martedì 25 maggio 2010

Momento di riflessione..


Italian shop-keepers, businessmen and judges are not the only victims of organised crime networks such as Cosa Nostra, the Camorra, the ’Ndrangheta, and the Sacra Corona Unita. Journalists and writers also find themselves in the line of fire as soon as they try to cover the Italian mafia. One of them is Roberto Saviano, author of the book Gomorra, who is forced to live under permanent police protection.

In all, some 10 journalists work under police protection. There have been hundreds of cases of threats, anonymous letters, vandalised tyres, and torched cars. Every journalist writing about these criminal groups has been watched at one time or another. Lirio Abbate, 38, correspondent in Palermo, Sicily, for the news agency Ansa, and author of I Complici (The Accomplices), also lives under permanent police protection. This is also the case, since March 2008, for Rosaria Capacchione, a 48-year-old journalist working for more than 20 years for the leading Naples daily Il Mattino, who covers the Camorra and who, like Roberto Saviano, is being hunted by the Casalesi clan. And their work, with all the risks that accompany it, gets no support from Prime Minister Silvio Berlusconi. In November 2009, he said he wanted to “strangle” writers and filmmakers who give Italy a bad image by focusing on the mafia.

fonte:

http://en.rsf.org/predator-organised-crime,37265.html

lunedì 17 maggio 2010

Se n'è andato Ronnie James Dio..

Ronnie James Dio è stato una delle più importanti voci, non dell’hard rock, non dell’heavy metal, ma di tutta la musica contemporanea. Con i Rainbow, i Black Sabbath e la sua carriera solista ha saputo tessere inni immortali, che sopravviveranno ben oltre alla vita che si è spenta ieri. Resta la sua musica, appunto, ma non può che dispiacere apprendere della sua morte: il Mondo dovrebbe fermarsi e sentirsi grato di averlo potuto conoscere. Invece nei siti dei quotidiani italiani la notizia non sembra nemmeno citata; sul sito de La Stampa campeggia la foto dei Dari, con cui oggi si potrà chattare. Chi se ne frega, in fondo, è solo una sterile polemica per sottolineare quanto l’opinione pubblica sia ingiusta: Ronnie James Dio rimarrà un’icona per molti, altri non lo conosceranno mai. Ma chiunque vorrà ascoltarlo, ancora oggi, in tutta coscienza non potrà rimanerne indifferente.

domenica 16 maggio 2010

Messaggio aperto ai candidati al comune di Lavis.

Quest’oggi nel mio comune, Lavis, si vota per il rinnovo del consiglio comunale. La speranza di qualsiasi elettore, al momento del voto, è che il governo - sia esso una riconferma o un’innovazione - sia quanto più simile ai progetti ed ai valori del votante. Non posso prevedere chi comporrà la squadra dei nuovi consiglieri, anche se fra i candidati sindaco prevedo una corsa a due; in ogni caso il mio augurio di buon lavoro è la speranza che Lavis diventi sempre meno un centro periferico, e sempre più un centro che sappia fornire i doverosi stimoli. Innanzitutto socio-culturali. Un paese che possa fornire le alternative alla fuga, che possa non solo dare spazio, ma anche incentivare lo sviluppo dei caratteri e delle prerogative (anche artistiche, musicali, culturali) dei cittadini. Uno sguardo che non si rivolga sempre e solo agli anziani, ma che possa coinvolgere anche la linfa di quei giovani che troppo spesso soffocano nell’apatia. Ecco il mio augurio e le mie richieste per chi verrà eletto, e per chi si occuperà dell’opposizione: non dimenticare che un paese, quali siano le sue dimensioni, vive di partecipazione, di proposte e di comunione. Non di muri, ma di piazze, in cui gli sguardi possano spaziare su tutti, e gli spazi non siano solo appannaggio di alcuni. Ancora buon lavoro.

