martedì 21 luglio 2009

Su "Il campo del vasaio"

"Ecco, il problema è stato l'individuazione di una voce mia. E l'ho scoperta del tutto casualmente: raccontai a mio padre una cosa molto buffa che era accaduta in uno studio televisivo e mio padre rise molto. Poi tornò mia madre e mio padre le disse: "Andrea ha raccontato una cosa, guarda, che è successa oggi nello studio" e cominciò a raccontarla. Poi si fermò e disse: "Raccontagliela tu, perchè tu gliela racconti meglio di me"; e allora io gli chiesi: "In che senso gliela racconto meglio?". Così scoprii che per raccontare adoperavo senza saperlo parole italiane e parole in dialetto, e quando avevo bisogno di un grado superiore di espressività ricorrevo al dialetto. Tutta la mia scrittura che è venuta dopo è una elaborazione di questa elementare scoperta avvenuta allora." [Andrea Camilleri]

Invogliato da una ristampa di Repubblica e L'Espresso ( http://temi.repubblica.it/iniziative-noir09/2009/andrea-camilleri-il-campo-del-vasaio/16 ) ho divorato "il campo del vasaio" di Camilleri. Scrittore di sicura fama, tanto che tempo acquistai cinque dei suoi libri, nell'originale edizione della Sallerio editore Palermo. Purtroppo, nonostante la curiosità che appunto mi spinse all'acquisto, ho assunto nel tempo una specie di allergia alla lettura di ciò che comunemente piace.
Credo che razionalmente sia tempo si superare questa immotivata antipatia alla massificazione dei gusti, perché ho scoperto che spesso (non sempre!) ciò che piace, in realtà ha dei validi motivi per piacere. Il caso più evidente fu con Harry Potter, di cui non ho difficoltà oggi ad ammettere la qualità, ma sul finire degli anni Novanta, mentre la serie vedeva la luce ed orde di compagni di scuola ne erano entusiasti, preferivo rivolgere le mie attenzioni al solito Stephen King (non che fosse un autore poco noto, ma quando me ne avvicinai non ne avevo coscienza). Poi la Rowling entrò prepotente, ed inevitabilmente, nelle mie grazie, ma confesso che ancora un certo Dan Brown è in compagnia di Stieg Larsson negli abissi della mia ignoranza. E mentre l'Italia leggeva Paolo Giordano, gli preferivo ostinatamente Paola Barbato (spesso ingiustamente ignorata, ma forse spenderò altre parole su di lei in altra occasione).
Anche i libri di Camilleri/Montalbano, fra l'altro lanciati anche da una serie televisiva (con l'ottimo Zingaretti), non sfuggirono al destino di questa legge assurda del mio inconscio, tanto che finirono a dare bella mostra su scaffali inombrati dalla polvere.
Insomma.. anche se ho scoperto, informato da un promoter di una libreria in stazione di Padova, di essere un buon lettore rispetto alle medie nazionali, ho la consapevolezza che una vita non basta per leggere tutto. Perché sprecarla allora per ciò che leggono tutti?

Questo discorso, l'ho già detto, non è affatto giusto. Ma è spesso diventato determinante nella scelta della prossima lettura. E quando si sceglie un libro, i vari lettori lo sanno, i fattori determinanti non sono pochi. L'autore, il titolo la trama riassunta nella terza di copertina, l'odore, il colore, un consiglio, una pubblicità; spesso semplicemente una sensazione, quasi fosse il libro a scegliere noi, e non noi loro. Sull'argomento credo abbia riflettutto anche Italo Calvino, nella prefazione a 'Se una notte d'inverno un viaggiatore' (1979), attraverso un allegorico assalto di libri-tentatori in libreria (è passato qualche anno da quando lessi quessi quelle pagine, ma dovrei essermela cavata con il riferimento dotto).

Fatto sta che Montalbano ha trovato il suo complice perfetto nella riedizione economica, allegata fra l'altro al quotidiano che, con Il Corriere della Sera, preferisco. Gaudium magnum: non solo ho apprezzato in effetti la storia raccontata (un indagine che segue il ritrovamento di un cadavere, nascosto nel campo di un vasaio dopo esser stato tagliato in trenta pezzi. Si scoprirà in efftti che quest'ultima è altro che una trovata splatter; piuttosto un riferimento dotto, nonché un macabro rituale di stampo mafioso), ma ho amato ancor più la caratterizzazione dei personaggi. In primis Montalbano stesso, alle prese con la paura per l'avanzare dell'età, con il sentimento così forte dell'amicizia, con le spire del tradimento; in secundis ogni singolo personaggio o comparsa, dalla fascinosa Dolores alla monarchica Esterina Trippodo. Le parole prendono vita, carattere, concretezza.
Il merito va tutto all'autore, a quel suo utilizzo così istintivo di un italiano fortemente regionale, che inizialmente spiazza il lettore (me persona personalmenti), ma che poi riesce nel fantastico processo della creazione, nel far danzare uomini fra parole, su sfondi di carta.

Ora, quei libri della Sallerio hanno lasciato il loro scaffale. Non sarà il momento di acquistare anche Il Codice Da Vinci?


PS: per chi legge questo su facebook, ricordo che il mio blog è in realtà a questo indirizzo: livingepitaphs.blogspot.com

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