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sabato 31 dicembre 2011

Whatever will be

«Vedo che i giovani d'oggi s'industriano con ogni mezzo a dimenticare il tempo vivendo un eterno presente senza passato e senza futuro. Ma non è facile dimenticare il tempo. Noi ne siamo intrisi, la nostra identità è nutrita dal sentimento del tempo, la nostra differenza da tutte le altre specie viventi consiste in quel sentimento che soltanto a noi è riservato.» E. Scalfari

Odio ed amo questa mia personale tradizione, di fare un bilancio della mia vita ogni primo gennaio (più o meno, oggi è il 31, non stiamo a sindacare). Credo siano molti che, molto tristemente, ogni nuovo calendario s'accorgono che un altro anno è passato. Che il tempo scorre, e non lo si può fermare. Per me non è un dramma, è solo un cambio di calendario, uno fra i tanti che ancora mi aspettano. O almeno lo spero.

***

Bene, è una tradizione, quindi. Lo è diventata; è dal 2009 che rendo pubblico ciò che penso di me, ogni inizio di anno nuovo. Da cosa posso partire, per fare un bilancio? Ovviamente dal rileggere ciò che scrivevo gli altri anni:

2009  //  2010  //  2011

Mi fa uno strano effetto rileggermi. In primis, perché mi rendo conto che sono un mare di retorica. Non sempre, sia chiaro, ma forse il parlare di me stesso mi rende più melodrammatico. Ed anche un po' triste. Forse preferisco semplicemente scrivere degli altri, di personaggi veri o inventati, raccontare storie altrui, non la mia. Perché quando ci si guarda dentro è sempre un po' pericoloso, il rischio è di trovare lati che non pensavi di avere, oppure che tenevi nascosti, tappandoti le orecchie a più non posso. Va beh, facciamolo.

***

Retorica, appunto. Quella che mi spingeva l'anno scorso a ripromettermi di tuffarmi nel mare, rischiando di rompermi le ossa o di nuotare finalmente. L'ho fatto? Ma va! Non potevo sperare davvero che il 2011 cambiasse la mia vita. Per farlo, avevo bisogno di un numero pari. Il 2012 è l'anno giusto! Come suona bene… duemilaedodici…duemilaedodici… lo ripeterei per un anno intero… duemilaedodici… Quando ti sei laureato? Nel duemilaedodici! Bingo!

Non lo credo davvero. Non credo che sarà il prossimo, l'anno della svolta. Però, a quanto pare, sarà davvero l'anno della mia laurea. Se i Maya non metteranno lo zampino, anticipando di qualche mese la fine del mondo, l'anno prossimo sarò un dottoredelbucodelculvaffanculvaffancul. Non male, primo obiettivo raggiunto, ranger. La missione continua.

***

Tempo di bilanci, allora. Cosa c'è stato davvero di buono nel 2011? Ho conosciuto nuove persone, ed ho trovato nuovi stimoli. Di per sé ho continuato a percorrere la stessa identica strada, ma finalmente qualcuno si sta accorgendo di me. Non miro affatto ad un riconoscimento, ma che qualcosa mi venga riconosciuto, non posso fingere che non mi faccia piacere. Sto trovando nuovi spazi per esprimermi, nuove pagine bianche da riempire, nuovi mondi da esplorare (la missione continua, appunto). 
Accanto a me ho sempre la luce di quello stesso faro, sempre più luminosa. Non è una candela, è una costellazione di immensità, è un universo di irrazionale potere. Senza lei non sarei io, l'io di adesso. Penso questo, questa è la mia idea.

