martedì 21 luglio 2009

Su "Il campo del vasaio"

"Ecco, il problema è stato l'individuazione di una voce mia. E l'ho scoperta del tutto casualmente: raccontai a mio padre una cosa molto buffa che era accaduta in uno studio televisivo e mio padre rise molto. Poi tornò mia madre e mio padre le disse: "Andrea ha raccontato una cosa, guarda, che è successa oggi nello studio" e cominciò a raccontarla. Poi si fermò e disse: "Raccontagliela tu, perchè tu gliela racconti meglio di me"; e allora io gli chiesi: "In che senso gliela racconto meglio?". Così scoprii che per raccontare adoperavo senza saperlo parole italiane e parole in dialetto, e quando avevo bisogno di un grado superiore di espressività ricorrevo al dialetto. Tutta la mia scrittura che è venuta dopo è una elaborazione di questa elementare scoperta avvenuta allora." [Andrea Camilleri]

Invogliato da una ristampa di Repubblica e L'Espresso ( http://temi.repubblica.it/iniziative-noir09/2009/andrea-camilleri-il-campo-del-vasaio/16 ) ho divorato "il campo del vasaio" di Camilleri. Scrittore di sicura fama, tanto che tempo acquistai cinque dei suoi libri, nell'originale edizione della Sallerio editore Palermo. Purtroppo, nonostante la curiosità che appunto mi spinse all'acquisto, ho assunto nel tempo una specie di allergia alla lettura di ciò che comunemente piace.
Credo che razionalmente sia tempo si superare questa immotivata antipatia alla massificazione dei gusti, perché ho scoperto che spesso (non sempre!) ciò che piace, in realtà ha dei validi motivi per piacere. Il caso più evidente fu con Harry Potter, di cui non ho difficoltà oggi ad ammettere la qualità, ma sul finire degli anni Novanta, mentre la serie vedeva la luce ed orde di compagni di scuola ne erano entusiasti, preferivo rivolgere le mie attenzioni al solito Stephen King (non che fosse un autore poco noto, ma quando me ne avvicinai non ne avevo coscienza). Poi la Rowling entrò prepotente, ed inevitabilmente, nelle mie grazie, ma confesso che ancora un certo Dan Brown è in compagnia di Stieg Larsson negli abissi della mia ignoranza. E mentre l'Italia leggeva Paolo Giordano, gli preferivo ostinatamente Paola Barbato (spesso ingiustamente ignorata, ma forse spenderò altre parole su di lei in altra occasione).
Anche i libri di Camilleri/Montalbano, fra l'altro lanciati anche da una serie televisiva (con l'ottimo Zingaretti), non sfuggirono al destino di questa legge assurda del mio inconscio, tanto che finirono a dare bella mostra su scaffali inombrati dalla polvere.
Insomma.. anche se ho scoperto, informato da un promoter di una libreria in stazione di Padova, di essere un buon lettore rispetto alle medie nazionali, ho la consapevolezza che una vita non basta per leggere tutto. Perché sprecarla allora per ciò che leggono tutti?

Questo discorso, l'ho già detto, non è affatto giusto. Ma è spesso diventato determinante nella scelta della prossima lettura. E quando si sceglie un libro, i vari lettori lo sanno, i fattori determinanti non sono pochi. L'autore, il titolo la trama riassunta nella terza di copertina, l'odore, il colore, un consiglio, una pubblicità; spesso semplicemente una sensazione, quasi fosse il libro a scegliere noi, e non noi loro. Sull'argomento credo abbia riflettutto anche Italo Calvino, nella prefazione a 'Se una notte d'inverno un viaggiatore' (1979), attraverso un allegorico assalto di libri-tentatori in libreria (è passato qualche anno da quando lessi quessi quelle pagine, ma dovrei essermela cavata con il riferimento dotto).

