giovedì 4 marzo 2010

[REC] Philip Roth, Il lamento di Portnoy

Solitamente scrivo una recensione di un libro che ho appena concluso senza leggere le opinioni altrui, sia perché non ne voglio essere influenzato, sia perché potrebbe demoralizzarmi il vedere che tutto ciò che potrei scrivere è in realtà già stato scritto.
Per Il lamento di Portnoy (2000, Einaudi, ed. or. 1967) di Philip Roth ho fatto una piccola eccezione: sono corso su anobii, leggendo alcune delle recensioni negative (per fortuna erano la minoranza), per il semplice motivo che non riuscivo a credere che ci fosse qualcuno che possa non amare questo libro. Perché?, mi son chiesto. La risposta era semplice, e sono stato stupido a non pensarci prima: perché è volgare. Oh certo, un romanzo che ha come file rouge la sessualità del suo protagonista, che tratta di temi scabrosi come l'onanismo o la fellatio – ed in termini ben più espliciti di questi -, non poteva che essere definito così. Il pubblico di benpensanti, moralizzatori e moralizzati, non poteva che trovarsi schifato dalla mancanza di censure del buon Roth, e cascare fra le ortiche di quel pensiero che tanto ancora ossessiona la società: cos'è giusto? Cos'è sbagliato? Il secondo capitolo di questo libro s'intitola seghe, e questo è sbagliato, no?
Bene, precisiamolo subito. Se state leggendo queste righe non per caso, ma perché avete visto in libreria questo titolo, e ne siete stati in qualche modo incuriositi (magari solo per la copertina, con quei manichini tutti uguali...), ma prima di spendere 10.50€ preferite cercare qualche consiglio (ed ecco che siete capitati qui!)... voglio essere chiaro! Se per voi parlare di sesso e affini è come compiere un'eresia, Il lamento di Portnoy, così come tutta la narrativa di Roth, non fa per voi. Scandalizzarsi è un diritto sacrosante di ogni persona umana. A volte è difficile da comprendere – come, consentitemi, in questo caso –; ma rimane un diritto.
Curioso però che il punto centrale del libro è proprio questo: la costante lotta fra la morale, quella che il protagonista Alexander Portnoy impara a forza dai genitori, ed ildesiderio, che si muove ossessivamente fra l'istinto e la ricercatezza di una ribellione. Il tema era certamente attuale alla vigilia del '68, quando il libro è stato scritto, ma come si evince curiosamente anche dalla premessa alla mia recensione una certa attualità rimane ancora. Non occorre essere ebrei, e lottare contro le istanze più reazionarie della religione (come si trova a fare Alex), il pregio del lamento di Portnoy è che il suo è il lamento di molti uomini (ed anche del sottoscritto, sia chiaro), la lotta sconvolgente fra la moralità, la tradizione, e la voglia di qualcosa di diverso. Poco importa se il protagonista cerca il diverso tuffandosi nella masturbazione, nei ménage à trois, nel sesso esclusivamente con non ebree (shikse, in yddish). Il romanzo prettamente erotico è il contorno - spesso anche indubbiamente divertente o persino comico -, di un monologo intelligentissimo (caratteristica essenziale della narrativa di Roth, anche i suoi detrattori glielo dovrebbero riconoscere).
Insomma, Il lamento di Portnoy e' un libro che fa ridere, commuove, ma soprattutto coinvolge e fa pensare. Oh certo, può anche scandalizzare; ma forse in quel caso il lettore dovrebbe interrogarsi sul motivo di tutto questo scandalo.Cos'è giusto? Cos'è sbagliato?