giovedì 4 marzo 2010

[REC] Philip Roth, Il lamento di Portnoy

Solitamente scrivo una recensione di un libro che ho appena concluso senza leggere le opinioni altrui, sia perché non ne voglio essere influenzato, sia perché potrebbe demoralizzarmi il vedere che tutto ciò che potrei scrivere è in realtà già stato scritto.
Per Il lamento di Portnoy (2000, Einaudi, ed. or. 1967) di Philip Roth ho fatto una piccola eccezione: sono corso su anobii, leggendo alcune delle recensioni negative (per fortuna erano la minoranza), per il semplice motivo che non riuscivo a credere che ci fosse qualcuno che possa non amare questo libro. Perché?, mi son chiesto. La risposta era semplice, e sono stato stupido a non pensarci prima: perché è volgare. Oh certo, un romanzo che ha come file rouge la sessualità del suo protagonista, che tratta di temi scabrosi come l'onanismo o la fellatio – ed in termini ben più espliciti di questi -, non poteva che essere definito così. Il pubblico di benpensanti, moralizzatori e moralizzati, non poteva che trovarsi schifato dalla mancanza di censure del buon Roth, e cascare fra le ortiche di quel pensiero che tanto ancora ossessiona la società: cos'è giusto? Cos'è sbagliato? Il secondo capitolo di questo libro s'intitola seghe, e questo è sbagliato, no?
Bene, precisiamolo subito. Se state leggendo queste righe non per caso, ma perché avete visto in libreria questo titolo, e ne siete stati in qualche modo incuriositi (magari solo per la copertina, con quei manichini tutti uguali...), ma prima di spendere 10.50€ preferite cercare qualche consiglio (ed ecco che siete capitati qui!)... voglio essere chiaro! Se per voi parlare di sesso e affini è come compiere un'eresia, Il lamento di Portnoy, così come tutta la narrativa di Roth, non fa per voi. Scandalizzarsi è un diritto sacrosante di ogni persona umana. A volte è difficile da comprendere – come, consentitemi, in questo caso –; ma rimane un diritto.
Curioso però che il punto centrale del libro è proprio questo: la costante lotta fra la morale, quella che il protagonista Alexander Portnoy impara a forza dai genitori, ed ildesiderio, che si muove ossessivamente fra l'istinto e la ricercatezza di una ribellione. Il tema era certamente attuale alla vigilia del '68, quando il libro è stato scritto, ma come si evince curiosamente anche dalla premessa alla mia recensione una certa attualità rimane ancora. Non occorre essere ebrei, e lottare contro le istanze più reazionarie della religione (come si trova a fare Alex), il pregio del lamento di Portnoy è che il suo è il lamento di molti uomini (ed anche del sottoscritto, sia chiaro), la lotta sconvolgente fra la moralità, la tradizione, e la voglia di qualcosa di diverso. Poco importa se il protagonista cerca il diverso tuffandosi nella masturbazione, nei ménage à trois, nel sesso esclusivamente con non ebree (shikse, in yddish). Il romanzo prettamente erotico è il contorno - spesso anche indubbiamente divertente o persino comico -, di un monologo intelligentissimo (caratteristica essenziale della narrativa di Roth, anche i suoi detrattori glielo dovrebbero riconoscere).
Insomma, Il lamento di Portnoy e' un libro che fa ridere, commuove, ma soprattutto coinvolge e fa pensare. Oh certo, può anche scandalizzare; ma forse in quel caso il lettore dovrebbe interrogarsi sul motivo di tutto questo scandalo.Cos'è giusto? Cos'è sbagliato?

Philip Roth, Il lamento di Portnoy, Torino: Einaudi, 2000 (da Id., Portnoy's Complaint, 1967)
in vendita a 10,50 € (a febbraio 2010)

