Visualizzazione post con etichetta Università di Trento. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Università di Trento. Mostra tutti i post

giovedì 10 marzo 2011

La laurea serve ancora [di Beppe Severgnini]


Cito un articolo di Beppe Severgnini, giornalista del Corriere della Sera, apparso sulla sua rubrica online [http://www.corriere.it/italians/], oggi 10 marzo 2011. Una voce fuori dal coro, finalmente, e con cui - manco a dirlo, da studente universitario - concordo appieno!


La laurea serve ancora

Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio. Certo: in Italia c'è qualcuno, particolarmente dotato, che riesce a unire le due cose. Ma il poeta aveva capito. Quando entriamo nell'età dei padri, diventiamo paternalisti.

Perdonate quindi se, dopo aver letto i dati (Almalaurea) sull'università italiana, esprimo un'opinione. Non è proprio un consiglio. Diciamo un suggerimento strategico.

Un laureato 2005 ha oggi una busta-paga media di 1.295 euro; fosse andato all'estero sarebbe a 2.025 euro. I laureati che hanno trovato lavoro in Italia, un anno dopo la laurea, sono scesi del 7% (periodo 2007/2009). Il calo delle iscrizioni (meno 9% in quattro anni) mostra un cambiamento demografico (meno diciannovenni) ma anche la scarsa fiducia delle famiglie nello studio come mezzo di avanzamento.

Posso dirlo? Sbagliano. Se un ragazzo ha voglia di studiare, ed è portato per gli studi, non deve farsi spaventare. Per il bene suo e del Paese. L'università è un investimento su noi stessi, come ha ricordato Irene Tinagli sulla "Stampa". E, insieme alla scuola pubblica, resta l'ultimo grande frullatore sociale, capace di mescolare redditi censo e geografia. Se si ferma quello, siamo fritti.

E' vero che i giovani connazionali hanno motivi di protestare ("Uno spreco di risorse che li avvilisce e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo", ha riassunto Mario Draghi). Ma studiare paga, anche in senso letterale. "Non bisogna guardare solo le retribuzioni iniziali - spiega Andrea Cammelli, presidente di Almalaurea - Se consideriamo l'intera vita lavorativa, un diplomato guadagna 100 e un laureato 155".

Voi direte: d'accordo, studiare. Ma dove, quanto, cosa? Semplifico (e mi scuso con i ragazzi).

DOVE In una buona università lontano da casa (a diciannove anni fa bene!). Vivere e studiare in una T Town (Trieste, Trento, Torino) o in una P City (Pavia, Pisa, Parma, Piacenza, Padova, Perugia, Palermo) cambia la prospettiva. Una laurea al Politecnico di Milano ha lo stesso valore legale di una laurea all'università di Bungolandia: ma un valore intellettuale, morale, sociale, pratico ed economico molto diverso. Le "università tascabili" fondate per accontentare sindaci, governatori, partiti e docenti hanno il destino segnato.

QUANTO Con ragionevole urgenza. I "fuori corso" sono malinconiche figure del XX secolo. Deve studiare chi sa farlo e ha voglia di farlo. Le università sono laboratori per il cervello, non parcheggi per natiche stanche.

COSA Quello che volete. Rifiutate il giochino, caro ai genitori, "quale facoltà offre più opportunità di lavoro". Tutte ne offrono, se avete attitudine, grinta, entusiasmo e successo. Nessuna ne offre, se vi rassegnate alla mediocrità. Scegliere per esclusione - magari giurisprudenza, rifugio degli indecisi - è una follia. Nei concorsi e negli studi professionali troverete ragazze e ragazzi che l'hanno scelta per passione e predisposizione; e vi faranno a fette. Un destino da salami, interamente meritato.

Beppe Severgnini 

mercoledì 1 dicembre 2010

H-Factor. Ovvero, speranze per il futuro.