***

Allora, per il nuovo anno per una volta non mi auguro un cambiamento. Non per forza qualcosa che sconvolga la mia vita. Intanto, mi basta continuare così. Poi… que sera, sera, whatever will be, will be.

mercoledì 23 marzo 2011

AAA Cercasi amica

Ultimamente sono molto interessato ai rapporti sociali, quelli che uno storico francese (Maurice Agulhon) ha definito genericamente come la socialité (tradotto in italiano come sociabilità). Lo sono da un punto di vista accademico, dato che sto studiando per una tesi che, da questo concetto, trae le sue radici. Ma, al di là della categoria meramente sociologica e storiografica, andando a considerare gli aspetti più istintivi e meno intellettualoidi, mi son reso conto di avere uno strano interesse per come le persone si relazionino. E' brutto a dirsi, ma è come se a volte mi trovassi a guardare le persone che mi circondano come un biologo osserva gli animali in una savana; anzi no, meglio: come un bambino allo zoo, perché il mio non è un interesse pienamente scientifico, ma solo una curiosità.

1.

Così, un paio di settimane fa, prima di una lezione in Università, ho notato questo ragazzo che parlava con una donna. Lui tutto affannato a raccontare l'elenco degli argomenti delle lezioni che aveva seguito quella mattina, lei tutta presa a fregarsene. Guardando lui, sembrava che avesse di fronte la migliore delle sue amiche. Guardando lei, sembrava che fosse importunata da uno sconosciuto. E allora cosa spingeva lui a restare lì, quasi uno zimbello del disinteresse di lei? Non poteva essere attrazione istintiva, interesse sessuale (che, soprattutto in un uomo, sappiamo come possa far perdere il contatto con la realtà), né lui me lo immagino innamorato di lei: il ragazzo sarà stato poco più che ventenne, la donna invece già sui quarant'anni. Poteva essere appunto amicizia, ma allora perché questa dicotomia di interesse? Questa palpabile e malcelata incomprensione? 

Mi son reso conto che i rapporti umani sono quasi sempre un'incomprensione. Scriveva Philip Roth:

"Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d'acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario,  camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d'incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l'incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell'incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l'intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di avere ragione o torto sulla gente e godersi la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati."*

Qualche tempo fa, prima di leggere queste parole, mi ero convinto che quest'incomprensione fosse un errore. Che tutta l'idea di una sociabilità per forza fosse un errore. Che in realtà non me ne importasse proprio nulla di vantare una lista di conoscenze ed amicizie da esibire, perché ero stufo di dover recitare per attirare l'attenzione altrui. Anche quando ero pienamente sincero, sincero fino al più profondo midollo osseo, mi sembrava che la gente faticasse a capirmi del tutto. Perché non poteva essere con me 24 ore su 24, né aveva la mia mente, né la mia sensibilità, né poteva leggere i miei pensieri. Il risultato era che ad una serie di rapporti mutili, mi ero convinto fosse meglio una sorta di solitaria misoginia. Chiudere la porta e vivere da soli, ribadendo Philip Roth.

Da una partre ero diventato come quella donna, quella che nemmeno fingeva interesse per quell'altro animale umano che le stava di fronte. Avevo elaborato una sfiducia per le altre persone, e negli altri non trovavo nulla d'interessante. E poi, da un altro punto di vista, mi sembrava che nessuno riuscisse a capirmi (né volesse farlo). Capite il paradosso? Mi sentivo vittima di quell'incomprensione, ed intanto ero il primo a non voler capire gli altri. 

Beh, avevo un salvagente, ed anche molto buono. Avevo la mia ragazza, che poteva sempre essermi accanto, anche solo per ascoltare le mie cazzate o i miei deliri di pseudo-serietà. Per un po' di tempo pensavo persino di aver trovato la formula della felicità: sostituire il bisogno di quei rapporti che sembravano sbagliati con altri interessi, come lo studio, la musica, la chitarra. Ed un rapporto sentimentale fisso. 
Scritto così sembra il diario di un vecchio, ed un po' scherzando lo dicevo davvero di essere un vecchio. Poi avevo sempre meno energie, l'Università mi stava occupando i minuti ed i pensieri, nei weekend lavoravo. Il risultato è che nell'ottobre scorso si è sgonfiato anche il salvagente, ed ho iniziato ad affondare. Pensavo di aver imparato a nuotare, ed invece affogavo.

