venerdì 23 gennaio 2009

Riassunto del riassunto di una vita riassunta

Sono ormai passati ventidue giorni di questo 2009: di per sé non sembrano molti, ma effettivamente la percezione del tempo non dà mai la mano alla matematica. Non che sia cambiato molto. La mia carriera universitaria inizia a darmi qualche soddisfazione, con un duplice 30, e sei crediti di storia greca che si aggiungono ad un curriculum dal futuro incerto. Ulteriori bacilli si sono trasformati in un ennesimo sunto d'influenza, o para-influenza che sia. Ho ripreso a frequentare amici che avevo abbandonato, ho continuato con istintiva ossessione ad amare, e ad avere bisogno dell'amore. E'stato insomma un gennaio fotocopia di altri mesi del passato, e non credo che mi debba sorprendere. La vita di un uomo è abbastanza ripetitiva, e forse la cosa più strana è la morte stessa.
Spero di continuare a non sorprendermi.

martedì 20 gennaio 2009

Tenetemi il mantello: ch'io colpisca l'occhio di Bupalo.
Sono ambidestro; e quando picchio non sbaglio.

[Ipponate]

domenica 11 gennaio 2009

Dieci anni dopo la morte di un poeta

Prendi la tua tristezza in mano
e soffiala nel fiume
vesti di foglie il tuo dolore
e coprilo di piume.

[Faber]

venerdì 9 gennaio 2009

Evoluzione di una lingua (1)

Ricordo, ormai svariati anni fa, che mi sorpresi nell’apprendere che mio fratello, allora evidentemente infante, non conoscesse il significato della parola ‘rischio’.
Non saprei dire con certezza quanti anni avessi io, ma postulando che fra me e lui vi sono sei anni di età, è molto probabile che io avessi già almeno una conoscenza di base dell’italiano. Ma come trovare una definizione che rendesse appieno il concetto di ‘rischio’?
Attenzione: non si trattava d’un dubbio di qualsivoglia accezione teoretica, quella di mio fratello era una carenza semplicemente lessicale, sicché se avessi associato alla parola ‘rischio’ una definizione fantasiosa, egli non avrebbe di certo avanzato obbiezioni.
La riflessione innocente, ed il dubbio d’allora, potrebbe essere in realtà la base di argomentazioni alquanto più serie. Innanzitutto: la lingua è di per sé il riflesso di un mondo vivo, o, ancor meglio, è essa stessa un sistema in costante evoluzione, che sfugge ai codici di grammatiche e dizionari.
Facciamo un esempio del tutto inverosimile, ma che, se vi si coglie correttamente l’estremizzazione, conserva una qualche sensatezza. Qualora avessi davvero inventato un significato nuovo alla parola ‘rischio’, e mio fratello lo avesse preso per valido, mettiamo per esempio che egli, cresciuto, si fosse trovato inserito in un conglomerato sociale, utilizzando la parola ‘rischio’ con una determina accezione (appunto quella che io gli avevo insegnato), non sarebbe stato del tutto impossibile che tale valore del lessema ottenesse una sorta di generale approvazione, sia essa limitata ad un determinato sostrato. Ribadisco che l’esempio è del tutto fantasioso, se non altro perché vorrebbe attribuire a mio fratello un carisma, di cui, almeno per ora, lo trovo sprovvisto.
Eppure l’italiano è colmo di esempi di questo tipo. Pensiamo alla parola ‘squillo’: se la rivolgiamo ad un italiano del quattrocento penserà ad uno strumento musicale, un romano del secolo scorso ad una ‘donna di strada’, un teenager al suo cellulare.
Sono affascinato dai fenomeni linguistici, dalla genesi di neologismi, dal gergo e dai dialetti. Credo che me ne occuperò ancora, nel corso del blog.

venerdì 2 gennaio 2009

Al via la gara della morte

"Vado, certo che vado, e se non torno tanto meglio! Vale la pena di osare sempre" [Hubert Auriol]
Partirà domani, da Buenos Aires, la Dakar. Fondata sul finire degli anni Settanta, è probabilmente il rally più celebre del mondo, almeno per le polemiche che l'accompagnano da sempre. Si tratta di un percorso estremo, da affrontare in moto, in macchina o in camion (quest'ultimo dalla seconda edizione, del 1980).
Non si scherza: lo dimostra la tragedia di Fabrizio Meoni, plurivincitore del tracciato, che l'11 gennaio di quattro anni fa ha perso la vita proprio durante la gara. Ma non è l'unico caso di un incidente che ha coinvolto la Dakar, in trentanni di corse i morti sembra siano stati una cinquantina.

