mercoledì 4 febbraio 2009

Il sapere di poter sapere

Ammesso socraticamente che ci rendiamo conto di sapere di non sapere, ritengo che la grande conquista della cultura occidentale sia il sapere di poter sapere. Sicuramente una conoscenza enciclopedica è impossibile, in vita, a ciascun essere umano, sia esso dotato o meno di particolari doti mnemoniche. Era impossibile nel passato, tanto più oggi, che il bagaglio delle conoscenze umane, delle opinioni espresse, e delle scienze generali (anche l’umanistica è ormai riconosciuta come scienza), ha partorito un impressionante mole d’informazioni, che restano sopite nei libri, negli archivi e nelle biblioteche. Nella mia riflessione tralascio, s’intenda, le esperienze umane, in quanto soggettive e vive per definizione, concentrandomi piuttosto sulla cultura nel senso più materiale del termine, privo d’ogni filosofia, estraneo all’humanitas latina: un archivio che da fisico diviene mentale.
Mi si conceda la pedanteria, ch’è insieme anche banalità, di specificare che la cultura (così come sopra intesa) non sia di per sé un bene caro a tutti, né un ideale specifico dell’essere umano. Non credo nemmeno, come Cartesio, che l’uomo si caratterizzi per “la raison, ou le sens”, la ragione o il buon senso, essendo invero essi distribuiti in dosi differenti in ogni uomo. Tralasciamo, perché lo riconosceva anche Cartesio, che le contingenze della vita costringano ciascuno ad adattarsi ad un ideale di cultura differente. La cultura delle conoscenze è di per sé sempre stato un bene di lusso. Cosa importerà al contadino di conoscere l’opera di Euripide, e all’affamato di introdursi nella discussione filosofica riguardo Kant? Esempi potrebbero essere fatti anche nella cultura della chimica, della medicina o della matematica, e così via, ma in questo caso sarei il primo a dover ammettere la mia ignoranza (e si ritorna al concetto che conoscere tutto è impossibile). Ritengo, in più, che la capacità di applicazione allo studio sia differente da uomo a uomo, o, ribaltando Cartesio ed estendendo il discorso ad una dimensione ben più generale, che la ragione non sia dote comune a tutti. Per essere concreti, non si spiegherebbero altrimenti taluni fatti di cronaca che sono comprensibili solo perché sinonimi della stupidità umana. Inoltre, penso che la propensione alla conoscenza sia un talento innato, come il canto. Certo, ogni uomo può cantare, ma ci sarà chi vi riuscirà con facilità, e chi sarà stonato, o costretto ad un’applicazione faticosa. In altre parole, ritengo che esista una naturale vocazione anche per gli studi, che è anch’essa settoriale: un professore di storia potrà essere portato per la sua materia, ma del tutto negato nella matematica. E non è un esempio che faccio a caso, dato che ha contorni autobiografici, seppure io sia ancora un apprendista.
Nella storia, poi, alla cultura (ribadisco che, ma sarà l’ultima volta perché ormai credo sia chiaro, intendo sempre l’acquisizione metodica di conoscenze, di un qualsiasi argomento) non si è unilateralmente dato il valore di ideale massimo. Alla colta Atene del V secolo si alternava l’altrettanto mitizzata Sparta, del tutto indifferente (se non qualche sparuto caso) alla cultura letteraria, filosofica, o scientifica, tutta concentrata in un ideale militare che sovrastava del tutto ogni altra pretesa di conoscenza. Gli Spartiati, i cittadini per eccellenza della polis peloponnesiaca, erano dei guerrieri, degli opliti, orgogliosi e patriottici, cresciuti nell’ideale dell’eunomia (buon governo), ma con una scarsa istruzione sia umanistica sia scientifica. Sin da piccoli, erano educati al combattimento, attraverso lo spietato sistema dell’agoghé, che li teneva impegnati per gran parte della vita.
Una volta però specificato che la voglia, la possibilità e la capacità di acquisire cultura non è una prerogativa umana, ma una caratteristica singola, una sfaccettatura del carattere, influenzata da svariate situazioni, in primis sociali, esiste una seconda dimensione, ch’è quella della possibilità materiale di ottenere le informazioni. L’avvento della società informatizzata, con tendenze globalizzanti e la diffusione d’internet, ha permesso all’homo studiens di risolvere questo problema, che ha afflitto generazioni di acculturati del passato. La cultura, per i motivi detti, rimane quindi un bene di lusso, ma di più facile accesso. La diffusione delle biblioteche e delle conoscenze via internet ha esteso la possibilità di sapere ciò che già non si sa, ha dato gli strumenti per una virtuale conoscenza di ciascun argomento.
Oggi, nella realtà di un (più o meno) benestante occidentale, s’è passati ad un sovrannumero di materiale, che rende il lavoro dell’intellettuale certamente più complesso, ma, ritengo, anche più piacevole.
L’operazione della scrematura delle informazioni ridondanti o del tutto inutili, è molto più soddisfacente del riconoscimento di un’incolmabile ignoranza, insanabile per mancanza dei mezzi, e non per l’incapacità d’apprendere.

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