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lunedì 4 ottobre 2010
La notizia falsa
Sebbene cerchi di scrivere perlopiù materiale mio, come è giusto che sia, succede talvolta che trovi un articolo altrui talmente bello, geniale o interessante, che non posso esimermi dal volerlo condividere. Così da poterlo poi anche ritrovare nel tempo. E' il caso dell'articolo di Michele Serra, che ho qui copiato.

Michele Serra, "L'Amaca", in La Repubblica, 29 settembre 2010
PS: soluzione dell'enigma: "Il Papa annuncia che imbiancherà personalmente il suo appartamento in Vaticano" (seleziona per leggere) è la notizia falsa.. il resto è purtroppo vero!
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venerdì 11 giugno 2010
Legge Bavaglio
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lunedì 21 settembre 2009
Che c'è nel piatto?

da La Repubblica Esteri
di Sara Ficocelli
di Sara Ficocelli
Un paziente costretto in ospedale da un'infezione ossea ha denunciato sul web la qualità del cibo che gli veniva portato durante la sua degenza. Hospital Food Bingo è il nome del gioco che ha inventato e che consiste nel chiedere ai visitatori del suo blog di indovinare di che portata si tratta. Una ricerca della Bournemouth University ha denunciato nei giorni scorsi che il cibo servito nelle carceri inglesi è di gran lunga migliore di quello degli ospedali, sollevando un polverone che ha messo in difficoltà le autorità locali. A quanto pare, però, sembra tutto vero. A dimostrarlo ci ha pensato Traction Man (L'uomo in trazione), un paziente inglese che nel suo blog (hospitalnotes. blogspot. com) ha pubblicato, giorno per giorno, le foto dei pasti serviti in ospedale. Del misterioso autore del diario on-line si sa solo che è da mesi costretto a vivere in ospedale in una condizione di semi-immobilità, da qui il soprannome "in trazione". La sua situazione lo ha portato ad aprire un contatto virtuale con il pubblico, una finestra sul mondo, e trasformare così un passatempo in uno strumento di denuncia. Tutto è cominciato con una provocazione: il gioco "Hospital Food Bingo" chiede a tutti i visitatori del blog di dare un'occhiata alle foto pubblicate e indovinare cosa c'è nel piatto. Non si vince niente, naturalmente, se non un po' d'indignazione per ciò che si vede: verdure scotte, pastasciutte con il colore dei sughi improbabili, poltiglie non ben identificate. I commenti che Traction Man fa a margine delle immagini sono ironici, mai veramente arrabbiati, ma svelano una vita non solo di solitudine e segnata da problemi di salute, ma anche di un cibo pessimo e di un'assistenza da parte del personale ospedaliero dai modi non esattamente adeguati alla situazione. "Gli antipasti tendono tutti al beige". "Molte verdure, perché le si possa mangiare, dovrebbero passare in una centrifuga. Sono tutte bagnate". "Non oso pensare dove siano state saltate le patate che accompagnano il pollo. L'ultima cosa che viene in mente è una padella". "Le infermiere sono di grande aiuto. Se essere d'aiuto significa tirare il menu attraverso la porta, come fosse un pezzo di carne lanciato tra le fauci di un leone". "Se mi vengono offerte delle alternative? Sì, posso scegliere 3 piatti altrettanto orrendi". Traction Man ha 47 anni e finora in ospedale ha trascorso circa 22 settimane, prima per un infiammazione al midollo osseo e poi per successive complicazioni. Ha deciso di mantenere l'anonimato per evitare prevedibili ritorsioni da parte del personale: il suo blog comunque sta facendo il giro del web e sono centinaia i commenti dei visitatori, che cercano davvero, spesso senza riuscirsi, di indovinare cosa ha mangiato a pranzo e a cena l'autore. In Italia la situazione non è migliore, salvo le eccezioni come quella - ad esempio - dell'ospedale dell'Angelo di Mestre, che ha avviato un progetto di ristorazione per rendere i pasti "buoni da mangiare e buoni da pensare". I risultati sono stati presentati lo scorso maggio al convegno nazionale "Mangiar bene, mangiar sano in ospedale", evidenziando il legame tra alimentazione sana e gustosa e miglioramento della salute. Nel 2007 il programma "Guadagnare salute" sottoscritto dall'ex ministro della Salute Livia Turco e dal presidente di Slow Food Carlo Petrini, si è impegnato di portare cibo biologico negli ospedali. Ma soddisfare le esigenze alimentari e di gusto degli oltre 240 milioni di pasti serviti ogni anno nelle strutture Italia non è cosa facile.