Fatto sta che Montalbano ha trovato il suo complice perfetto nella riedizione economica, allegata fra l'altro al quotidiano che, con Il Corriere della Sera, preferisco. Gaudium magnum: non solo ho apprezzato in effetti la storia raccontata (un indagine che segue il ritrovamento di un cadavere, nascosto nel campo di un vasaio dopo esser stato tagliato in trenta pezzi. Si scoprirà in efftti che quest'ultima è altro che una trovata splatter; piuttosto un riferimento dotto, nonché un macabro rituale di stampo mafioso), ma ho amato ancor più la caratterizzazione dei personaggi. In primis Montalbano stesso, alle prese con la paura per l'avanzare dell'età, con il sentimento così forte dell'amicizia, con le spire del tradimento; in secundis ogni singolo personaggio o comparsa, dalla fascinosa Dolores alla monarchica Esterina Trippodo. Le parole prendono vita, carattere, concretezza.
Il merito va tutto all'autore, a quel suo utilizzo così istintivo di un italiano fortemente regionale, che inizialmente spiazza il lettore (me persona personalmenti), ma che poi riesce nel fantastico processo della creazione, nel far danzare uomini fra parole, su sfondi di carta.

Ora, quei libri della Sallerio hanno lasciato il loro scaffale. Non sarà il momento di acquistare anche Il Codice Da Vinci?


PS: per chi legge questo su facebook, ricordo che il mio blog è in realtà a questo indirizzo: livingepitaphs.blogspot.com

domenica 31 maggio 2009

Ultimi libri e articoli letti


Mi piace talvolta fare un elenco, sia come piccola soddisfazione curriculare, sia soprattutto come traccia che leggerò volentieri nel tempo..

ULTIMI LIBRI E ARTICOLI LETTI
Marco Bettalli, Anna Lucia D'Agata, Anna Magnetto
Storia Greca
Carocci Editore, 2006
Oswyn Murray
La Grecia delle Origini
Bologna: Il Mulino, 2001
Michele Faraguna
Alessandro Magno tra Grecia e Asia
in Storia d'Europa e del Mediterraneo
Salerno Editore, 2007
Antonietta Marini
Civiltà Micenea e Civiltà Greca: Continuità/Discontinuità
in Storia d'Europa e del Mediterraneo
Salerno Editore, 2007
Dario Fo
L'Apocalisse Rimandata (ovvero Benvenuta Catastrofe)
Guanda, 2007
Oscar Wilde
Il Ritratto di Dorian Gray
Classici Mondadori
Horace Walpole
Il Castello d'Otranto
Jacques Le Goff
Alla Ricerca del Medioevo
Laterza
Simon Price
Le Religioni dei Greci
Il Mulino
Stephen King
Blaze
Sperling&Kupfer
Stephen King
On Writing
Sperling&Kupfer

martedì 19 maggio 2009

Ai bordi della strada

L’idea che lo sforzo creativo e le sostanze che alterano la mente siano strettamente legate è una delle grandi mistificazioni pop-intellettuali del nostro tempo. I queattro scrittori del ventesimo secolo il cui lavoro è soprattutto responsabile di questa mitologia sono probabilmente Hemingway, Fitzgerald, Sherwood Anderson e il poeta Dylan Thomas. Sono gli autori a cui dobbiamo principalmente la nostra visione di una landa esistenziale di lingua inglese, dove le persone si sono isolate individualmente in un’atmosfera di strangolamento emotivo e disperazione. Sono concetti molto familiari alla maggioranza degli alcolisti; la reazione comune a essi è divertita sufficienza. Lo scrittore tossicodipendente è nient’altro che un tossicodipendente, sono tutti in altre parole comunissimi ubriaconi e drogati. La pretesa che droghe e alcool siano necessari per sopire una sensibilità più percettiva non è che la solita stronzata auto giustificativa. L’ho sentito dichiarare anche a conducenti alcolisti di spazzaneve, che bevono per zittire i demoni. Non importa se sei James Jones, John Cheever o un barbone avvinazzato che russa alla Penn Station; per un intossicato, il diritto al liquore o alla droga che ha scelto va semplicemente preservato a tutti i costi. Hemingway e Fitzgerald non bevevano perché erano creativi, diversi o moralmente deboli. Bevevano perché è quello che fanno gli alcolisti. Probabilmente è vero che le persone creative sono più vulnerabili di altri all’alcolismo e alla dipendenza dagli stupefacenti, e allora? Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada.