Nel 1982, Mark Thatcher, figlio della più celebre Margaret, insieme al suo co-pilota ed al suo team, rimase disperso per sei giorni, e fu ritrovato miracolosamente illeso. Lo stesso fondatore della gara, Thierry Sabine, morì nel 1986, precipitando da un elicottero mentre seguiva la gara (con lui morirono altre quattro persone). Nel 1988, a seguito di più incidenti separati, persero la vita tre partecipanti e tre indigeni. Altri episodi, ed altri morti, si ebbero nel 2003, 2005, 2006 e 2007. Nel 2008, a causa di concrete minacce terroristiche, la gara venne anullata.

E così si è arrivati all'edizione di quest'anno, che si trasferisce nel sud dell'America, abbandonando il tracciato classico che portava in Senegal. Quest'anno si correrà sulle strade di Argentina e Cile, con 14 tappe, quasi 10 mila chilometri, in un circuito che avrà partenza ed arrivo (il 17 gennaio) sempre a Buenos Aires: Parigi, partenza classica della gara, ha deciso di non rendersi più complice di una corsa che supera i limiti.

"Non si può morire tanto...", c'è chi ha dichiarato, ma intanto la Dakar coinvolge 584 partecipanti ed un impianto mediatico monumentale, risvegliando nell'uomo la voglia di osare, di superare i limiti, ed un malcelato senso di cinismo.

giovedì 1 gennaio 2009

L'alibi di un anno nuovo

L'inizio è la parte più importante di un lavoro. [Platone]

Sicché ci siamo: è ora di dare vita ad un blog ch'è anima, ma non carne. La carne sarei io, o meglio la mia mente.

Sono esattamente cinque mesi che questo spazio, senza che nessuno se ne sia apparentemente accorto, ha iniziato a raccogliere briciole della mia vita. Briciole sparse, sconnesse, deliranti, nemmeno l'ombra di quel pane che volevo servire.
Non scriverò promesse, perché temo divengano bugie, ma chissà che con il nuovo anno non riesca a essere più puntuale nei miei interventi.
Fosse poi l'unica cosa a cui dovrei coerenza, mi sento un vulcano di entusiasmo che si spegne nella quotidianità di mille idee lasciate nel cassetto. Sono uno dei tanti sognatori, che si sveglia spesso, ma non vuole rinunciare a sognare. Ed è per questo che il mio futuro è un punto di domanda, perché fra mille incroci devo ancora scegliere la strada giusta.
Però so che è lì da qualche parte, che mi potrebbero bastare due passi o una vita in cammino, ma che prima o poi raggiungerò una vetta. Quale ancora non so.

Per ora mi basta quello che ho: la voglia di camminare, e la consapevolezza di stringere una mano che mi tiene sempre più forte. E non è poco, perché so già che quando inciamperò ci sarà chi mi farà rialzare. Non scriverò promesse, perché temo divengano bugie, ma chissà che non abbia trovato la donna che mi accompagnerà nel mio cammino, per sempre.
D'altronde sono un sognatore.

Sicché sono qui, a salutare l'arrivo di un nuovo anno, tingendomi dell'alibi che con un nove al posto dell'otto io possa trovare le forze (o le opportunità, non tutto dipende da me!) per superare lo scoglio che fa diventare vero il sogno, in questo continuo status di apprendista. O sognatore, appunto, colui che si guarda nello specchio e non vede chi è, ma ciò che potrebbe essere.