Philip Roth, Il lamento di Portnoy, Torino: Einaudi, 2000 (da Id., Portnoy's Complaint, 1967)
in vendita a 10,50 € (a febbraio 2010)

sabato 27 febbraio 2010

[REC] Paola Barbato, Il filo rosso

Il vero guaio di uno scrittore è che non sa mai a chi verrà accostato al momento della sua lettura. E' esattamente ciò che avviene, soprattutto in Italia, anche per i musicisti.
Intendo questo su due piani: il primo quello della critica. Non può esistere uno scrittore, o quanto meno non un nuovo scrittore, che non venga associato ad un altro nome (spesso preso a caso fra coloro che possono vantare la scritta BEST SELLER su un loro volume). Legge del marketing, e dell'editoria che non vive solo di bei libri, ma anche e soprattutto di vendite. E' la regola del gioco che sa benissimo chi scrive, e ci si potrebbe persino divertire a trovare le strane associazioni – per altro molte volte contrastanti – che identificano uno stesso autore. Perché non esiste scrittore che non possa essere associato ad un altro, mai.
Ma un secondo piano, ancor più inevitabile, è quello della sequenza di letture che fa chi il libro lo ha già comprato. Qualsiasi libro ci parrà un capolavoro, se lo leggiamo dopo aver riposto sullo scaffale Scusa ma ti chiamo amore di Moccia (libro che per altro non ho mai letto, ma credo di aver comunque azzeccato l'esempio). Credo che parte delle recensioni contrastanti - che si trovano su anobii, su ibs, ma anche sulle riviste specializzate - variano appunto per questa inconscia incapacità di astrarre un libro e prenderlo come assoluto: il non poter giudicare senza confrontare, più o meno volutamente. Ed ecco la sfiga della Barbato e de Il filo rosso (2010, Rizzoli).
Il libro l'ho preso nel giorno stesso in cui è uscito, sia perché stimo il lavoro alle sceneggiature di Dylan Dog della sua autrice, sia perché avevo letto volentieri il precedente Mani Nude (2008, Rizzoli). La Barbato era poi stata abile nel ruolo di Mastrota (oh no, ecco una nuova spontanea associazione!), suscitandomi una certa curiosità, dando vita ad un blog che dispensava saggiamente spunti ed anticipazioni sul libro in questione. Ma – ecco la sfiga! - l'effettiva lettura de Il filo rosso l'ho affrontata dopo aver riposto sullo scaffale The Dome di Stephen King (2009, Sperling&Kupfer) e prima di comprare Il lamento di Portnoy di Philip Roth (2000, Einaudi [or. 1967]), che ancora sto leggendo. La Barbato se l'è quindi dovuta vedere con un maestro della narrazione ed uno della scrittura; come se il San Marino si qualificasse ai Mondiali e trovasse il Brasile sulla sua strada, come se Pupo gareggiasse contro Jimi Hendrix, come se il Bangladesh venisse invaso dagli Stati Uniti. Beh, a queste condizioni, era ovvio che alcune delle pagine de Il filo rosso mi sembrassero un po' più difficili da digerire.
Ma se mi sforzo di dimenticare i miei amati King e Roth, se prendo Il filo rosso per quello che, credo, vuole essere: “un buon libro, con una trama avvincente, che però non rimane fine a sé stessa, ma lascia intravedere un significato più profondo”.. beh, bingo, quello della Barbato è un lavoro che merita di troneggiare nella mia libreria. Il pregio è la storia (“hai detto poco!”). In una prosa quasi registica, i colpi di scena vengono distribuiti sapientemente, costringendo il lettore a rimanere legato alle pagine, superando anche i tratti in cui il libro sembra meno ispirato.
Il San Marino non vincerà mai contro il Brasile, ma può giocare una buona partita. Il filo rosso merita una chance, e se lo affronterete senza troppe pretese, ne sarete anche piacevolmente colpiti.

PAOLA BARBATO, Il filo rosso, Milano: Rizzoli, 2010
in vendita a 19€ (febbraio 2010)

domenica 21 febbraio 2010

Sanremo 2010 ed il principe di sta fava..



« Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »

Notte tra il 26 ed il 27 febbraio 1967, Hotel Savoy, a Sanremo. A scrivere queste parole, a quanto pare, fu Luigi Tenco. Poco dopo si sarebbe sparato, sempre secondo una versione ufficiale, che qualcuno fra l'altro ancora mette in dubbio. Sono passati più di quarant'anni, eppure il cosiddetto Festival della Musica Italiana ancora si accompagna di critiche, in un certo senso così vicine a quei giorni.
La vicenda che quest'anno tiene banco - oltre alla nota squalifica di Morgan per "apologia all'uso di droghe" - è la partecipazione di Pupo, con Emanuele Umberto Reza Ciro René Maria Filiberto di Savoia ed il tenore Canonici. La canzone dell'amabile trio, un inno fra il patriottico ed il nazionalista, non solo è stata ammessa in concorso (a differenza delle opere di, fra gli altri, Zucchero, che aveva scritto per Mietta, o Cristiano De Andrè), ma - attraverso il voto popolare - si è classificata seconda.
Ciò che personalmente mi sorprende non è poi solo la partecipazione del nipote di Umberto II (e non perché è un Savoia, ma perché - bastava sentirlo - non è un cantante), ma il fatto che il pubblico abbia votato una canzone che fa schifo. Tutto ciò mi porta a due ipotesi:
number one - gli amabili savoiardi hanno investito parte del loro capitale in ricariche telefoniche, e si sono bruciati le dita (loro, o più probabilmente, di qualche servo-plebeo) in sms;
number two - il pubblico di votanti è un pubblico di deficienti.
Con buona pace di Canonici (lui sì sa cantare, ma probabilmente ha un basso senso del pudore), credo che per far arrivare seconda quell'aborto di "Italia Amore Mio" sia stata necessaria la congiunzione dei due fattori che ho sopra sintetizzato.
Poco importa, questa canzone scivolerà facilmente nell'oblio, come - mi aspetto - quella del vincitore Scanu (che nel curriculum vanta la partecipazione di Amici, dove non ha nemmeno avuto la decenza di vincere). Perlomeno ieri nessuno si è sparato, ma gli orchestrali - che di musica ne sanno - hanno strappato gli spartiti. Quel secondo posto del Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (sì, è sempre Emanuele Filiberto) è, più che un insulto ideologico, un'offesa alla dea Musica.
Ma Sanremo è il posto dove il pubblico ha eliminato Tenco, ed ha portato in finale Io e te le rose. Bisogna accettarlo, nella convinzione che le radio e le vendite premieranno le vere canzoni vincitrici del festival (quelle di Noemi, Irene Grandi e Malika Ayane).

mercoledì 27 gennaio 2010

27 gennaio

Ci sono dei rischi a mio avviso nel concetto di “giornata della memoria”, non che celebrare un ricordo e farlo ammonimento sia di per sé sbagliato, né oso erigermi a voce fuori dal coro. Premetto insomma, per non essere frainteso, che è giustissimo ricordare l'anniversario della liberazione di Auschwitz come giornata che ispiri alla riflessione sulle tragedie e le colpe dell'umanità.
Ma il primo rischio è di stigmatizzare un evento passato e sentirlo nel ricordo come un qualcosa di distante, avvenuto ineluttabilmente quasi fosse un peccato originale. Una macchia che è giusto condannare, ma che appartiene ad una cultura sbagliata e così lontana. Come il massacro dei nativi americani, che probabilmente ormai le nuovissime generazioni dimenticano in media come la stessa data della scoperta dell'America.
E' vero che ciò che è accaduto è un parto (anzi, un aborto) di un preciso momento storico, che come tale è irripetibile per filo e per segno. Ma questo non significa che anche oggi non avvengano nel mondo soprusi, genocidi, colpe di un'umanità crudele e sempre costantemente colpevole. Nel mondo ci sono dei momenti in cui l'opinione pubblica viene presa e scrollata, attimi in cui chi è sempre così cieco si sveglia all'improvviso. Il 27 gennaio 1945 è successo proprio questo, ed è giusto che una volta all'anno l'uomo si ricordi di quanto faccia schifo. E' un po' quello che è successo ad Haiti a causa del terremoto, che non ha fatto altro che massacrare e squarciare una popolazione che stava già morendo di fame, svegliando un'opinione pubblica che prima quando sentiva la parola Caraibi pensava solo a spiagge bianche e scenari da favola.
Il secondo rischio di una “giornata della memoria” è quindi direttamente conseguenziale: è quello di prendere un simbolo come quello della Shoah, e dimenticarsi di tutto il resto. Il 27 gennaio che diviene il momento di una catarsi – nel senso aristotelico -, il momento ovvero in cui il Mondo si ferma a ricordare la tragedia più grande, per uscirne purificato e con la coscienza rinata. Come il bambino che il 24 dicembre se ne sta buono, perché Babbo Natale sta arrivando e non sia mai che porterà del carbone con sé! La differenza, in realtà, è che la colpa di un bambino può essere solo quella di essere un po' discolo..la colpa di certi uomini, invece..