(18 settembre 2009)
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venerdì 11 settembre 2009
Segnalazione: IL CAFFE' FILOSOFICO
Dall’11 settembre “Il caffè filosofico - La filosofia raccontata dai filosofi”
Il 1° DVD con Repubblica e L'espresso a solo 1 euro in più
Una collana di 16 DVD in cui i più autorevoli studiosi contemporanei (Severino, Ferraris, Odifreddi, Galimberti, Vattimo, Rodotà, De Monticelli, Bodei, Curi, Ciliberto, Rossi, Giorello) ci raccontano con semplicità il pensiero sei più grandi filosofi dalle origini ad oggi. Per capire il passato, la nostra vita e costruire il futuro.Si parte alla scoperta delle origini della filosofia, attraverso le domande dei primi pensatori dell'antica Grecia che hanno costruito le fondamenta della cultura occidentale. Qual è il principio di tutte le cose? Cos'è l'essere e cos'è il nulla? Qual è il senso della vita e della morte? I primi passi lungo il sentiero della meravigliosa avventura del pensiero.
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Severino Emanuele
martedì 21 luglio 2009
Su "Il campo del vasaio"
"Ecco, il problema è stato l'individuazione di una voce mia. E l'ho scoperta del tutto casualmente: raccontai a mio padre una cosa molto buffa che era accaduta in uno studio televisivo e mio padre rise molto. Poi tornò mia madre e mio padre le disse: "Andrea ha raccontato una cosa, guarda, che è successa oggi nello studio" e cominciò a raccontarla. Poi si fermò e disse: "Raccontagliela tu, perchè tu gliela racconti meglio di me"; e allora io gli chiesi: "In che senso gliela racconto meglio?". Così scoprii che per raccontare adoperavo senza saperlo parole italiane e parole in dialetto, e quando avevo bisogno di un grado superiore di espressività ricorrevo al dialetto. Tutta la mia scrittura che è venuta dopo è una elaborazione di questa elementare scoperta avvenuta allora." [Andrea Camilleri]
Invogliato da una ristampa di Repubblica e L'Espresso ( http://temi.repubblica.it/iniziative-noir09/2009/andrea-camilleri-il-campo-del-vasaio/16 ) ho divorato "il campo del vasaio" di Camilleri. Scrittore di sicura fama, tanto che tempo acquistai cinque dei suoi libri, nell'originale edizione della Sallerio editore Palermo. Purtroppo, nonostante la curiosità che appunto mi spinse all'acquisto, ho assunto nel tempo una specie di allergia alla lettura di ciò che comunemente piace.
Credo che razionalmente sia tempo si superare questa immotivata antipatia alla massificazione dei gusti, perché ho scoperto che spesso (non sempre!) ciò che piace, in realtà ha dei validi motivi per piacere. Il caso più evidente fu con Harry Potter, di cui non ho difficoltà oggi ad ammettere la qualità, ma sul finire degli anni Novanta, mentre la serie vedeva la luce ed orde di compagni di scuola ne erano entusiasti, preferivo rivolgere le mie attenzioni al solito Stephen King (non che fosse un autore poco noto, ma quando me ne avvicinai non ne avevo coscienza). Poi la Rowling entrò prepotente, ed inevitabilmente, nelle mie grazie, ma confesso che ancora un certo Dan Brown è in compagnia di Stieg Larsson negli abissi della mia ignoranza. E mentre l'Italia leggeva Paolo Giordano, gli preferivo ostinatamente Paola Barbato (spesso ingiustamente ignorata, ma forse spenderò altre parole su di lei in altra occasione).