Soffro dell'impazienza di chi ama la vita, e vorrebbe vedere se ha davvero capito come si vive. Ed allora mi auguro davvero un buon anno, chiudo gli occhi, e continuo a camminare.

lunedì 29 dicembre 2008

Lefkandi

Ove serri la mischia nella piana di Dio,
non ci sarà groviglio di archi tesi
né di fionde. Sarà una lotta amara: la parola
alle spade
.


[Archiloco]

venerdì 31 ottobre 2008

Riforma (1)

Il Sole 24 Ore del 30 ottobre ha pubblicato il testo completo del decreto legge 137/08, comunemente noto come riforma Gelmini, che coinvolgerà le scuole italiane. Sottintendo, quindi, che nel suddetto prospetto non è presente alcun riferimento alle Università, di cui il ministro ha dichiarato s’occuperà nelle prossime settimane. Eppure, leggendo i giornali, apprendiamo di proteste che partono decisamente proprio dalle Università, con tanto di occupazioni illegali delle sedi, con privazione del diritto di studio a chi se ne vuole servire. Al di là di quante effettivamente siano le persone in piazza, è chiaro che l’argomento è diventato di enorme attualità, tanto da oscurare nei dibattiti mediatici argomenti di ulteriore importanza, quali le elezioni statunitensi, la recessione economica o i vari casi di cronaca nera, con relativi esiti giuridici. Viene istintivo pensare che le proteste siano ideologiche, o comunque fortemente politicizzate, ed effettivamente bastano le dichiarazioni di taluni a comprovare questo sospetto. Ma sarebbe assurdo credere che tutti coloro che protestano siano effettivamente strumenti d’opposizione al governo, o nostalgici di movimenti di un passato prossimo, ma socialmente remoto. E’ onesto notare che c’è chi effettivamente ha dei motivi per protestare, siano essi condivisibili o meno.
Eppure il decreto Gelmini non parla d’Università, come detto. Lo fa, piuttosto, la legge finanziaria (la 133, proposto dal ministro Tremonti già ad agosto), che specifica nel comma 13 dell’articolo 66, che “il finanziamento ordinario delle università, e’ ridotto di 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per l’anno 2010, di 316 milioni di euro per l’anno 2011, di 417 milioni di euro per l’anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013”. Dei tagli motivati, naturalmente, dall’indisponibilità di fondi, che deriva da un generale malessere economico, ma anche naturalmente da altre scelte politiche del governo (com’è naturale che sia, anche in questo caso siano esse condivisibili o meno).
Dei tagli evidenti, quindi, ma che non sono ancora stati motivati. Quel che ancora non è chiaro (e lo diventerà probabilmente dal lavoro del ministro Gelmini nelle prossime settimane) è se i previsti tagli andranno ad individuare gli sprechi, in una gestione meritocratica della ricerca e dell’Università in genere, o se saranno generalizzati, andando a colpire un settore di per sé già in crisi.
E’ in crisi certo per mancanza di fondi, ma anche per una gestione che è stata errata in passato (con qualsiasi partito al governo). Qualche esempio: l’Università di Bologna ha una sede distaccata a Buenos Aires (che qualcuno ha messo ironicamente all’asta su ebay), alla Sapienza di Roma si sono spesi 223.200 euro per ridisegnare un logo, ed i casi di spese inutili, a carico dello Stato, potrebbero essere certamente più numerosi. Sono dati oggettivamente condivisibili e condivisi: sorprende, quindi, che i tagli siano così osteggiati, in quanto in realtà potrebbero, dalla vera e propria riforma dell’Università (che ancora non è stata presentata), essere indirizzati alla diminuzione dei suddetti sprechi, senza oneri per chi garantisce un servizio di studio e ricerca qualificato. Non vedo, quindi, il senso di una protesta per un provvedimento ancora non attuato, in un movimento che sfocia quindi nella strumentalizzazione ideologia più bieca o nella disinformazione.