sabato 27 febbraio 2010

[REC] Paola Barbato, Il filo rosso

Il vero guaio di uno scrittore è che non sa mai a chi verrà accostato al momento della sua lettura. E' esattamente ciò che avviene, soprattutto in Italia, anche per i musicisti.
Intendo questo su due piani: il primo quello della critica. Non può esistere uno scrittore, o quanto meno non un nuovo scrittore, che non venga associato ad un altro nome (spesso preso a caso fra coloro che possono vantare la scritta BEST SELLER su un loro volume). Legge del marketing, e dell'editoria che non vive solo di bei libri, ma anche e soprattutto di vendite. E' la regola del gioco che sa benissimo chi scrive, e ci si potrebbe persino divertire a trovare le strane associazioni – per altro molte volte contrastanti – che identificano uno stesso autore. Perché non esiste scrittore che non possa essere associato ad un altro, mai.
Ma un secondo piano, ancor più inevitabile, è quello della sequenza di letture che fa chi il libro lo ha già comprato. Qualsiasi libro ci parrà un capolavoro, se lo leggiamo dopo aver riposto sullo scaffale Scusa ma ti chiamo amore di Moccia (libro che per altro non ho mai letto, ma credo di aver comunque azzeccato l'esempio). Credo che parte delle recensioni contrastanti - che si trovano su anobii, su ibs, ma anche sulle riviste specializzate - variano appunto per questa inconscia incapacità di astrarre un libro e prenderlo come assoluto: il non poter giudicare senza confrontare, più o meno volutamente. Ed ecco la sfiga della Barbato e de Il filo rosso (2010, Rizzoli).
Il libro l'ho preso nel giorno stesso in cui è uscito, sia perché stimo il lavoro alle sceneggiature di Dylan Dog della sua autrice, sia perché avevo letto volentieri il precedente Mani Nude (2008, Rizzoli). La Barbato era poi stata abile nel ruolo di Mastrota (oh no, ecco una nuova spontanea associazione!), suscitandomi una certa curiosità, dando vita ad un blog che dispensava saggiamente spunti ed anticipazioni sul libro in questione. Ma – ecco la sfiga! - l'effettiva lettura de Il filo rosso l'ho affrontata dopo aver riposto sullo scaffale The Dome di Stephen King (2009, Sperling&Kupfer) e prima di comprare Il lamento di Portnoy di Philip Roth (2000, Einaudi [or. 1967]), che ancora sto leggendo. La Barbato se l'è quindi dovuta vedere con un maestro della narrazione ed uno della scrittura; come se il San Marino si qualificasse ai Mondiali e trovasse il Brasile sulla sua strada, come se Pupo gareggiasse contro Jimi Hendrix, come se il Bangladesh venisse invaso dagli Stati Uniti. Beh, a queste condizioni, era ovvio che alcune delle pagine de Il filo rosso mi sembrassero un po' più difficili da digerire.
Ma se mi sforzo di dimenticare i miei amati King e Roth, se prendo Il filo rosso per quello che, credo, vuole essere: “un buon libro, con una trama avvincente, che però non rimane fine a sé stessa, ma lascia intravedere un significato più profondo”.. beh, bingo, quello della Barbato è un lavoro che merita di troneggiare nella mia libreria. Il pregio è la storia (“hai detto poco!”). In una prosa quasi registica, i colpi di scena vengono distribuiti sapientemente, costringendo il lettore a rimanere legato alle pagine, superando anche i tratti in cui il libro sembra meno ispirato.
Il San Marino non vincerà mai contro il Brasile, ma può giocare una buona partita. Il filo rosso merita una chance, e se lo affronterete senza troppe pretese, ne sarete anche piacevolmente colpiti.

PAOLA BARBATO, Il filo rosso, Milano: Rizzoli, 2010
in vendita a 19€ (febbraio 2010)

domenica 21 febbraio 2010

Sanremo 2010 ed il principe di sta fava..



« Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »

Notte tra il 26 ed il 27 febbraio 1967, Hotel Savoy, a Sanremo. A scrivere queste parole, a quanto pare, fu Luigi Tenco. Poco dopo si sarebbe sparato, sempre secondo una versione ufficiale, che qualcuno fra l'altro ancora mette in dubbio. Sono passati più di quarant'anni, eppure il cosiddetto Festival della Musica Italiana ancora si accompagna di critiche, in un certo senso così vicine a quei giorni.
La vicenda che quest'anno tiene banco - oltre alla nota squalifica di Morgan per "apologia all'uso di droghe" - è la partecipazione di Pupo, con Emanuele Umberto Reza Ciro René Maria Filiberto di Savoia ed il tenore Canonici. La canzone dell'amabile trio, un inno fra il patriottico ed il nazionalista, non solo è stata ammessa in concorso (a differenza delle opere di, fra gli altri, Zucchero, che aveva scritto per Mietta, o Cristiano De Andrè), ma - attraverso il voto popolare - si è classificata seconda.
Ciò che personalmente mi sorprende non è poi solo la partecipazione del nipote di Umberto II (e non perché è un Savoia, ma perché - bastava sentirlo - non è un cantante), ma il fatto che il pubblico abbia votato una canzone che fa schifo. Tutto ciò mi porta a due ipotesi:
number one - gli amabili savoiardi hanno investito parte del loro capitale in ricariche telefoniche, e si sono bruciati le dita (loro, o più probabilmente, di qualche servo-plebeo) in sms;
number two - il pubblico di votanti è un pubblico di deficienti.
Con buona pace di Canonici (lui sì sa cantare, ma probabilmente ha un basso senso del pudore), credo che per far arrivare seconda quell'aborto di "Italia Amore Mio" sia stata necessaria la congiunzione dei due fattori che ho sopra sintetizzato.
Poco importa, questa canzone scivolerà facilmente nell'oblio, come - mi aspetto - quella del vincitore Scanu (che nel curriculum vanta la partecipazione di Amici, dove non ha nemmeno avuto la decenza di vincere). Perlomeno ieri nessuno si è sparato, ma gli orchestrali - che di musica ne sanno - hanno strappato gli spartiti. Quel secondo posto del Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (sì, è sempre Emanuele Filiberto) è, più che un insulto ideologico, un'offesa alla dea Musica.
Ma Sanremo è il posto dove il pubblico ha eliminato Tenco, ed ha portato in finale Io e te le rose. Bisogna accettarlo, nella convinzione che le radio e le vendite premieranno le vere canzoni vincitrici del festival (quelle di Noemi, Irene Grandi e Malika Ayane).

mercoledì 27 gennaio 2010

27 gennaio

Ci sono dei rischi a mio avviso nel concetto di “giornata della memoria”, non che celebrare un ricordo e farlo ammonimento sia di per sé sbagliato, né oso erigermi a voce fuori dal coro. Premetto insomma, per non essere frainteso, che è giustissimo ricordare l'anniversario della liberazione di Auschwitz come giornata che ispiri alla riflessione sulle tragedie e le colpe dell'umanità.
Ma il primo rischio è di stigmatizzare un evento passato e sentirlo nel ricordo come un qualcosa di distante, avvenuto ineluttabilmente quasi fosse un peccato originale. Una macchia che è giusto condannare, ma che appartiene ad una cultura sbagliata e così lontana. Come il massacro dei nativi americani, che probabilmente ormai le nuovissime generazioni dimenticano in media come la stessa data della scoperta dell'America.
E' vero che ciò che è accaduto è un parto (anzi, un aborto) di un preciso momento storico, che come tale è irripetibile per filo e per segno. Ma questo non significa che anche oggi non avvengano nel mondo soprusi, genocidi, colpe di un'umanità crudele e sempre costantemente colpevole. Nel mondo ci sono dei momenti in cui l'opinione pubblica viene presa e scrollata, attimi in cui chi è sempre così cieco si sveglia all'improvviso. Il 27 gennaio 1945 è successo proprio questo, ed è giusto che una volta all'anno l'uomo si ricordi di quanto faccia schifo. E' un po' quello che è successo ad Haiti a causa del terremoto, che non ha fatto altro che massacrare e squarciare una popolazione che stava già morendo di fame, svegliando un'opinione pubblica che prima quando sentiva la parola Caraibi pensava solo a spiagge bianche e scenari da favola.
Il secondo rischio di una “giornata della memoria” è quindi direttamente conseguenziale: è quello di prendere un simbolo come quello della Shoah, e dimenticarsi di tutto il resto. Il 27 gennaio che diviene il momento di una catarsi – nel senso aristotelico -, il momento ovvero in cui il Mondo si ferma a ricordare la tragedia più grande, per uscirne purificato e con la coscienza rinata. Come il bambino che il 24 dicembre se ne sta buono, perché Babbo Natale sta arrivando e non sia mai che porterà del carbone con sé! La differenza, in realtà, è che la colpa di un bambino può essere solo quella di essere un po' discolo..la colpa di certi uomini, invece..