[S. King, On Writing, Sperling & Kupfer, 2001, pp. 92-93]

Dedicato a chi ancora si autogiustifica. Non a me stesso, per fortuna.

lunedì 23 marzo 2009

D'improvviso io scenderei (in tre non si può)

Esiste un concetto morale in un concerto, che lo strumento non può tacere, fingere, scappare. Lo strumento è parte: un’orchestra muore dentro, se un singolo spigolo si stende e diviene cerchio. Non si può scendere dal treno quando viaggia, il fiato che si mozza e la claustrofobia che sale, non può essere peggio della carne che si sfalda sui binari. Sicché non si può: l’etica d’una realtà che trasale, s’accorge di evadere dall’illusione di un mito che non esiste. Chi m’assicurerà che l’universo è infinito, mentre il mio si spegne? E la sera si torna se stessi, pensare, pensare, pensare. Ieri ho incontrato Rosita.
Sicché si ha la sensazione di dovere, di dover spiegare perché non si sa perché, di dover motivare un pensiero nato dalla mente. Chi mi dice che la mente è razionale ha già ceduto alla morte, ha dimenticato cos’è vivere. Ogni volta che penso d’aver paura della mia carne che si sfalda cedo alla morte, e così non salto mai. Ed è etico che io non salti, perché esploderebbe l’orchestra. Ed io al concetto morale del concerto tengo, perché se viene meno, non potrebbe che essere un danno per me.
Non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è giusto è ciò che io penso. Perde ogni senso la spiegazione, perché non esiste verità più sacrosanta di quella del narratore. Io sono il dipinto di un ordine superiore, e voglio elevarmi a capo burattinaio. Voglio stendere i fili intorno a me, da strumento divenire direttore d’orchestra.
Dannata Ippolita, ingravida, disgrazia di Otranto: io voglio Isabella, la giovane fanciulla. Sarò per lei l’incestuoso padre, accoglierò il peccato. Finché sono Manfredo non esiste peccato, il futuro dei miei figli o il piacere di quell’istante. Non chiedetemi perché, dal momento che non v’è altra spiegazione che la mia mente. Ed il mondo è governato dal mio pensiero, sicché per me non esiste altro mondo, se non il mio. Voglio Isabella. Ho scelto lei.

sabato 21 marzo 2009

La Cura

21 MARZO 2008 - 21 MARZO 2009 - ....

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via,
dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti sollleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore
dalle ossessioni delle tue manie.

Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie.
Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.

[...]

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza,p
ercorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'Agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto,
conosco le leggi del mondo e te ne farò dono.

Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie.
Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.

Sì, avrò cura di te.