A bracciate mi son riportato a galla, ritrovando il salvagente, ma con la paura di annegare ancora, ho provato ad imparare a nuotare. Ora sono nella situazione in cui sto migliorando nel mio atteggiamento verso gli altri; funestato dalla paura più grande, cosmica, che tormenta ogni uomo - la paura di essere solo - sto provando a lasciare alle spalle parte della mia incapacità di capire gli altri. Accettando, allo stesso tempo, il concetto che "capire bene la gente non è vivere".  

2.

Tempo fa, un mio professore, dopo un esame orale, mi disse: "Lei scrive molto meglio di come parla". Scherzava, e citandolo ora non dico che sono un artista della parola, anche se fra queste pagine potete intuire quanto ami scrivere. La questione è un'altra: sono maledettamente timido. Non guardo mai le persone negli occhi, se mi sento al centro dell'attenzione mi trema la voce, e capita delle volte che torni a casa dicendomi 'forse avrei potuto rispondere meglio' ad una domanda che mi è stata posta. Non è una mia caratteristica cronica; in genere mi basta conoscere meglio una persona (o capire che questa persona mi accetta), per perdere gran parte di questa timidezza. In alcuni casi, con alcune persone misteriose, riesco persino ad essere a mio agio da subito: credo però si contino sulle dita di una mano (e generalmente sono sempre più timido con le persone di sesso femminile, per un'eredità che mi porto dietro dai tempi delle scuole).
Questa timidezza è un po' frustante, ma c'è persino chi la vede come un pregio. 
Ma è, soprattutto, la prima causa di un'incomprensione negativa, che gli altri tendono ad avere nei miei confronti. C'è chi crede che io sia un po' snob, invece che timido. Lo voglio scrivere qui, anche se non lo leggerà nessuno: non offendetevi per i miei silenzi, per i miei sguardi che fuggono, per la mia confusione. Sono una parte di me di cui non posso fare a meno del tutto.

3.

[AAA. Cercasi amica, con cui condividere ansie, frustrazioni, deliri, con cui scambiare caffeina e consigli.

4. 

No, questo blog non voleva essere un annuncio per la ricerca di una persona. Sarei ciò che bonariamente si definisce uno sfigato
Di per sé non mi sento ancora pienamente appagato dalla mia vita sociale. Ma ho un atteggiamento che credo un giorno mi darà soddisfazioni: inizio a diffidare sempre meno delle persone, ed aspetto quando sempre meno persone diffideranno di me. Senza la necessità di fingere, con la certezza che la solitudine si sconfigge a colpi d'incomprensione, con l'ostinatezza che la consapevolezza di essere vivi, tornando a Philip Roth, la si ritrova solo sbagliando. E l'esperienza, come scrisse Oscar Wilde, "è semplicemente il nome che gli uomini danno ai propri errori".
Se poi c'è chi vuole rispondere davvero al finto-annuncio, può sempre invitarmi a prendere un caffé.


opera citata:
*: PHILIP ROTH, Pastorale Americana, Torino: Einaudi, 1998, pagg. 40-41

domenica 2 gennaio 2011

MMXI


"Perché sono stanco, come se fossi in viaggio da sempre?"

Scrivo il tradizionale pensiero per l'anno nuovo (come nel 2009 e nel 2010) con un umore un po' strano. Sarà la stanchezza di una bellissima giornata, con le emozioni che si è portata con sé. Sarà sempre questa sensazione di dover riscrivere le stesse cose degli anni scorsi: che nulla è veramente cambiato, che mi mantengo lì sull'orlo d'un trampolino che non posso saltare. Saranno mille altre cose, compresa quella sensibilità di cui a volte farei volentieri a meno. Però inizio ad essere un po' stufo. Non è forse caratteristica dei ventenni essere stufi? Ed io ventenne lo sono, ventitreenne ad esser preciso, con tutto quel bagaglio d'insicurezza che caratterizza chi vede il futuro sempre in bilico. Uno studente, fra l'altro. Un umanista, per giunta. Quasi rassegnato a dover essere su quell'orlo di trampolino di cui scrivevo prima.
Ma ora sono stanco; stanco di dover sempre dire che il 2010 non è stato poi così diverso dal 2009. Un anno pieno di tante cose, emozioni, bei momenti, risate e lacrime. Ma in cui nulla di me è all'apparenza mutato. Voglio tenere ciò che di costante adoro, la mia ragazza innanzitutto. Ma poi voglio anche decidermi a dare uno scossone, a provare a fare qualche tuffo. O riuscirò finalmente a nuotare nel mare, o mi romperò delle ossa. Ma il primo di gennaio del 2012, a dodici mesi dalla fine del mondo (a cui ovviamente non credo), vorrei poter scrivere che c'è qualcosa di diverso. Che qualcosa si sta muovendo.
Cosa? Non lo so ancora, ho appena iniziato l'anno nuovo.