Anche i libri di Camilleri/Montalbano, fra l'altro lanciati anche da una serie televisiva (con l'ottimo Zingaretti), non sfuggirono al destino di questa legge assurda del mio inconscio, tanto che finirono a dare bella mostra su scaffali inombrati dalla polvere.
Insomma.. anche se ho scoperto, informato da un promoter di una libreria in stazione di Padova, di essere un buon lettore rispetto alle medie nazionali, ho la consapevolezza che una vita non basta per leggere tutto. Perché sprecarla allora per ciò che leggono tutti?
Questo discorso, l'ho già detto, non è affatto giusto. Ma è spesso diventato determinante nella scelta della prossima lettura. E quando si sceglie un libro, i vari lettori lo sanno, i fattori determinanti non sono pochi. L'autore, il titolo la trama riassunta nella terza di copertina, l'odore, il colore, un consiglio, una pubblicità; spesso semplicemente una sensazione, quasi fosse il libro a scegliere noi, e non noi loro. Sull'argomento credo abbia riflettutto anche Italo Calvino, nella prefazione a 'Se una notte d'inverno un viaggiatore' (1979), attraverso un allegorico assalto di libri-tentatori in libreria (è passato qualche anno da quando lessi quessi quelle pagine, ma dovrei essermela cavata con il riferimento dotto).
Fatto sta che Montalbano ha trovato il suo complice perfetto nella riedizione economica, allegata fra l'altro al quotidiano che, con Il Corriere della Sera, preferisco. Gaudium magnum: non solo ho apprezzato in effetti la storia raccontata (un indagine che segue il ritrovamento di un cadavere, nascosto nel campo di un vasaio dopo esser stato tagliato in trenta pezzi. Si scoprirà in efftti che quest'ultima è altro che una trovata splatter; piuttosto un riferimento dotto, nonché un macabro rituale di stampo mafioso), ma ho amato ancor più la caratterizzazione dei personaggi. In primis Montalbano stesso, alle prese con la paura per l'avanzare dell'età, con il sentimento così forte dell'amicizia, con le spire del tradimento; in secundis ogni singolo personaggio o comparsa, dalla fascinosa Dolores alla monarchica Esterina Trippodo. Le parole prendono vita, carattere, concretezza.
Il merito va tutto all'autore, a quel suo utilizzo così istintivo di un italiano fortemente regionale, che inizialmente spiazza il lettore (me persona personalmenti), ma che poi riesce nel fantastico processo della creazione, nel far danzare uomini fra parole, su sfondi di carta.
Ora, quei libri della Sallerio hanno lasciato il loro scaffale. Non sarà il momento di acquistare anche Il Codice Da Vinci?