venerdì 13 febbraio 2009

Perché ho il diritto di scegliere della mia morte

di Umberto Eco

BENCHÉ il problema mi turbasse molto, e forse proprio per questo, ho cercato negli ultimi mesi di non pronunciare alcun giudizio o opinione sul caso Englaro, per molte e sensate ragioni, ma anzitutto perché non volevo partecipare alla canea di chi stava sfruttando per ragioni ideologiche, da una parte e dall' altra, la vicenda di una sventurata ragazza e della sua famiglia. Quando il presidente del Consiglio ha preso pretesto dal caso per tentare uno dei suoi ormai reiterati attacchi alla Costituzione, sono intervenuto con Libertà e Giustizia, in piazza, e mi sono unito agli appelli alla vigilanza. Ma nelle poche interviste che non ho potuto evitare ho sempre detto che le poche centinaia di persone che erano con me davanti a palazzo di Giustizia a Milano non erano lì a manifestare sul caso Englaro, perché ero pronto a scommettere che se si fosse fatta la conta si sarebbe visto che metà la pensavano in un modo e metà nell' altro, ma per protestare contro l' attacco al presidente della Repubblica, attentato bonapartista (ringrazio Ezio Mauro per aver rievocato questo precedente) su cui tutti erano d' accordo. Adesso, sfogliando le gazzette, mi rendo conto come sia difficile dividere questi due problemi e quanta sottigliezza politologica, giuridica e (permettetemi) morale ci voglia a capire quanto i due problemi siano diversi. Ma cosa si può pretendere da chi, come accadeva secoli fa con Terenzio e gli orsi, ha preferito il Grande Fratello alla discussione su questi casi? Così mi sono trovato citato tra coloro che sul caso Englaro avevano idee chiare e decise. Intervengo per dire che non le avevo, altrimenti le avrei espresse. Solo che, ora che la ragazza è morta, forse si può parlare di questi problemi senza temere di far sciacallaggio su un corpo in sofferenza. In effetti non intendo parlare della morte di Eluana Englaro. Voglio piuttosto parlare della mia morte, e ammetterete che in questo caso ho qualche diritto all' esternazione. Dovendo parlare della morte mia, e non di quella altrui, non posso non citare alcuni aspetti della mia vita, tra cui il fatto che qualche anno fa ho scritto un romanzo intitolato La misteriosa fiamma della regina Loana, dove il protagonista, dopo un primo incidente cerebrale per cui perdeva la memoria, cadeva nuovamente in coma. Non so se scrivendo volessi affermare qualcosa di scientificamente valido o cercassi solo un pretesto narrativo, ma fatto sta che ho impiegato più di cento pagine a far monologare il mio personaggio ormai in coma (non avevo allora calcolato se ridotto a vegetale, imputato di morte cerebrale o in coma eventualmente reversibile - segno che non avevo precise preoccupazioni scientifiche). In ogni caso il personaggio, in quello stato che chiamerò di "vita sospesa", pensava, ricordava, desiderava, si commuoveva. Sapeva benissimo che probabilmente i suoi cari lo credevano ridotto allo stato di una rapa, o al massimo di un cagnolino dormiente, ma si accorgeva che i medici sanno pochissimo di quanto succede nel nostro funzionamento mentale, e che forse dove essi vedono un encefalogramma piatto noi continuiamo a pensare, che so, coi rognoni, col cuore, coi reni, col pancreas... Questa era la mia finzione letteraria (per calmare coloro che dall' eccezionale si attendono tutto, dirò che alla fine il mio personaggio sprofondava nel buio) ma devo dire che se l' avevo pensata era perché un poco ci credevo. Non sono sicuro che là dove gli strumenti scientifici di oggi vedono solo una terra piatta, e una assenza di anima, ci sia del tutto assenza di pensiero - e lo dico con sereno materialismo, non perché ritenga che un' anima sopravviva alla morte delle nostre cellule ma perché non mi sento di escludere che - morte e definitivamente alcune cellule - altre non sopravvivano e prendano il controllo della situazione, testimoniando di una straordinaria plasticità non del nostro cervello (questo ormai lo sanno tutti) ma del nostro corpo. Insomma, siccome sospetto che quando si è sani si pensi anche con l' alluce, allora