martedì 28 dicembre 2010

A bordo d'un foglio

Nel mondo esistono persone che, per ciò che fanno, sembrano essere usciti dalla mente di un poeta. E' il caso di un vecchio uomo che ho conosciuto questa mattina; il volto corrucciato, la voce che sembrava corrotta forse dal troppo fumo di una vita. Biblioteca di Trento, prima mattina, gli studenti dagli occhi stanchi, io che tentavo di studiare una complicata analisi critica sul Manzoni (forse non il menù perfetto per iniziare la giornata, ma non si può scappare - in eterno - dagli obblighi). L'anziano si è seduto alla mia sinistra, ha tratto da una borsa un piccolo blocco con dei fogli bianchi. Tossendo un poco, ha iniziato a disegnare con dei gessi ed una penna; io, curioso, cercavo di spiare, facendo scivolare lo sguardo al di là del mio libro su suoi fogli. Ma non riuscivo a capire cosa stesse disegnando esattamente, perché non volevo apparire indiscreto col mio spiare. Ed invece era lui, senza che io me ne accorgessi, a spiare me, a riportare su carta i tratti ammorbiditi del mio volto. Mi ha regalato una caricatura, un ritratto, del mio viso, e per me è stato un bellissimo dono. Non ho avuto il tempo di chiedergli il nome, si è alzato tossendo, e se ne uscito dalla biblioteca.

giovedì 9 dicembre 2010

Semi

Credo molto in questo blog, e ne è testimonianza il fatto che sia, per ora, ancora vivo. Ormai non riesco più a contare i progetti che ho lasciato naufragare nel corso della mia vita, idee a cui credevo sinceramente, ma a cui ho smesso di occuparmi, per pigrizia o perdita d'interesse. Credo sia normale; ancor più per chi, come me, ha una certa emotività, vive di sensazione, spesso d'istinti (a volte mediati da un certo raziocinio, ma in genere sempre d'istinti si parla). Ebbene: a distanza di qualche anno da quell'agosto 2008, eccomi ancora a scrivere su queste pagine, nella speranza di poterlo fare ancora a lungo. 

Eppure vi sarete resi conto - o voi pubblico di lettori fantasma - che gli aggiornamenti si stanno facendo più radi. Sto forse perdendo interesse anche per il blog? Ma va, se ho appena scritto che ci credo molto. Ci credo, come il contadino crede al campo dove mette il seme, anche se dovrà aspettare mesi prima di raccoglierne i frutti. Io credo che ci vorranno anni, ma un giorno raccoglierò i frutti anche di questo spazio dimenticato. 
Allora perché sto scrivendo così poco? Ecco: mi ricollego al discorso appena fatto. Non solo uno, ma molti sono i semi che sto distribuendo in questo periodo. L'anno si sta piano piano chiudendo, e presto sarà ora di fare quella sorta di esame di coscienza di ciò che l'anno passato è stato, com'è orma tradizione su queste pagine (2009 e 2010). Sarà ancora strano rendersi conto che nulla è veramente cambiato; ma non vorrei che questo intervento suoni come un triste riconoscimento della staticità della mia vita. In realtà tutto è in evoluzione, tutto in movimento, tutto - soprattutto - in costruzione. La mia esistenza, proprio come questo blog. In attesa di un futuro, che vorrò godermi col sorriso di chi ha faticato per conquistarlo.