Il 27 gennaio non deve insomma diventare il pretesto per dimenticare ricordando, o ricordare per nascondere. Non dev'essere solo il giorno in cui si riflette sulle parole di Anna Frank o Primo Levi, ma il punto di partenza per vivere amando il bene ed odiando il male. Il 27 gennaio, come ogni giorno.

sabato 23 gennaio 2010

From wrong to right

So many bands give the devil all the glory
It's hard to understand, we want to change the story
We want to rock one way, on and on.
You'll see the light some day
All say Jesus is the way.


lunedì 4 gennaio 2010

Anno nuovo

"Sicché sono qui, a salutare l'arrivo di un nuovo anno, tingendomi dell'alibi che con un nove al posto dell'otto io possa trovare le forze (o le opportunità, non tutto dipende da me!) per superare lo scoglio che fa diventare vero il sogno, in questo continuo status di apprendista. O sognatore, appunto, colui che si guarda nello specchio e non vede chi è, ma ciò che potrebbe essere"

Beh, citarmi è forse sin troppo autoencomiastico. Resta il fatto che scrivevo queste parole esattamente un anno fa, e se le ripeto oggi che entriamo nel 2010 non è proprio un caso.
Sia chiaro: il 2009 non è passato via inerme, lasciandomi spoglio di cambiamenti. Anzi: da certi punti di vista la mia vita ha subito qualche forte scossone. Ho lasciato alle spalle alcuni pesi, alcune persone inutili, con cui condividevo la convenienza di un rapporto finto e senza sostanza. Potrei sembrare più solo - e a volte credo davvero di esserlo -, ma in realtà sono più libero dalle ipocrisie e dagli ipocriti. "Non sprechi l'oro dei suoi giorni ascoltando gente noiosa, cercando di migliorare un fallimento senza speranza o gettando la sua vita agli ignoranti, alla gente mediocre, ai malvagi": è una citazione dal Ritratto di Dorian Gray di Oscar wilde.
Ho conosciuto stormi di attori che interpretano personaggi, finti fino al midollo; ragazzi di abissale ignoranza e, quel ch'è peggio, fieramente ignoranti; condottieri dei peggiori disvalori, neoborghesi che si vestivano da neofascisti, figli del Bene che ineggiano il Male - perché per loro la vita è un gioco in cui si nutrono di vizi, perché son sempre stati viziati. Ecco nel 2009 ho tolto gli occhiali che mi rendevano cieco, ho trasformato volti in briciole, e le ho scacciate via.

E'stato un anno positivo, senz'altro. A fronte di questi rapporti che si sono sfaldati sotto ai miei piedi, ne ho risaldati altri, soprattutto con chi davvero voglio accanto. Senza umili sentimentalismi idioti.
Non voglio fare progetti ed altre retrospettive. In fondo, sappiamo tutti che il cambio di anno non è che l'obbligo di cambiare anche il calendario.

venerdì 25 dicembre 2009

So this is Christmas..

Ieri sera, durante la processione di ingresso della celebrazione, una persona non equilibrata, tale Susanna Maiolo, di 25 anni, di cittadinanza italiana e svizzera, ha superato la transenna e, nonostante l'intervento della sicurezza, è riuscita a raggiungere il Santo Padre e ad afferrarne il pallio, facendogli perdere l'equilibrio e facendolo scivolare a terra. Primi commenti nel mondo politico. Di Pietro dice che in fondo se l'è cercata; gli risponde l'on. Cicchito, il quale indica come mandanti morali Travaglio ed Annozero. Il Santo Padre ha rassicurato: "State sereni, l'amore vince sull'odio".
uh no.. credo di star facendo un po' di confusione!

Buon Natale a tutti!