perché no quando il cervello non dà segni di vita? Non farei una comunicazione in merito a un congresso scientifico, ma in qualche modo ci credo. Visto che c' è gente che crede al cornetto rosso lasciatemi credere a questo. Ora che cosa vorrei, se se mi trovassi in una situazione del genere? A cercare proprio col lanternino tutte le possibilità credo proprio che esse si riducano a tre. Prima possibilità, sopravviverei come una rapa, senza coscienza, senza poter dire "io", reagendo al massimo a qualche modificazione dell' umidità atmosferica, come se fossi una colonnina di mercurio. In effetti a queste condizioni non sarei più "io", ma appunto una rapa e non vedo perché dovrei preoccuparmi di me. La seconda possibilità è che in quello stato si riviva tutto il proprio passato, si torni all' infanzia, si abbiano visioni e si realizzino quelli che in vita erano stati i nostri desideri, insomma si viva una sorta di sogno paradisiaco. È un poco quel che accade al personaggio del mio romanzo, ma poi purtroppo anche lui cala nelle tenebre. La terza ipotesi è la più angosciante, è che in quella vita sospesa ci si interroghi su cosa faranno e penseranno di noi i nostri cari, si riviva col cuore in gola gli ultimi momenti di coscienza, si tema per l' orrido futuro che ci attende, o addirittura ci si consumi come ha fatto mia madre negli ultimi dieci anni che è sopravvissuta a mio padre, raccontando a noi figli, ogni volta che poteva, come era stata orribile la notte in cui mio padre era stato colto da infarto, e se non fosse stata colpa sua che aveva preparato una cena forse troppo pesante. Questo sarebbe l' inferno - e ho accolto quasi con sollievo la morte di mia madre perché sapevo che stava uscendo da quell' inferno. Adesso facciamo una botta di conti alla Pascal. Di tre possibilità solo una è gradevole, le altre due sono negative. In termini di roulette (e sui grandi numeri, tipo diciassette anni di vita sospesa) si è già perso in partenza. Ma il problema non è questo. Io sono pronto a dichiarare che, nel caso incorra nell' incidente della vita sospesa, desidero che non si protraggano le cure (anche se potrei perdere alcuni istanti o millenni di paradiso) per evitare tensioni, disperazione, false speranze, traumi e (permettetemi) spese insostenibili ai miei cari. Ma chi sono io per distruggere la vita a una, due, tre o più persone per la remota possibilità di avere qualche istante o qualche anno di paradiso virtuale? Io ho il diritto di scegliere la mia morte per il bene degli altri. Guarda caso, è quello che mi ha sempre insegnato la morale, e non solo quella laica, ma anche quella delle religioni, è quello che mi hanno insegnato da piccolo, che Pietro Micca ha fatto bene a dare fuoco alle polveri per salvare tutti i torinesi, che Salvo D' Acquisto ha fatto bene ad accusarsi di un crimine non commesso, andando incontro alla fucilazione, per salvare un intero paese, che è eroe chi si strappa la lingua e accetta la morte sicura per non tradire e mandare a morte i compagni, che è santo chi accetta l' inevitabile lebbra per baciare le piaghe al lebbroso. E dopo che mi avete insegnato tutto questo non volete che io sottoscriva alla sospensione di una vita sospesa per amore delle persone che amo? Ma dove è finita la morale - e quella eroica, e quella che mi avete insegnato, che caratterizza la santità? Ecco perché, turbato a manifestare la sia pur minima idea sulla morte di Eluana (non sono, maledizione, fatti miei, ma dei genitori che l' hanno amata più di quanto l' abbia amata Berlusconi, che ha sinistramente fantasmato sulle sue mestruazioni) non ho esitazioni a pronunciare la mia opinione circa la mia morte. E all' amore che una morte può incarnare.
"Laudato s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale, - da la quale nullu homo vivente pò skappare: - guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; - beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, - ka la morte secunda no ' l farrà male".
Umberto Eco, "Perché ho il diritto di scegliere della mia morte" in La Repubblica, Anno 34, Numero 36, 12 febbraio 2009, p.1 et p.30