PS: per chi legge questo su facebook, ricordo che il mio blog è in realtà a questo indirizzo: livingepitaphs.blogspot.com
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venerdì 13 febbraio 2009
Perché ho il diritto di scegliere della mia morte
di Umberto Eco
BENCHÉ il problema mi turbasse molto, e forse proprio per questo, ho cercato negli ultimi mesi di non pronunciare alcun giudizio o opinione sul caso Englaro, per molte e sensate ragioni, ma anzitutto perché non volevo partecipare alla canea di chi stava sfruttando per ragioni ideologiche, da una parte e dall' altra, la vicenda di una sventurata ragazza e della sua famiglia. Quando il presidente del Consiglio ha preso pretesto dal caso per tentare uno dei suoi ormai reiterati attacchi alla Costituzione, sono intervenuto con Libertà e Giustizia, in piazza, e mi sono unito agli appelli alla vigilanza. Ma nelle poche interviste che non ho potuto evitare ho sempre detto che le poche centinaia di persone che erano con me davanti a palazzo di Giustizia a Milano non erano lì a manifestare sul caso Englaro, perché ero pronto a scommettere che se si fosse fatta la conta si sarebbe visto che metà la pensavano in un modo e metà nell' altro, ma per protestare contro l' attacco al presidente della Repubblica, attentato bonapartista (ringrazio Ezio Mauro per aver rievocato questo precedente) su cui tutti erano d' accordo. Adesso, sfogliando le gazzette, mi rendo conto come sia difficile dividere questi due problemi e quanta sottigliezza politologica, giuridica e (permettetemi) morale ci voglia a capire quanto i due problemi siano diversi. Ma cosa si può pretendere da chi, come accadeva secoli fa con Terenzio e gli orsi, ha preferito il Grande Fratello alla discussione su questi casi? Così mi sono trovato citato tra coloro che sul caso Englaro avevano idee chiare e decise. Intervengo per dire che non le avevo, altrimenti le avrei espresse. Solo che, ora che la ragazza è morta, forse si può parlare di questi problemi senza temere di far sciacallaggio su un corpo in sofferenza. In effetti non intendo parlare della morte di Eluana Englaro. Voglio piuttosto parlare della mia morte, e ammetterete che in questo caso ho qualche diritto all' esternazione. Dovendo parlare della morte mia, e non di quella altrui, non posso non citare alcuni aspetti della mia vita, tra cui il fatto che qualche anno fa ho scritto un romanzo intitolato La misteriosa fiamma della regina Loana, dove il protagonista, dopo un primo incidente cerebrale per cui perdeva la memoria, cadeva nuovamente in coma. Non so se scrivendo volessi affermare qualcosa di scientificamente valido o cercassi solo un pretesto narrativo, ma fatto sta che ho impiegato più di cento pagine a far monologare il mio personaggio ormai in coma (non avevo allora calcolato se ridotto a vegetale, imputato di morte cerebrale o in coma eventualmente reversibile - segno che non avevo precise preoccupazioni scientifiche). In ogni caso il personaggio, in quello stato che chiamerò di "vita sospesa", pensava, ricordava, desiderava, si commuoveva. Sapeva benissimo che probabilmente i suoi cari lo credevano ridotto allo stato di una rapa, o al massimo di un cagnolino dormiente, ma si accorgeva che i medici sanno pochissimo di quanto succede nel nostro funzionamento mentale, e che forse dove essi vedono un encefalogramma piatto noi continuiamo a pensare, che so, coi rognoni, col cuore, coi reni, col pancreas... Questa era la mia finzione letteraria (per calmare coloro che dall' eccezionale si attendono tutto, dirò che alla fine il mio personaggio sprofondava nel buio) ma devo dire che se l' avevo pensata era perché un poco ci credevo. Non sono sicuro che là dove gli strumenti scientifici di oggi vedono solo una terra piatta, e una assenza di anima, ci sia del tutto assenza di pensiero - e lo dico con sereno materialismo, non perché ritenga che un' anima sopravviva alla morte delle nostre cellule ma perché non mi sento di escludere che - morte e definitivamente