Il 27 gennaio non deve insomma diventare il pretesto per dimenticare ricordando, o ricordare per nascondere. Non dev'essere solo il giorno in cui si riflette sulle parole di Anna Frank o Primo Levi, ma il punto di partenza per vivere amando il bene ed odiando il male. Il 27 gennaio, come ogni giorno.

sabato 23 gennaio 2010

From wrong to right

So many bands give the devil all the glory
It's hard to understand, we want to change the story
We want to rock one way, on and on.
You'll see the light some day
All say Jesus is the way.


lunedì 4 gennaio 2010

Anno nuovo

"Sicché sono qui, a salutare l'arrivo di un nuovo anno, tingendomi dell'alibi che con un nove al posto dell'otto io possa trovare le forze (o le opportunità, non tutto dipende da me!) per superare lo scoglio che fa diventare vero il sogno, in questo continuo status di apprendista. O sognatore, appunto, colui che si guarda nello specchio e non vede chi è, ma ciò che potrebbe essere"

Beh, citarmi è forse sin troppo autoencomiastico. Resta il fatto che scrivevo queste parole esattamente un anno fa, e se le ripeto oggi che entriamo nel 2010 non è proprio un caso.
Sia chiaro: il 2009 non è passato via inerme, lasciandomi spoglio di cambiamenti. Anzi: da certi punti di vista la mia vita ha subito qualche forte scossone. Ho lasciato alle spalle alcuni pesi, alcune persone inutili, con cui condividevo la convenienza di un rapporto finto e senza sostanza. Potrei sembrare più solo - e a volte credo davvero di esserlo -, ma in realtà sono più libero dalle ipocrisie e dagli ipocriti. "Non sprechi l'oro dei suoi giorni ascoltando gente noiosa, cercando di migliorare un fallimento senza speranza o gettando la sua vita agli ignoranti, alla gente mediocre, ai malvagi": è una citazione dal Ritratto di Dorian Gray di Oscar wilde.
Ho conosciuto stormi di attori che interpretano personaggi, finti fino al midollo; ragazzi di abissale ignoranza e, quel ch'è peggio, fieramente ignoranti; condottieri dei peggiori disvalori, neoborghesi che si vestivano da neofascisti, figli del Bene che ineggiano il Male - perché per loro la vita è un gioco in cui si nutrono di vizi, perché son sempre stati viziati. Ecco nel 2009 ho tolto gli occhiali che mi rendevano cieco, ho trasformato volti in briciole, e le ho scacciate via.

E'stato un anno positivo, senz'altro. A fronte di questi rapporti che si sono sfaldati sotto ai miei piedi, ne ho risaldati altri, soprattutto con chi davvero voglio accanto. Senza umili sentimentalismi idioti.
Non voglio fare progetti ed altre retrospettive. In fondo, sappiamo tutti che il cambio di anno non è che l'obbligo di cambiare anche il calendario.

venerdì 25 dicembre 2009

So this is Christmas..

Ieri sera, durante la processione di ingresso della celebrazione, una persona non equilibrata, tale Susanna Maiolo, di 25 anni, di cittadinanza italiana e svizzera, ha superato la transenna e, nonostante l'intervento della sicurezza, è riuscita a raggiungere il Santo Padre e ad afferrarne il pallio, facendogli perdere l'equilibrio e facendolo scivolare a terra. Primi commenti nel mondo politico. Di Pietro dice che in fondo se l'è cercata; gli risponde l'on. Cicchito, il quale indica come mandanti morali Travaglio ed Annozero. Il Santo Padre ha rassicurato: "State sereni, l'amore vince sull'odio".
uh no.. credo di star facendo un po' di confusione!