PS: nella retorica, ho dimenticato di specificare che in questo periodo scrivo meno nel blog proprio per mancanza di tempo.. (era intuibile!). Studio, lavoro, affetti, sogni.. tutto mi tiene occupato, mi stanca persino. Ma sono fiero di dire che questo è ciò che voglio!

mercoledì 1 dicembre 2010

H-Factor. Ovvero, speranze per il futuro.

Fra i ricordi migliori di quel lungo periodo del liceo, vi era quella settimana di febbraio definita, con una sorta di neologismo, cogestione. Pareva quasi una reminiscenza sessantottina, lontano eco delle occupazioni, in realtà un modo per staccare fra la fine del primo e secondo quadrimestre. In concreto, erano tre giorni (quindi non una vera "settimana") in cui si sospendevano le normali attività didattiche, sostituite da conferenze alternative, in teoria pensate ed organizzate da docenti e studenti. Non tutti i professori, in effetti, erano d'accordo; anzi, in una scuola con quella patina un po' arcaica, quale era - ed in parte è ancora, sebbene già nei pochi anni della mia frequenza le cose siano cambiate non poco - il liceo classico di Trento, si elevavano sempre i cori contrari. "E' solo una perdita di tempo", sbottava la vecchia di turno; lei che uno speciale-parlamento avrebbe dovuto condannare per l'uccisione culturale che portava avanti ogni giorno, arroccata sulla cattedra, con metodi paleolitici, contraria ad ogni ammodernamento (che non fosse l'aggiornamento mensile dello stipendio). In realtà, non è un caso che ricordo ancora quei momenti come i migliori della mia formazione, attimi in cui mi accorgevo di uno dei pregi migliori della cultura…anzi, di più: dell'umanità, della natura, della vita…la varietà. Il saper cogliere stimoli ovunque, l'inseguire il piacere di ciò che piace, l'uscire dagli schemi di programmi-di-studio, di ciò-che-si-deve-fare; cogliere il pregio dell'humanitas, un elevamento dello Spirito, dell'anima. Che gran soddisfazione capire che tutte queste cose erano inarrivabili per quelle stesse vecchie-megere in cattedra. Che bello scoprire che essere giovani significa avere una marea di chiavi, e poi basta solo capire quali sono le porte che possiamo aprire.

Certo, nel concreto questi sono tutti pensieri che ho compreso solo di recente, ammetto che ai tempi il tutto mi sembrava un "modo migliore per cui alzarsi la mattina e andare a scuola". Ma d'altronde credo che molti dei migliori insegnamenti ci arrivano addosso, senza nemmeno che ce ne rendiamo conto.

(Piccolo aneddoto: è proprio durante una di queste conferenze che ho conosciuto Giancarlo Alessandrini, grandissimo disegnatore della Bonelli. Io da appassionato di fumetti, e di Dylan Dog in particolare, avevo vinto la mia proverbiale timidezza, ed avevo chiesto di fotocopiare una tavola dell'Indagatore dell'Incubo, nella versione nata dalle sue chine. Me l'ero portata a casa con gioia ed orgoglio, con tanto di dedica e firma.

Ebbene: qualche anno dopo, per altre strade, ho conosciuto quella che di Giancarlo Alessandrini è la figlia, Susanna, di cui si ritrovano tracce in altri miei interventi nel blog (più o meno esplicite). La stranezza sta nel fatto che in realtà non sapevo delle parentele-celebri di Susanna, con cui nel frattempo avevo avuto qualche flirt. Immaginatevi la stranezza di scoprire la firma del padre sul muro di casa mia, la sera in cui strane coincidenze l'hanno portata a dormire da me.
Tra l'altro, sempre per la cronaca, io e Susanna ora siamo felicemente innamorati, da ormai "quasi" tre anni).