Fra i ricordi migliori di quel lungo periodo del liceo, vi era quella settimana di febbraio definita, con una sorta di neologismo, cogestione. Pareva quasi una reminiscenza sessantottina, lontano eco delle occupazioni, in realtà un modo per staccare fra la fine del primo e secondo quadrimestre. In concreto, erano tre giorni (quindi non una vera "settimana") in cui si sospendevano le normali attività didattiche, sostituite da conferenze alternative, in teoria pensate ed organizzate da docenti e studenti. Non tutti i professori, in effetti, erano d'accordo; anzi, in una scuola con quella patina un po' arcaica, quale era - ed in parte è ancora, sebbene già nei pochi anni della mia frequenza le cose siano cambiate non poco - il liceo classico di Trento, si elevavano sempre i cori contrari. "E' solo una perdita di tempo", sbottava la vecchia di turno; lei che uno speciale-parlamento avrebbe dovuto condannare per l'uccisione culturale che portava avanti ogni giorno, arroccata sulla cattedra, con metodi paleolitici, contraria ad ogni ammodernamento (che non fosse l'aggiornamento mensile dello stipendio). In realtà, non è un caso che ricordo ancora quei momenti come i migliori della mia formazione, attimi in cui mi accorgevo di uno dei pregi migliori della cultura…anzi, di più: dell'umanità, della natura, della vita…la varietà. Il saper cogliere stimoli ovunque, l'inseguire il piacere di ciò che piace, l'uscire dagli schemi di programmi-di-studio, di ciò-che-si-deve-fare; cogliere il pregio dell'humanitas, un elevamento dello Spirito, dell'anima. Che gran soddisfazione capire che tutte queste cose erano inarrivabili per quelle stesse vecchie-megere in cattedra. Che bello scoprire che essere giovani significa avere una marea di chiavi, e poi basta solo capire quali sono le porte che possiamo aprire.

Certo, nel concreto questi sono tutti pensieri che ho compreso solo di recente, ammetto che ai tempi il tutto mi sembrava un "modo migliore per cui alzarsi la mattina e andare a scuola". Ma d'altronde credo che molti dei migliori insegnamenti ci arrivano addosso, senza nemmeno che ce ne rendiamo conto.

(Piccolo aneddoto: è proprio durante una di queste conferenze che ho conosciuto Giancarlo Alessandrini, grandissimo disegnatore della Bonelli. Io da appassionato di fumetti, e di Dylan Dog in particolare, avevo vinto la mia proverbiale timidezza, ed avevo chiesto di fotocopiare una tavola dell'Indagatore dell'Incubo, nella versione nata dalle sue chine. Me l'ero portata a casa con gioia ed orgoglio, con tanto di dedica e firma.

Ebbene: qualche anno dopo, per altre strade, ho conosciuto quella che di Giancarlo Alessandrini è la figlia, Susanna, di cui si ritrovano tracce in altri miei interventi nel blog (più o meno esplicite). La stranezza sta nel fatto che in realtà non sapevo delle parentele-celebri di Susanna, con cui nel frattempo avevo avuto qualche flirt. Immaginatevi la stranezza di scoprire la firma del padre sul muro di casa mia, la sera in cui strane coincidenze l'hanno portata a dormire da me.
Tra l'altro, sempre per la cronaca, io e Susanna ora siamo felicemente innamorati, da ormai "quasi" tre anni).

L'atmosfera di quei tempi passati, l'ho ritrovata incredibilmente oggi, presso la mia università. L'iniziativa, dal nome simpatico (ma anche un po' inquietante, nello scoprire ancora una volta quale sia l'influenza televisiva su tutto) di H-Factor, era volta a dar credito alla facoltà umanistica, nei suoi sbocchi lavorativi. Quali sono le possibilità che si aprono per i laureati; quali possono essere i punti d'incontro con le aziende, quali i pregi in genere degli umanisti? Pare un normale incontro orientativo, come molti se ne hanno nelle università, ed ancor prima proprio nei licei. In realtà è il tentativo, difficile, di far comprendere che una laurea in Lettere non significa, a prescindere, un antipasto al sussidio di disoccupazione. E' una crociata che, nei mille dialoghi avuti a riguardo, porto avanti da molto tempo; avere un supporto da chi non si è nutrito di soli sogni, ma anche di pane conquistato da vero-lavoro, è stato il primo aspetto della giornata di oggi.
In pratica: durante la giornata si sono alternati diversi relatori, ognuno portatore (più o meno sano) di una laurea umanistica. Sono stati loro, forti di un'esperienza decennale, a farsi testimoni di come anche il laureato in Lettere può lavorare. Ed ancor più: essere apprezzato, ed aver successo.
Grazie a Alida Caramagno, archivista, Paolo Di Stefano, giornalista de Il Corriere della Sera, e Patricia Chendi, editor di Sonzogno (tutte persone che, più o meno, fanno lavori vicini ai miei sogni), son riuscito  finalmente a capire cosa dovrò rispondere a chi mi chiederà cosa voglio fare nella vita - spesso con un tono sprezzante, e mezzo-retorico -. 

"Io voglio fare l'umanista"

E cioè? non lo so ancora, ma ho ancora una vita per capirlo. E il giorno in cui arriverò a quello sbocco professionale, chissà dove sarà quel tale che mi chiedeva, con curiosità polemica, del mio futuro. Chissà se mi ricorderò ancora di lui, e lui di me.

PS: intanto, io un biglietto da visita me lo son portato a casa. Chissà che.. no beh, meglio non dar ordini al destino!