alcune cellule - altre non sopravvivano e prendano il controllo della situazione, testimoniando di una straordinaria plasticità non del nostro cervello (questo ormai lo sanno tutti) ma del nostro corpo. Insomma, siccome sospetto che quando si è sani si pensi anche con l' alluce, allora perché no quando il cervello non dà segni di vita? Non farei una comunicazione in merito a un congresso scientifico, ma in qualche modo ci credo. Visto che c' è gente che crede al cornetto rosso lasciatemi credere a questo. Ora che cosa vorrei, se se mi trovassi in una situazione del genere? A cercare proprio col lanternino tutte le possibilità credo proprio che esse si riducano a tre. Prima possibilità, sopravviverei come una rapa, senza coscienza, senza poter dire "io", reagendo al massimo a qualche modificazione dell' umidità atmosferica, come se fossi una colonnina di mercurio. In effetti a queste condizioni non sarei più "io", ma appunto una rapa e non vedo perché dovrei preoccuparmi di me. La seconda possibilità è che in quello stato si riviva tutto il proprio passato, si torni all' infanzia, si abbiano visioni e si realizzino quelli che in vita erano stati i nostri desideri, insomma si viva una sorta di sogno paradisiaco. È un poco quel che accade al personaggio del mio romanzo, ma poi purtroppo anche lui cala nelle tenebre. La terza ipotesi è la più angosciante, è che in quella vita sospesa ci si interroghi su cosa faranno e penseranno di noi i nostri cari, si riviva col cuore in gola gli ultimi momenti di coscienza, si tema per l' orrido futuro che ci attende, o addirittura ci si consumi come ha fatto mia madre negli ultimi dieci anni che è sopravvissuta a mio padre, raccontando a noi figli, ogni volta che poteva, come era stata orribile la notte in cui mio padre era stato colto da infarto, e se non fosse stata colpa sua che aveva preparato una cena forse troppo pesante. Questo sarebbe l' inferno - e ho accolto quasi con sollievo la morte di mia madre perché sapevo che stava uscendo da quell' inferno. Adesso facciamo una botta di conti alla Pascal. Di tre possibilità solo una è gradevole, le altre due sono negative. In termini di roulette (e sui grandi numeri, tipo diciassette anni di vita sospesa) si è già perso in partenza. Ma il problema non è questo. Io sono pronto a dichiarare che, nel caso incorra nell' incidente della vita sospesa, desidero che non si protraggano le cure (anche se potrei perdere alcuni istanti o millenni di paradiso) per evitare tensioni, disperazione, false speranze, traumi e (permettetemi) spese insostenibili ai miei cari. Ma chi sono io per distruggere la vita a una, due, tre o più persone per la remota possibilità di avere qualche istante o qualche anno di paradiso virtuale? Io ho il diritto di scegliere la mia morte per il bene degli altri. Guarda caso, è quello che mi ha sempre insegnato la morale, e non solo quella laica, ma anche quella delle religioni, è quello che mi hanno insegnato da piccolo, che Pietro Micca ha fatto bene a dare fuoco alle polveri per salvare tutti i torinesi, che Salvo D' Acquisto ha fatto bene ad accusarsi di un crimine non commesso, andando incontro alla fucilazione, per salvare un intero paese, che è eroe chi si strappa la lingua e accetta la morte sicura per non tradire e mandare a morte i compagni, che è santo chi accetta l' inevitabile lebbra per baciare le piaghe al lebbroso. E dopo che mi avete insegnato tutto questo non volete che io sottoscriva alla sospensione di una vita sospesa per amore delle persone che amo? Ma dove è finita la morale - e quella eroica, e quella che mi avete insegnato, che caratterizza la santità? Ecco perché, turbato a manifestare la sia pur minima idea sulla morte di Eluana (non sono, maledizione, fatti miei, ma dei genitori che l' hanno amata più di quanto l' abbia amata Berlusconi, che ha sinistramente fantasmato sulle sue mestruazioni) non ho esitazioni a pronunciare la mia opinione circa la mia morte. E all' amore che una morte può incarnare.