lunedì 4 agosto 2008

Il tempio dei falliti

Quello laggiù è Fortunato, di nome intendo, viene qui da sempre. Fissa lo stesso punto vuoto, quasi stesse aspettando che si riempia. Ha le labbra insanguinate di vino, il respiro affannoso di chi urla in silenzio, così pochi capelli che si potrebbero contare. L'ho visto pagare una puttana solo per farsi dire che è bello, e se gli chiedeste perché l'ha fatto, lui vi risponderebbe che un complimento vale ben venti euro, o che i soldi non servono a nulla se non si sa come spenderli. Qualcuno pensa che sia pazzo, qualcun altro che sia triste, nessuno sa che non è né uno né l'altro. Perché, in realtà, ha smesso di essere tanto tempo fa: ha venduto la sua anima ad una mercante di illusioni, e sta ancora aspettando invano che gliela restituisca.
Questo qui, con una manica di pelle che copre il mio banco, è Michele. Ha vent'anni, forse ventuno, ma ha già capito che vivere significa sempre avere un po' di male al culo. Qualcuna gli ha detto che è una persona meravigliosa, ma credo sia stata la stessa ragazza che lo ha impiccato. E trascinato qui, a riempire di sperma e sangue il muro bianco, e a fissare un cellulare che non suonerà mai. Stasera ha deciso di buttarlo nel fiume, quel cazzo di cellulare. Forse aspetterà domani, chissà che non lo chiami proprio questa notte. Il culo gli fa ancora più male, ha una cazzo di galleria di dietro, un fottuto traforo.
Alla sua destra c'è Giampaolo, quello dal "nome più lungo del suo pisello". Anche lui ha pagato la puttana della quarta riga, ma non certo per farla parlare. Centocinquanta euro buttati nel cesso, per una donna-piccione che non è poi meglio della sua mano. Non c'è mai niente di meglio della sua mano, in fondo. Un pugno non ha bisogno d'amore, ed una fantasia può essere tutto. Lo pensa sempre, ma ci crede solo dal sesto vino.
L'uomo che è entrato adesso, col viso sudato e lo sguardo incendiato, è Cesare. Viene sempre da me dopo aver ucciso una donna, tagliare le gole gli dà una sorta di eccitazione che poi spegne bevendo. Qualcuno crede che serva un motivo per ammazzare, Cesare non ci pensa e lo fa soltanto. Sono io l'unico che conosce il suo piccolo segreto, me l'ha confidato mentre stava pisciando, l'altra sera. Tanto sa che io non dirò mai niente a nessuno.
Il barista si chiama Giovanni, e lavora per me da ormai cinque anni. Dice d'aver scelto questo lavoro dopo che Bukowski gli è apparso in sogno, e nessuno sa se scherza o se ci crede davvero. Ha il tipico carisma di chi ci sa fare, potrebbe far bere cianuro a chiunque. Ma ha deciso d'andarsene, questa è la sua ultima notte qui. Da domani servirà whisky nell'ade, e disseterà Jack Daniel in persona.
Ed io? Io ci sarò sempre. Io sono il bar. Ed ora, vieni, accomodati. E raccontami cosa c'è che non va.

venerdì 1 agosto 2008

Livido

Ho raccolto gli ultimi versi di una canzone: si spengono ora nel mio cuore, trasparenti nel rosso del muscolo e nel blu di un livido, sempre più grande. Sei il mio cancro, amore, sei quel pugno che mi finisce di lacrime, e quella mano che mi accarezza quando sorrido, sei l’infinito del tempo, e la fine di ogni senso. Sei una stronza, amore, sei quelle pagine intinte nel veleno della rosa, sei questo inesorabile vuoto, e ti vorrei uccidere, ma preferirei morire, piuttosto che perderti. Se non piangerai tu, piangeranno gli angeli a vedermi urlare, spingere la mia mente al di là del vetro, nella notte e nei ricordi, così belli e così impolverati. Rimarrà ancora quella canzone, ma s’asciugheranno le lacrime sul cuscino, ed avrò sete della tua acqua, perché non posso smettere di bere.
Linciami d’indifferenza, quello che resta di me seguirà i labirinti della tua mente, finché svanirà il mio corpo, e sarò ombra, e sarò sabbia, e sarò io il tuo male, un nuovo livido nel cuore.