Buon Natale a tutti!

mercoledì 23 dicembre 2009

Riflessione sulla casta politica italiana.

"Ci sono un bel po' di piedi di mulo lì in mezzo, disse.
Come?
Piedi di mulo. Direi che ci sono parecchie centinaia di capi solo di quelli, e non è una varietà di maiali facile da trovare.
Cos'è un piede di mulo? chiese Holme.
Il mandriano socchiuse gli occhi con aria professionale. E' un maiale di montagna che viene dal nord della regione. Ne avete mai visto uno?
No.
Ha il piede come quello di un mulo.
Volete dire che non ha lo zoccolo fesso?
Niente fessura, già.
Io non l'ho mai visto, un maiale del genere, disse Holme.
La cosa non mi sorprende, commentò il mandriano. Ma potete vederne uno adesso, se vi interessa.
Mi piacerebbe, disse Holme.
Il mandriano cambiò di nuovo appoggio all'asta. Sembrerebbe che questo non sia in accordo con la bibbia, che ne dite?
Di che cosa?
Di quei maiali. Del fatto che sono animali impuri proprio perché hanno il piede fesso.
Questa non l'ho mai sentita, disse Holme.
Io l'ho sentito predicare in un sermone, tempo fa. Da un tizio che la sapeva lunga sull'argomento. Disse che il diavolo aveva il piede come quello di un maiale. Sosteneva che questo era scritto nella bibbia, perciò immagino che sia vero.
Eh sì.
Diceva che per questo un ebreo non mangerebbe mai carne di porco.
Cos'è un ebreo?
Sono quel popolo antico di cui parla la bibbia. Ma questo non spiega la faccenda dei maiali piedi di mulo, no? Cosa dobbiamo pensare?
Non lo so, rispose Holme. Cosa dobbiamo pensare?
Be', è un maiale o no? Stando alla bibbia.
Io direi che un maiale sarebbe un maiale anche se i piedi non li avesse proprio.
Sarei anch'io di questa idea, disse il mandriano, perché se mai avesse i piedi ti aspetteresti che fossero piedi di maiale. E' come dire che se tu avessi un maiale senza testa sapresti comunque che è un maiale. Ma se ne vedessi uno andarsene in giro con una testa di mulo, rimarresti proprio senza parole.
E' vero, assentì Holme.
Sissignore. E' una cosa che fa pensare parecchio, a proposito della bibbia, e anche a proposito dei maiali, no?
Già, disse Holme.
Ho studiato parecchio la faccenda, ma non mi riesce di arrivare a una conclusione né in un senso né nell'altro.
No.
Il mandriano si accarezzò la barba e annuì. Già i maiali sono un mistero per conto loro, disse. Cosa sappiamo, del maiale? Non molto. E' da quando ero alto così che vano in giro con i maiali, eppure non sono mai riuscito a capirli davvero. E sono sicuro che tanti altri hanno avuto la stessa esperienza. Un maiale è un maiale. Puro e semplice. E questo è tutto quello che possiamo dire di lui. E sono furbi, non pensate che non lo siano. Furbi come il diavolo. E non fatevi ingannare se ne trovate uno che non ha il piede spaccato, perché è diabolico anche lui."

Cormac McCarthy, Il buio fuori, Torino: Einaudi, 1997, pp. 182-183 (traduzione di R. Montanari da C. McCarthy, Outer Dark, 1968)

venerdì 6 novembre 2009

Influenza, l'anno scorso in Trentino 50 morti

da L'Adige

http://www.ladige.it/news/2008_lay_notizia_01.php?id_cat=4&id_news=45297

Influenza, l'anno scorso in Trentino 50 morti

TRENTO - Par di capire che l'influenza A ha colpito soprattutto il sistema di comunicazione di massa dei grandi e potenti Paesi dell'Occidente. Però questo Grande Allarme

serve. Serve a testare i sistemi di allerta contro i virus (l'eterna lotta tra micro e macro organismi sembra pendere a nostro sfavore) è, quindi, un'immensa esercitazione di Protezione civile; la paura che serpeggia nell'opinione pubblica forse serve anche a stimolare la ricerca, però, se i numeri hanno un senso, ce n'è uno che va ricordato: lo scorso anno, il Ministero della salute (tanto importante che in Italia non c'è, nel senso che è fuso con quello del lavoro e delle politiche sociali) ha stimato che i morti in Trentino per causa o concausa dell'influenza sono stati 80.

La nostra Azienda sanitaria fa una stima più cauta e si ferma a 50. In tutta Italia si stimano 8 mila decessi per causa o concausa del virus che lo scorso anno non era l'ormai famigeratissimo H1N1. Morti silenziose. Secondo quanto è stato detto ieri durante la conferenza stampa dell'assessore Ugo Rossi e dai dottori Alberto Betta e Valter Carraro questo virus fa meno danni di quello «normale». Questo emerge dall'esperienza dei mesi scorsi nei Paesi del sud del mondo che hanno già vissuto il picco della pandemia. Quindi il è soprattutto l'influenza dell'informazione. «La vera emergenza è l'eccesso di informazioni talora contraddittorie, presenti per esempio su internet», ha detto il responsabile della Direzione promozione educazione alla salute dell'Azienda Alberto Betta. Vero, ma questa è la realtà con i suoi pregi e i suoi tanti difetti. I pregi stanno nella maggiore trasparenza i difetti nella confusione. Che in casi come questi (il virus all'inizio sembrava pericolosissimo) sembra inevitabile. L'importante è far tesoro dell'esperienza. B.Z.

lunedì 26 ottobre 2009

Brad gran bastardo

da L'Espresso

http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2111298/2


Brad gran bastardo

di Lietta Tornabuoni


Con 'Bastardi senza gloria' Quentin Tarantino ha fatto davvero un bellissimo lavoro di cinema. Ha preso una storia classica di Resistenza e patriottismo, con tutti i suoi luoghi topici: la Francia sotto l'occupazione, i nazisti educati e malvagi persecutori e autori di eccidi, il maquis, l'intrepida ragazza antinazista che gestisce con l'aiuto di un nero un piccolo cinema parigino e progetta attentati, la star ambigua, il giovane eroe nazi, lo scontro tra le parti in un locale pubblico. Ha raccontato tutto questo nel perfetto stile dei film dell'immediato dopoguerra o comunque sul tema, a parte il film italiano di serie B di Castellari al quale afferma d'essersi ispirato. Risultato filologicamente ottimo con qualcosa di più, molto importante: la semi-parodia suscita, oltre all'ironia e al divertimento, emozioni vere, autentici sentimenti d'indignazione e di coraggio, nobili pulsioni d'avventura, nostalgie di facilità politica. Ammirevole. Unica variante, il gruppo di ebrei militari americani vindici guidati da Brad Pitt che compie azioni di guerriglia contro i tedeschi, osserva un uso particolare: una volta uccisi i nemici (o anche prima che siano morti), come i pellerossa dei vecchi western ne taglia via lo scalpo.

Di una simile abitudine non si era mai sentito: chissà se nel film vuol essere un incoraggiamento alla rivolta crudele, l'allusione a una ferocia di gruppo, o appena un capriccio raccapricciante. Sequenza di rara maestrìa registica, la lotta tra nazisti e antinazisti, seduti a tavoli diversi in una birreria. La coreografia degli scontri nell'angusto spazio seminterrato, il montare della situazione dalla calma alla morte, il mutare delle facce e delle voci sono grandi. Peccato (o forse no) che Tarantino usi la propria bravura quasi soltanto nell'ambito del gratuito, ma pazienza. Sarà per un'altra volta.


Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino con Brad Pitt, Christoph Waltz, Diane Kruger