venerdì 29 aprile 2011

Royal Wedding

Esattamente una settimana fa, una giornalista mi chiese cosa ne pensavo del matrimonio reale (quello fra William e Kate), e quanto ne fossi informato. Parafrasando, le dissi che non me ne poteva fregare di meno. Secondo la mia proverbiale coerenza, ad oggi - che è arrivato il grande giorno - ho cambiato idea. Non del tutto, ma in parte.

Il punto è questo. Ho pensato alla citazione di Sciascia che fa Paolo Prodi, in uno dei primi libri* che ho studiato nella mia carriera universitaria: "La storia! E mio padre? E vostro padre? E il gorgoglio delle loro viscere vuote? E la voce della loro fame? Credete che si sentirà nella storia? Che ci sarà uno storico che avrà orecchio talmente fino da sentirlo?" (L. SCIASCIA, Il Consiglio d'Egitto). Ecco il punto: volenti o nolenti, la Storia la fanno perlopiù personalità d'élite: anche le grandi rivoluzioni, in realtà sono state perlopiù o alla mercé di pochi illuminati, o guidate da essi. Certo ci sono state eccezioni che un discorso così generico non può considerare (non ultimi i recenti tumulti nel nord Africa), ma la Storia - quella evenemenziale - è fatta da re, principi e nobili. Più tardi da borghesi.

Naturalmente con la crisi dell'assolutismo e l'avvento di illuminismo, liberalismo e delle democrazie, l'importanza delle monarchie è mutato: anche e soprattutto in Inghilterra (che tanto ha lottato per il suo parlamento), ormai la monarchia ha un ruolo a metà strada fra la rappresentanza ed il simbolismo (ancora il discorso andrebbe approfondito). Ma è comunque un ruolo eminente, che si eleva dal contesto delle masse di noi miseri mortales. Anche nolenti, un giorno il nome di William del Galles entrerà nei libri di storia. E se riuscirà a divenire regina (ne dubito), anche quello di Kate Middleton. Ecco perché il matrimonio di oggi non è un mero evento di gossip.

Ma, d'altra parte, i media - soprattutto italiani - si sono ormai specializzati nell'analizzare gli eventi mai con una prospettiva che potrebbe essere istruttiva e seria. Giusta la diretta televisiva del matrimonio, io credo, ma assurda quella ricerca ossessiva del faceto, che trasforma un evento dall'indubbia rilevanza politica e storica in una parata da casa delle bambole. Ecco perché, dal web, si innalza l'urlo di chi non può nemmeno più sentir parlare di nozze reali: perché, ancora, il matrimonio diviene lo strumento di una lobotomia mediatica. Potrebbe essere l'occasione per un approfondimento sulla storia inglese, diviene una lotta per la ricerca della retorica sdolcinata e del dettaglio inutile. Di che colore sarà il cappello della regina Elisabetta? Per Dio, chi se ne frega!

Ora, io mi pongo in una via di mezzo. Seguirò, anzi sto seguendo, la diretta del matrimonio su SKY e sulla BBC, eviterò la diretta di Canale5 come la peste. Ammetto un po' il fascino dell'evento, non tanto per il matrimonio, ma perché ho ancora gli effetti del mio innamoramento per Londra (ed adoro vedere la partecipazione del popolo inglese, una partecipazione del tutto differente da quella mediatica italiana). Ma vi prego, non venitemi a chiedere dei vestiti e della pettinatura della sposa, perché non saprò rispondervi.


bibliografia:
* = P. PRODI, Introduzione alla Storia Moderna, Bologna: Il Mulino, 1999, p. 24

0 commenti: