sabato 27 febbraio 2010

[REC] Paola Barbato, Il filo rosso

Il vero guaio di uno scrittore è che non sa mai a chi verrà accostato al momento della sua lettura. E' esattamente ciò che avviene, soprattutto in Italia, anche per i musicisti.
Intendo questo su due piani: il primo quello della critica. Non può esistere uno scrittore, o quanto meno non un nuovo scrittore, che non venga associato ad un altro nome (spesso preso a caso fra coloro che possono vantare la scritta BEST SELLER su un loro volume). Legge del marketing, e dell'editoria che non vive solo di bei libri, ma anche e soprattutto di vendite. E' la regola del gioco che sa benissimo chi scrive, e ci si potrebbe persino divertire a trovare le strane associazioni – per altro molte volte contrastanti – che identificano uno stesso autore. Perché non esiste scrittore che non possa essere associato ad un altro, mai.
Ma un secondo piano, ancor più inevitabile, è quello della sequenza di letture che fa chi il libro lo ha già comprato. Qualsiasi libro ci parrà un capolavoro, se lo leggiamo dopo aver riposto sullo scaffale Scusa ma ti chiamo amore di Moccia (libro che per altro non ho mai letto, ma credo di aver comunque azzeccato l'esempio). Credo che parte delle recensioni contrastanti - che si trovano su anobii, su ibs, ma anche sulle riviste specializzate - variano appunto per questa inconscia incapacità di astrarre un libro e prenderlo come assoluto: il non poter giudicare senza confrontare, più o meno volutamente. Ed ecco la sfiga della Barbato e de Il filo rosso (2010, Rizzoli).
Il libro l'ho preso nel giorno stesso in cui è uscito, sia perché stimo il lavoro alle sceneggiature di Dylan Dog della sua autrice, sia perché avevo letto volentieri il precedente Mani Nude (2008, Rizzoli). La Barbato era poi stata abile nel ruolo di Mastrota (oh no, ecco una nuova spontanea associazione!), suscitandomi una certa curiosità, dando vita ad un blog che dispensava saggiamente spunti ed anticipazioni sul libro in questione. Ma – ecco la sfiga! - l'effettiva lettura de Il filo rosso l'ho affrontata dopo aver riposto sullo scaffale The Dome di Stephen King (2009, Sperling&Kupfer) e prima di comprare Il lamento di Portnoy di Philip Roth (2000, Einaudi [or. 1967]), che ancora sto leggendo. La Barbato se l'è quindi dovuta vedere con un maestro della narrazione ed uno della scrittura; come se il San Marino si qualificasse ai Mondiali e trovasse il Brasile sulla sua strada, come se Pupo gareggiasse contro Jimi Hendrix, come se il Bangladesh venisse invaso dagli Stati Uniti. Beh, a queste condizioni, era ovvio che alcune delle pagine de Il filo rosso mi sembrassero un po' più difficili da digerire.
Ma se mi sforzo di dimenticare i miei amati King e Roth, se prendo Il filo rosso per quello che, credo, vuole essere: “un buon libro, con una trama avvincente, che però non rimane fine a sé stessa, ma lascia intravedere un significato più profondo”.. beh, bingo, quello della Barbato è un lavoro che merita di troneggiare nella mia libreria. Il pregio è la storia (“hai detto poco!”). In una prosa quasi registica, i colpi di scena vengono distribuiti sapientemente, costringendo il lettore a rimanere legato alle pagine, superando anche i tratti in cui il libro sembra meno ispirato.
Il San Marino non vincerà mai contro il Brasile, ma può giocare una buona partita. Il filo rosso merita una chance, e se lo affronterete senza troppe pretese, ne sarete anche piacevolmente colpiti.

PAOLA BARBATO, Il filo rosso, Milano: Rizzoli, 2010
in vendita a 19€ (febbraio 2010)

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