dove Phil Lazon alle testiere ed hammond dà il massimo. Ma tutto il gruppo è davvero in forma, il nuovo batterista Russel Gillbrook se la cava perfettamente, e così anche il cantante Bernie Shaw (ormai negli Uriah Heep da più di vent'anni). Quella degli Uriah, se si escludono gli headliners, è forse l'esibizione migliore di tutto il weekend, di sicuro quella che mi ha esaltato di più.
Vaghiamo ancora un poco per l'area, ma quando mancano pochi minuti alle 19, decidiamo di prepararci sotto il Main Stage, per essere nelle prime file all'inizio del concerto degli Emerson, Lake & Palmer (headliners di questa giornata). Nell'attesa ci gustiamo i Down'n'Outz, super-gruppo formato da Joe Elliot dei Def Leppard e membri dei Quireboys, attivi in un tributo ai Mott The Hoople e Ian Hunter. Proprio quest'ultimo s'aggiunge al gruppo per le ultime canzoni (così che la formazione diviene infine composta da ben cinque chitarre). Ian Hunter si rende protagonista di un curioso retroscena sul finale: avendo infatti il gruppo sforato con i tempi, ed essendo gli organizzatori assolutamente precisi con gli stessi (anche per permettere agli astanti di raggiungere la metropolitana in tempo, a fine concerto), al gruppo viene inaspettatamente tolta la corrente, tanto che non possono chiudere il concerto come evidentemente da loro previsto. Ian Hunter, incitato anche dal pubblico, si allontana allora verso il backstage, brandendo la propria chitarra acustica e minacciando di darla in testa al responsabile. La scena  si conclude col gruppo - che fra l'altro aveva infiammato per un'ora e mezza il Main Stage, rivelandosi la vera sorpresa del festival - rappacificato, a prendersi i doverosi applausi.
Sul finale il sotto-palco si riempie, io rimango solo a pochi passi dalla prima fila. La gente s'accalca, ma con la solita educazione, senza le spinte e gomitate tipiche dei concerti in Italia. Lo staff distribuisce acqua fresca gratuitamente, che dalle prime file viene portata a chiunque alzi la mano (anche se è più distante, attraverso un passaggio di mano in mano fra il pubblico). Gli Emerson, Lake & Palmer - nome storico del Rock Progressivo - stanno per esibirsi insieme per la prima volta dopo quindici anni: l'attesa è palpabile, lo si capisce dai cori, dalle urla di gioia che si odono al solo comparire della batteria di Palmer o del sintetizzatore di Emerson. Poi d'un tratto le luci si spengono, i nostri si presentano sul palco, forse non con quell'ingresso trionfale che mi aspettavo, ma d'altronde lasciano gli orpelli alla loro musica. E di musica ne sanno, sono praticamente perfetti nell'esecuzione (solo Emerson, mi dirà Giacomo che di musica e tecnica ne sa più di me, commetterà qualche errore), snocciolando i classici del loro repertorio, come sempre rivisitati con minuti e minuti d'improvvisazione. Pura scuola e maestria, con quel loro stile che unisce barocco a potenza di suono. Mi vedo le prime canzoni dalle prime file, ma poi preferisco arretrare, sia per raggiungere Susanna che si era allontanata, sia per godermi il gruppo con più calma (ed evitare la stanchezza che ormai si fa sentire sempre più). Vedere gli ELP seduti in terra, dalla distanza, è emozionante; sul finale Palmer si lancia in un'assolo incredibile, partono le esplosioni, Emerson accoltella l'hammond e lo rovescia sul palco, vengono sparati dei fuochi d'artificio. Si ha la sensazione, in questi casi, di vivere un qualcosa di storico; magari non è nulla del genere, ma senz'altro emoziona, e ti rimane incollato alla pelle come una cascata di brividi e pelle d'oca.
Il concerto si chiude, rimane il suono dell'emozione, che ci accompagna fino al nostro rientro in appartamento, ed ancora nei nostri sogni della notte.
26 luglio. Quarto giorno.
Io, nei pressi del London Bridge.
Io con uno degli attori
Ci svegliamo abbastanza presto, per risolvere l'incombenza di riordinare l'appartamento (ecco il difetto di essere due persone relativamente disordinate), e fare il check-out dall'albergo.
Mentre l'altra coppia torna ad Oxford Circus (SHOPPING-SHOPPING-SHOPPING..a me va decisamente meglio, per fortuna!), noi decidiamo di visitare la zona del London Bridge. Il clima è sempre fresco, il cielo nuvoloso, ma in più inizia anche a piovere. Una pioggia leggera, non troppo fastidiosa, e che sul finire della mattinata se ne tornerà fra le nuvole che non ci lasciano mai. E' l'ultimo giorno, e purtroppo siamo a corto di soldi. Purtroppo, perché la zona è ricca di tentazioni: ci sono due parchi dei divertimenti in stile horror, pubblicizzati direttamente da attori nella zona della metropolitana (che è così piena di gente truccata, zombie, e ragazze in vestiti dell'Ottocento colanti sangue). E poi c'è il museo della guerra: il London At War, che mi guarda con occhi ammiccanti, ma a cui devo tristemente rinunciare.
Decidiamo allora di vedere il London Bridge, camminiamo un po' sul Queen Walk, un tratto di strada coperta, sulla destra al di sotto del ponte, e con una fantastica vista sul Tamigi.
E' ormai ora di pranzo, e per risparmiare decidiamo squallidamente di nutrirci al McDonald's. Calmiamo così i crampi alla pancia, e veniamo poco dopo raggiunti da Giacomo e Ambra. Quest'ultima fa conoscenza con uno degli attori horror, spaventandosi al BU! di un nano ricoperto di sangue. Come tipo di pubblicità è certamente efficace.
Il London Bridge
Torniamo sul London Bridge, giriamo ancora un poco per dare il nostro saluto a Londra. E' infatti ormai già ora di rientrare. Torniamo con la metropolitana a Liverpool Street, da dove con il treno rientriamo all'aeroporto di Stansted. Lì ci concediamo un ultimo muffin, buonissimo ma con un cappuccino di infima qualità (che ci lascia un senso di nausea). Riprende a piovere, ma il nostro aereo non ha problemi a decollare. Atterriamo a Milano intorno alle 22 italiane, con un certo senso di nostalgia, che diventerà sempre più forte. Non è quel senso di mancanza che si prova a rientro dalle vacanze, quel sentimento di difficoltà di riprendere la routine, lo stress di esami e lavoro. No: in questo caso c'è qualcosa di più; una sensazione che si fa più pulsante tornando a camminare per le strade di Trento, accendendo la televisione, sfogliando i giornali. La sensazione, forse illusoria, che tutto ciò che Londra rappresenta (l'educazione della gente, innanzitutto, la perfetta integrazione di culture ed etnie) non potremo mai ritrovarlo per le vie di casa nostra. E' con quest'idea che ho scritto questo breve racconto del viaggio fatto, sì un amarcord, sì un ricordo dei bei momenti passati con delle persone meravigliose. Ma ancor più una riflessione intima, che mi ha accompagnato nascondendosi fra i ricordi che ho qui trascritto: forse ho trovato la mia isola, un luogo in cui finalmente non mi sento a disagio. Se è un'utopia, lo potrò scoprire solo tornandoci.

PS: l'high voltage festival è confermato anche per il 2011.
PS2: tutte le foto qui presenti sono state scattate dai partecipanti al viaggio, la maggior parte da Susanna, con una CanonEOS450D o una CanonD10.