mercoledì 4 febbraio 2009

Il sapere di poter sapere

Ammesso socraticamente che ci rendiamo conto di sapere di non sapere, ritengo che la grande conquista della cultura occidentale sia il sapere di poter sapere. Sicuramente una conoscenza enciclopedica è impossibile, in vita, a ciascun essere umano, sia esso dotato o meno di particolari doti mnemoniche. Era impossibile nel passato, tanto più oggi, che il bagaglio delle conoscenze umane, delle opinioni espresse, e delle scienze generali (anche l’umanistica è ormai riconosciuta come scienza), ha partorito un impressionante mole d’informazioni, che restano sopite nei libri, negli archivi e nelle biblioteche. Nella mia riflessione tralascio, s’intenda, le esperienze umane, in quanto soggettive e vive per definizione, concentrandomi piuttosto sulla cultura nel senso più materiale del termine, privo d’ogni filosofia, estraneo all’humanitas latina: un archivio che da fisico diviene mentale.
Mi si conceda la pedanteria, ch’è insieme anche banalità, di specificare che la cultura (così come sopra intesa) non sia di per sé un bene caro a tutti, né un ideale specifico dell’essere umano. Non credo nemmeno, come Cartesio, che l’uomo si caratterizzi per “la raison, ou le sens”, la ragione o il buon senso, essendo invero essi distribuiti in dosi differenti in ogni uomo. Tralasciamo, perché lo riconosceva anche Cartesio, che le contingenze della vita costringano ciascuno ad adattarsi ad un ideale di cultura differente. La cultura delle conoscenze è di per sé sempre stato un bene di lusso. Cosa importerà al contadino di conoscere l’opera di Euripide, e all’affamato di introdursi nella discussione filosofica riguardo Kant? Esempi potrebbero essere fatti anche nella cultura della chimica, della medicina o della matematica, e così via, ma in questo caso sarei il primo a dover ammettere la mia ignoranza (e si ritorna al concetto che conoscere tutto è impossibile). Ritengo, in più, che la capacità di applicazione allo studio sia differente da uomo a uomo, o, ribaltando Cartesio ed estendendo il discorso ad una dimensione ben più generale, che la ragione non sia dote comune a tutti. Per essere concreti, non si spiegherebbero altrimenti taluni fatti di cronaca che sono comprensibili solo perché sinonimi della stupidità umana. Inoltre, penso che la propensione alla conoscenza sia un talento innato, come il canto. Certo, ogni uomo può cantare, ma ci sarà chi vi riuscirà con facilità, e chi sarà stonato, o costretto ad un’applicazione faticosa. In altre parole, ritengo che esista una naturale vocazione anche per gli studi, che è anch’essa settoriale: un professore di storia potrà essere portato per la sua materia, ma del tutto negato nella matematica. E non è un esempio che faccio a caso, dato che ha contorni autobiografici, seppure io sia ancora un apprendista.
Nella storia, poi, alla cultura (ribadisco che, ma sarà l’ultima volta perché ormai credo sia chiaro, intendo sempre l’acquisizione metodica di conoscenze, di un qualsiasi argomento) non si è unilateralmente dato il valore di ideale massimo. Alla colta Atene del V secolo si alternava l’altrettanto mitizzata Sparta, del tutto indifferente (se non qualche sparuto caso) alla cultura letteraria, filosofica, o scientifica, tutta concentrata in un ideale militare che sovrastava del tutto ogni altra pretesa di conoscenza. Gli Spartiati, i cittadini per eccellenza della polis peloponnesiaca, erano dei guerrieri, degli opliti, orgogliosi e patriottici, cresciuti nell’ideale dell’eunomia (buon governo), ma con una scarsa istruzione sia umanistica sia scientifica. Sin da piccoli, erano educati al combattimento, attraverso lo spietato sistema dell’agoghé, che li teneva impegnati per gran parte della vita.
Una volta però specificato che la voglia, la possibilità e la capacità di acquisire cultura non è una prerogativa umana, ma una caratteristica singola, una sfaccettatura del carattere, influenzata da svariate situazioni, in primis sociali, esiste una seconda dimensione, ch’è quella della possibilità materiale di ottenere le informazioni. L’avvento della società informatizzata, con tendenze globalizzanti e la diffusione d’internet, ha permesso all’homo studiens di risolvere questo problema, che ha afflitto generazioni di acculturati del passato. La cultura, per i motivi detti, rimane quindi un bene di lusso, ma di più facile accesso. La diffusione delle biblioteche e delle conoscenze via internet ha esteso la possibilità di sapere ciò che già non si sa, ha dato gli strumenti per una virtuale conoscenza di ciascun argomento.
Oggi, nella realtà di un (più o meno) benestante occidentale, s’è passati ad un sovrannumero di materiale, che rende il lavoro dell’intellettuale certamente più complesso, ma, ritengo, anche più piacevole.
L’operazione della scrematura delle informazioni ridondanti o del tutto inutili, è molto più soddisfacente del riconoscimento di un’incolmabile ignoranza, insanabile per mancanza dei mezzi, e non per l’incapacità d’apprendere.

venerdì 23 gennaio 2009

Riassunto del riassunto di una vita riassunta

Sono ormai passati ventidue giorni di questo 2009: di per sé non sembrano molti, ma effettivamente la percezione del tempo non dà mai la mano alla matematica. Non che sia cambiato molto. La mia carriera universitaria inizia a darmi qualche soddisfazione, con un duplice 30, e sei crediti di storia greca che si aggiungono ad un curriculum dal futuro incerto. Ulteriori bacilli si sono trasformati in un ennesimo sunto d'influenza, o para-influenza che sia. Ho ripreso a frequentare amici che avevo abbandonato, ho continuato con istintiva ossessione ad amare, e ad avere bisogno dell'amore. E'stato insomma un gennaio fotocopia di altri mesi del passato, e non credo che mi debba sorprendere. La vita di un uomo è abbastanza ripetitiva, e forse la cosa più strana è la morte stessa.
Spero di continuare a non sorprendermi.

martedì 20 gennaio 2009

Tenetemi il mantello: ch'io colpisca l'occhio di Bupalo.
Sono ambidestro; e quando picchio non sbaglio.

[Ipponate]

domenica 11 gennaio 2009

Dieci anni dopo la morte di un poeta

Prendi la tua tristezza in mano
e soffiala nel fiume
vesti di foglie il tuo dolore
e coprilo di piume.

[Faber]