lunedì 23 marzo 2009

D'improvviso io scenderei (in tre non si può)

Esiste un concetto morale in un concerto, che lo strumento non può tacere, fingere, scappare. Lo strumento è parte: un’orchestra muore dentro, se un singolo spigolo si stende e diviene cerchio. Non si può scendere dal treno quando viaggia, il fiato che si mozza e la claustrofobia che sale, non può essere peggio della carne che si sfalda sui binari. Sicché non si può: l’etica d’una realtà che trasale, s’accorge di evadere dall’illusione di un mito che non esiste. Chi m’assicurerà che l’universo è infinito, mentre il mio si spegne? E la sera si torna se stessi, pensare, pensare, pensare. Ieri ho incontrato Rosita.
Sicché si ha la sensazione di dovere, di dover spiegare perché non si sa perché, di dover motivare un pensiero nato dalla mente. Chi mi dice che la mente è razionale ha già ceduto alla morte, ha dimenticato cos’è vivere. Ogni volta che penso d’aver paura della mia carne che si sfalda cedo alla morte, e così non salto mai. Ed è etico che io non salti, perché esploderebbe l’orchestra. Ed io al concetto morale del concerto tengo, perché se viene meno, non potrebbe che essere un danno per me.
Non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è giusto è ciò che io penso. Perde ogni senso la spiegazione, perché non esiste verità più sacrosanta di quella del narratore. Io sono il dipinto di un ordine superiore, e voglio elevarmi a capo burattinaio. Voglio stendere i fili intorno a me, da strumento divenire direttore d’orchestra.
Dannata Ippolita, ingravida, disgrazia di Otranto: io voglio Isabella, la giovane fanciulla. Sarò per lei l’incestuoso padre, accoglierò il peccato. Finché sono Manfredo non esiste peccato, il futuro dei miei figli o il piacere di quell’istante. Non chiedetemi perché, dal momento che non v’è altra spiegazione che la mia mente. Ed il mondo è governato dal mio pensiero, sicché per me non esiste altro mondo, se non il mio. Voglio Isabella. Ho scelto lei.

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