L'atmosfera di quei tempi passati, l'ho ritrovata incredibilmente oggi, presso la mia università. L'iniziativa, dal nome simpatico (ma anche un po' inquietante, nello scoprire ancora una volta quale sia l'influenza televisiva su tutto) di H-Factor, era volta a dar credito alla facoltà umanistica, nei suoi sbocchi lavorativi. Quali sono le possibilità che si aprono per i laureati; quali possono essere i punti d'incontro con le aziende, quali i pregi in genere degli umanisti? Pare un normale incontro orientativo, come molti se ne hanno nelle università, ed ancor prima proprio nei licei. In realtà è il tentativo, difficile, di far comprendere che una laurea in Lettere non significa, a prescindere, un antipasto al sussidio di disoccupazione. E' una crociata che, nei mille dialoghi avuti a riguardo, porto avanti da molto tempo; avere un supporto da chi non si è nutrito di soli sogni, ma anche di pane conquistato da vero-lavoro, è stato il primo aspetto della giornata di oggi.
In pratica: durante la giornata si sono alternati diversi relatori, ognuno portatore (più o meno sano) di una laurea umanistica. Sono stati loro, forti di un'esperienza decennale, a farsi testimoni di come anche il laureato in Lettere può lavorare. Ed ancor più: essere apprezzato, ed aver successo.
Grazie a Alida Caramagno, archivista, Paolo Di Stefano, giornalista de Il Corriere della Sera, e Patricia Chendi, editor di Sonzogno (tutte persone che, più o meno, fanno lavori vicini ai miei sogni), son riuscito  finalmente a capire cosa dovrò rispondere a chi mi chiederà cosa voglio fare nella vita - spesso con un tono sprezzante, e mezzo-retorico -. 

"Io voglio fare l'umanista"

E cioè? non lo so ancora, ma ho ancora una vita per capirlo. E il giorno in cui arriverò a quello sbocco professionale, chissà dove sarà quel tale che mi chiedeva, con curiosità polemica, del mio futuro. Chissà se mi ricorderò ancora di lui, e lui di me.

PS: intanto, io un biglietto da visita me lo son portato a casa. Chissà che.. no beh, meglio non dar ordini al destino!

lunedì 4 gennaio 2010

Anno nuovo

"Sicché sono qui, a salutare l'arrivo di un nuovo anno, tingendomi dell'alibi che con un nove al posto dell'otto io possa trovare le forze (o le opportunità, non tutto dipende da me!) per superare lo scoglio che fa diventare vero il sogno, in questo continuo status di apprendista. O sognatore, appunto, colui che si guarda nello specchio e non vede chi è, ma ciò che potrebbe essere"

Beh, citarmi è forse sin troppo autoencomiastico. Resta il fatto che scrivevo queste parole esattamente un anno fa, e se le ripeto oggi che entriamo nel 2010 non è proprio un caso.
Sia chiaro: il 2009 non è passato via inerme, lasciandomi spoglio di cambiamenti. Anzi: da certi punti di vista la mia vita ha subito qualche forte scossone. Ho lasciato alle spalle alcuni pesi, alcune persone inutili, con cui condividevo la convenienza di un rapporto finto e senza sostanza. Potrei sembrare più solo - e a volte credo davvero di esserlo -, ma in realtà sono più libero dalle ipocrisie e dagli ipocriti. "Non sprechi l'oro dei suoi giorni ascoltando gente noiosa, cercando di migliorare un fallimento senza speranza o gettando la sua vita agli ignoranti, alla gente mediocre, ai malvagi": è una citazione dal Ritratto di Dorian Gray di Oscar wilde.
Ho conosciuto stormi di attori che interpretano personaggi, finti fino al midollo; ragazzi di abissale ignoranza e, quel ch'è peggio, fieramente ignoranti; condottieri dei peggiori disvalori, neoborghesi che si vestivano da neofascisti, figli del Bene che ineggiano il Male - perché per loro la vita è un gioco in cui si nutrono di vizi, perché son sempre stati viziati. Ecco nel 2009 ho tolto gli occhiali che mi rendevano cieco, ho trasformato volti in briciole, e le ho scacciate via.

