lunedì 5 dicembre 2011

La manovra «Salva-Italia»: qualche osservazione

L'Italia è a rischio default. Significa, in pratica, che lo stato in cui viviamo rischia di non poter più reggere dal punto di vista finanziario. Se l'Italia entra in default, trascina ancor più nel baratro della crisi anche l'Europa. L'euro perde valore, l'euro cessa di esistere. Diventa carta straccia, forse non davvero buona solo per accendere il fuoco, perché la potremmo ancora almeno convertire nelle nostre lire. «Che bello, è tornata la lira! È crollata l'Europa!». Probabilmente qualcuno che ieri, nel parlamento della Padania, urlava forte per la secessione, gioirebbe per il crollo dell'Europa e la rinascita dei piccoli stati nazionali (quelli storici, o quelli inventati, a loro poco importa). La realtà è che se l'Europa Unita scomparisse, perderemmo ogni forza politica, e quindi ancor più economica. Saremmo alla mercé di quei conquistadores che, già, nel Vecchio Continente stanno inserendosi per succhiarne la linfa.

Si potrebbe ragionare sul sistema, e di come in realtà siano stati globalizzazione e capitalismo a trascinarci sino a questo punto. È bello – almeno per diversificare il dibattito culturale – che qualche intellettuale, più o meno d'ispirazione marxiana, e più o meno utopista, ancora sia fiero di pensare in questi termini. È uscito proprio quest'anno il nuovo libro dello storico Eric J. Hobsbawm, che ammetto di non aver ancora letto, ma il cui titolo mi sembra comunque già significativo: Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l'eredità del marxismo. È giusta la via suggerita da Hobsbawm, o si tratta soltanto di un percorso fra l'utopia e l'anacronismo? Dovrei leggere quel libro, come da tempo vorrei fare, per poter esprimere la mia opinione.

Per ora mi accontento, quindi, di vedere come stanno le cose, in Italia. Mario Monti si è trovato a prendere le redini di un cavallo già imbizzarrito, tentando di riportarlo al trotto, al costo di rimetterne in prestigio personale. È chiaro che chiunque si veda una mano calata nelle tasche, reagirà con una certa stizza. E più aumenta la povertà, più aumenta anche l'indignazione, diventa vero odio. Per questo serviva un tecnico, non un politico: il politico di professione è ormai ossessionato dalla necessità di dover guadagnare altri voti (al costo di corteggiare un Scilipoti di turno), non può rischiare di perderne con misure impopolari. Un tecnico può accettare anche di essere odiato; un politico, se odiato, s'inventa che è la “parte sbagliata del paese” ad odiarlo, mentre quella vera ancora lo ama. Un ossessione che, oggettivamente, al Paese ha fatto molto male.

La realtà è che comunque la gente non riesce più a sopportare di sentirsi vittima del sistema. Quando qualcuno, dall'alto, aveva promesso demagogicamente di togliere l'Ici, era alla fine risultato il più votato alle elezioni. Il provvedimento non poteva reggere alla realtà dell'economia prossima alla crisi, dove anche i soldi dell'imposta sulla casa erano un minimo di ossigeno in un paese già ammalato, o quanto meno prossimo alla malattia. Togliere un'imposta è facile, e, come detto, porta voti. Quando ti accorgi di pagare meno tasse, allora è difficile che fai caso ai tagli che vengono fatti altrove, magari alla sicurezza, alla salute, alla cultura.

Togliere tasse è facile, dicevo, rimetterle diventa un'impresa. Sono abbastanza convinto che nel 2013 le elezioni verranno vinte da quei politici che prometteranno misure economiche più eque. Una nuova forma di democrazia, che non punta più sulla possibilità che ognuno possa essere rappresentato, ma che ognuno paghi il giusto, e che non vi sia uno spietato sistema oligarchico, in cui a pagare siano sempre gli stessi. In questo senso, Mario Monti ha avuto il merito e l'intelligenza di alcuni passi in avanti. La misura simbolica di rinunciare al proprio stipendio. Quella significativa di tassare beni di lusso, come yacht o aeromobili.

La misura mi è parsa, quindi, come minimo un passo in avanti in alcuni aspetti. Ma rimangono i punti che mi hanno lasciato perplesso. Non sono un economista, non ho nemmeno il barlume delle conoscenze accademiche del professor Monti, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse davvero il senso di un aumento dell'Iva al 23% (anche se a partire dal settembre prossimo). Con l'aumento dei prezzi, indistinto ed acritico, non si riducono anche i consumi? Non si peggiora, così, anche la crisi economica, colpendo soprattutto le piccole aziende, ed i singoli acquirenti?  

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