BENCHÉ il problema mi turbasse molto, e forse proprio per questo, ho cercato negli ultimi mesi di non pronunciare alcun giudizio o opinione sul caso Englaro, per molte e sensate ragioni, ma anzitutto perché non volevo partecipare alla canea di chi stava sfruttando per ragioni ideologiche, da una parte e dall' altra, la vicenda di una sventurata ragazza e della sua famiglia. Quando il presidente del Consiglio ha preso pretesto dal caso per tentare uno dei suoi ormai reiterati attacchi alla Costituzione, sono intervenuto con Libertà e Giustizia, in piazza, e mi sono unito agli appelli alla vigilanza. Ma nelle poche interviste che non ho potuto evitare ho sempre detto che le poche centinaia di persone che erano con me davanti a palazzo di Giustizia a Milano non erano lì a manifestare sul caso Englaro, perché ero pronto a scommettere che se si fosse fatta la conta si sarebbe visto che metà la pensavano in un modo e metà nell' altro, ma per protestare contro l' attacco al presidente della Repubblica, attentato bonapartista (ringrazio Ezio Mauro per aver rievocato questo precedente) su cui tutti erano d' accordo. Adesso, sfogliando le gazzette, mi rendo conto come sia difficile dividere questi due problemi e quanta sottigliezza politologica, giuridica e (permettetemi) morale ci voglia a capire quanto i due problemi siano diversi. Ma cosa si può pretendere da chi, come accadeva secoli fa con Terenzio e gli orsi, ha preferito il Grande Fratello alla discussione su questi casi? Così mi sono trovato citato tra coloro che sul caso Englaro avevano idee chiare e decise. Intervengo per dire che non le avevo, altrimenti le avrei espresse. Solo che, ora che la ragazza è morta, forse si può parlare di questi problemi senza temere di far sciacallaggio su un corpo in sofferenza. In effetti non intendo parlare della morte di Eluana Englaro. Voglio piuttosto parlare della mia morte, e ammetterete che in questo caso ho qualche diritto all' esternazione. Dovendo parlare della morte mia, e non di quella altrui, non posso non citare alcuni aspetti della mia vita, tra cui il fatto che qualche anno fa ho scritto un romanzo intitolato La misteriosa fiamma della regina Loana, dove il protagonista, dopo un primo incidente cerebrale per cui perdeva la memoria, cadeva nuovamente in coma. Non so se scrivendo volessi affermare qualcosa di scientificamente valido o cercassi solo un pretesto narrativo, ma fatto sta che ho impiegato più di cento pagine a far monologare il mio personaggio ormai in coma (non avevo allora calcolato se ridotto a vegetale, imputato di morte cerebrale o in coma eventualmente reversibile - segno che non avevo precise preoccupazioni scientifiche). In ogni caso il personaggio, in quello stato che chiamerò di "vita sospesa", pensava, ricordava, desiderava, si commuoveva. Sapeva benissimo che probabilmente i suoi cari lo credevano ridotto allo stato di una rapa, o al massimo di un cagnolino dormiente, ma si accorgeva che i medici sanno pochissimo di quanto succede nel nostro funzionamento mentale, e che forse dove essi vedono un encefalogramma piatto noi continuiamo a pensare, che so, coi rognoni, col cuore, coi reni, col pancreas... Questa era la mia finzione letteraria (per calmare coloro che dall' eccezionale si attendono tutto, dirò che alla fine il mio personaggio sprofondava nel buio) ma devo dire che se l' avevo pensata era perché un poco ci credevo. Non sono sicuro che là dove gli strumenti scientifici di oggi vedono solo una terra piatta, e una assenza di anima, ci sia del tutto assenza di pensiero - e lo dico con sereno materialismo, non perché ritenga che un' anima sopravviva alla morte delle nostre cellule ma perché non mi sento di escludere che - morte e definitivamente alcune cellule - altre non sopravvivano e prendano il controllo della situazione, testimoniando di una straordinaria plasticità non del nostro cervello (questo ormai lo sanno tutti) ma del nostro corpo. Insomma, siccome sospetto che quando si è sani si pensi anche con l' alluce, allora perché no quando il cervello non dà segni di vita? Non farei una comunicazione in merito a un congresso scientifico, ma in qualche modo ci credo. Visto che c' è gente che crede al cornetto rosso lasciatemi credere a questo. Ora che cosa vorrei, se se mi trovassi in una situazione del genere? A cercare proprio col lanternino tutte le possibilità credo proprio che esse si riducano a tre. Prima possibilità, sopravviverei come una rapa, senza coscienza, senza poter dire "io", reagendo al massimo a qualche modificazione dell' umidità atmosferica, come se fossi una colonnina di mercurio. In effetti a queste condizioni non sarei più "io", ma appunto una rapa e non vedo perché dovrei preoccuparmi di me. La seconda possibilità è che in quello stato si riviva tutto il proprio passato, si torni all' infanzia, si abbiano visioni e si realizzino quelli che in vita erano stati i nostri desideri, insomma si viva una sorta di sogno paradisiaco. È un poco quel che accade al personaggio del mio romanzo, ma poi purtroppo anche lui cala nelle tenebre. La terza ipotesi è la più angosciante, è che in quella vita sospesa ci si interroghi su cosa faranno e penseranno di noi i nostri cari, si riviva col cuore in gola gli ultimi momenti di coscienza, si tema per l' orrido futuro che ci attende, o addirittura ci si consumi come ha fatto mia madre negli ultimi dieci anni che è sopravvissuta a mio padre, raccontando a noi figli, ogni volta che poteva, come era stata orribile la notte in cui mio padre era stato colto da infarto, e se non fosse stata colpa sua che aveva preparato una cena forse troppo pesante. Questo sarebbe l' inferno - e ho accolto quasi con sollievo la morte di mia madre perché sapevo che stava uscendo da quell' inferno. Adesso facciamo una botta di conti alla Pascal. Di tre possibilità solo una è gradevole, le altre due sono negative. In termini di roulette (e sui grandi numeri, tipo diciassette anni di vita sospesa) si è già perso in partenza. Ma il problema non è questo. Io sono pronto a dichiarare che, nel caso incorra nell' incidente della vita sospesa, desidero che non si protraggano le cure (anche se potrei perdere alcuni istanti o millenni di paradiso) per evitare tensioni, disperazione, false speranze, traumi e (permettetemi) spese insostenibili ai miei cari. Ma chi sono io per distruggere la vita a una, due, tre o più persone per la remota possibilità di avere qualche istante o qualche anno di paradiso virtuale? Io ho il diritto di scegliere la mia morte per il bene degli altri. Guarda caso, è quello che mi ha sempre insegnato la morale, e non solo quella laica, ma anche quella delle religioni, è quello che mi hanno insegnato da piccolo, che Pietro Micca ha fatto bene a dare fuoco alle polveri per salvare tutti i torinesi, che Salvo D' Acquisto ha fatto bene ad accusarsi di un crimine non commesso, andando incontro alla fucilazione, per salvare un intero paese, che è eroe chi si strappa la lingua e accetta la morte sicura per non tradire e mandare a morte i compagni, che è santo chi accetta l' inevitabile lebbra per baciare le piaghe al lebbroso. E dopo che mi avete insegnato tutto questo non volete che io sottoscriva alla sospensione di una vita sospesa per amore delle persone che amo? Ma dove è finita la morale - e quella eroica, e quella che mi avete insegnato, che caratterizza la santità? Ecco perché, turbato a manifestare la sia pur minima idea sulla morte di Eluana (non sono, maledizione, fatti miei, ma dei genitori che l' hanno amata più di quanto l' abbia amata Berlusconi, che ha sinistramente fantasmato sulle sue mestruazioni) non ho esitazioni a pronunciare la mia opinione circa la mia morte. E all' amore che una morte può incarnare.
"Laudato s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale, - da la quale nullu homo vivente pò skappare: - guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; - beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, - ka la morte secunda no ' l farrà male".
Umberto Eco, "Perché ho il diritto di scegliere della mia morte" in La Repubblica, Anno 34, Numero 36, 12 febbraio 2009, p.1 et p.30
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