E'stato un anno positivo, senz'altro. A fronte di questi rapporti che si sono sfaldati sotto ai miei piedi, ne ho risaldati altri, soprattutto con chi davvero voglio accanto. Senza umili sentimentalismi idioti.
Non voglio fare progetti ed altre retrospettive. In fondo, sappiamo tutti che il cambio di anno non è che l'obbligo di cambiare anche il calendario.

sabato 21 marzo 2009

La Cura

21 MARZO 2008 - 21 MARZO 2009 - ....

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via,
dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti sollleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore
dalle ossessioni delle tue manie.

Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie.
Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.

[...]

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza,p
ercorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'Agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto,
conosco le leggi del mondo e te ne farò dono.

Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie.
Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.

Sì, avrò cura di te.


venerdì 23 gennaio 2009

Riassunto del riassunto di una vita riassunta

Sono ormai passati ventidue giorni di questo 2009: di per sé non sembrano molti, ma effettivamente la percezione del tempo non dà mai la mano alla matematica. Non che sia cambiato molto. La mia carriera universitaria inizia a darmi qualche soddisfazione, con un duplice 30, e sei crediti di storia greca che si aggiungono ad un curriculum dal futuro incerto. Ulteriori bacilli si sono trasformati in un ennesimo sunto d'influenza, o para-influenza che sia. Ho ripreso a frequentare amici che avevo abbandonato, ho continuato con istintiva ossessione ad amare, e ad avere bisogno dell'amore. E'stato insomma un gennaio fotocopia di altri mesi del passato, e non credo che mi debba sorprendere. La vita di un uomo è abbastanza ripetitiva, e forse la cosa più strana è la morte stessa.
Spero di continuare a non sorprendermi.

giovedì 1 gennaio 2009

L'alibi di un anno nuovo

L'inizio è la parte più importante di un lavoro. [Platone]

Sicché ci siamo: è ora di dare vita ad un blog ch'è anima, ma non carne. La carne sarei io, o meglio la mia mente.

Sono esattamente cinque mesi che questo spazio, senza che nessuno se ne sia apparentemente accorto, ha iniziato a raccogliere briciole della mia vita. Briciole sparse, sconnesse, deliranti, nemmeno l'ombra di quel pane che volevo servire.
Non scriverò promesse, perché temo divengano bugie, ma chissà che con il nuovo anno non riesca a essere più puntuale nei miei interventi.
Fosse poi l'unica cosa a cui dovrei coerenza, mi sento un vulcano di entusiasmo che si spegne nella quotidianità di mille idee lasciate nel cassetto. Sono uno dei tanti sognatori, che si sveglia spesso, ma non vuole rinunciare a sognare. Ed è per questo che il mio futuro è un punto di domanda, perché fra mille incroci devo ancora scegliere la strada giusta.
Però so che è lì da qualche parte, che mi potrebbero bastare due passi o una vita in cammino, ma che prima o poi raggiungerò una vetta. Quale ancora non so.

Per ora mi basta quello che ho: la voglia di camminare, e la consapevolezza di stringere una mano che mi tiene sempre più forte. E non è poco, perché so già che quando inciamperò ci sarà chi mi farà rialzare. Non scriverò promesse, perché temo divengano bugie, ma chissà che non abbia trovato la donna che mi accompagnerà nel mio cammino, per sempre.
D'altronde sono un sognatore.

Sicché sono qui, a salutare l'arrivo di un nuovo anno, tingendomi dell'alibi che con un nove al posto dell'otto io possa trovare le forze (o le opportunità, non tutto dipende da me!) per superare lo scoglio che fa diventare vero il sogno, in questo continuo status di apprendista. O sognatore, appunto, colui che si guarda nello specchio e non vede chi è, ma ciò che potrebbe essere.

Soffro dell'impazienza di chi ama la vita, e vorrebbe vedere se ha davvero capito come si vive. Ed allora mi auguro davvero un buon anno, chiudo gli occhi, e continuo a camminare.