Feeds, Twitter e Blog License
sabato 28 gennaio 2012
Vento
piccolo sfogo in versi, non chiamiamolo poesia (sarebbe una sopravvalutazione), minimamente autobiografico.
Poggio i remi
nel vento
volto, giro
per Dio!
Dov'è la rotta?
S'è perso,
s'è perso!
In balia del vento,
s'è perso.
Grido, strattono
il cielo
di insulti,
faccio fulmini
di bestemmie.
Ma la luce
non taglia il vento,
dov'è la via,
dove ho gettato i remi?
Come si ferma il vento,
come si bacia il vento?
Poggio i remi
nel vento
volto, giro
per Dio!
Dov'è la rotta?
S'è perso,
s'è perso!
In balia del vento,
s'è perso.
Grido, strattono
il cielo
di insulti,
faccio fulmini
di bestemmie.
Ma la luce
non taglia il vento,
dov'è la via,
dove ho gettato i remi?
Come si ferma il vento,
come si bacia il vento?
sabato 31 dicembre 2011
Whatever will be
«Vedo che i giovani d'oggi s'industriano con ogni mezzo a dimenticare il tempo vivendo un eterno presente senza passato e senza futuro. Ma non è facile dimenticare il tempo. Noi ne siamo intrisi, la nostra identità è nutrita dal sentimento del tempo, la nostra differenza da tutte le altre specie viventi consiste in quel sentimento che soltanto a noi è riservato.» E. Scalfari
Odio ed amo questa mia personale tradizione, di fare un bilancio della mia vita ogni primo gennaio (più o meno, oggi è il 31, non stiamo a sindacare). Credo siano molti che, molto tristemente, ogni nuovo calendario s'accorgono che un altro anno è passato. Che il tempo scorre, e non lo si può fermare. Per me non è un dramma, è solo un cambio di calendario, uno fra i tanti che ancora mi aspettano. O almeno lo spero.
***
Bene, è una tradizione, quindi. Lo è diventata; è dal 2009 che rendo pubblico ciò che penso di me, ogni inizio di anno nuovo. Da cosa posso partire, per fare un bilancio? Ovviamente dal rileggere ciò che scrivevo gli altri anni:
Mi fa uno strano effetto rileggermi. In primis, perché mi rendo conto che sono un mare di retorica. Non sempre, sia chiaro, ma forse il parlare di me stesso mi rende più melodrammatico. Ed anche un po' triste. Forse preferisco semplicemente scrivere degli altri, di personaggi veri o inventati, raccontare storie altrui, non la mia. Perché quando ci si guarda dentro è sempre un po' pericoloso, il rischio è di trovare lati che non pensavi di avere, oppure che tenevi nascosti, tappandoti le orecchie a più non posso. Va beh, facciamolo.
***
Retorica, appunto. Quella che mi spingeva l'anno scorso a ripromettermi di tuffarmi nel mare, rischiando di rompermi le ossa o di nuotare finalmente. L'ho fatto? Ma va! Non potevo sperare davvero che il 2011 cambiasse la mia vita. Per farlo, avevo bisogno di un numero pari. Il 2012 è l'anno giusto! Come suona bene… duemilaedodici…duemilaedodici… lo ripeterei per un anno intero… duemilaedodici… Quando ti sei laureato? Nel duemilaedodici! Bingo!
Non lo credo davvero. Non credo che sarà il prossimo, l'anno della svolta. Però, a quanto pare, sarà davvero l'anno della mia laurea. Se i Maya non metteranno lo zampino, anticipando di qualche mese la fine del mondo, l'anno prossimo sarò un dottoredelbucodelculvaffanculvaffancul. Non male, primo obiettivo raggiunto, ranger. La missione continua.
***
Tempo di bilanci, allora. Cosa c'è stato davvero di buono nel 2011? Ho conosciuto nuove persone, ed ho trovato nuovi stimoli. Di per sé ho continuato a percorrere la stessa identica strada, ma finalmente qualcuno si sta accorgendo di me. Non miro affatto ad un riconoscimento, ma che qualcosa mi venga riconosciuto, non posso fingere che non mi faccia piacere. Sto trovando nuovi spazi per esprimermi, nuove pagine bianche da riempire, nuovi mondi da esplorare (la missione continua, appunto).
Accanto a me ho sempre la luce di quello stesso faro, sempre più luminosa. Non è una candela, è una costellazione di immensità, è un universo di irrazionale potere. Senza lei non sarei io, l'io di adesso. Penso questo, questa è la mia idea.
***
Allora, per il nuovo anno per una volta non mi auguro un cambiamento. Non per forza qualcosa che sconvolga la mia vita. Intanto, mi basta continuare così. Poi… que sera, sera, whatever will be, will be.
venerdì 16 dicembre 2011
Pogrom moderni: gli Italiani sono razzisti? Ed i Trentini?
Mio articolo pubblicato qui: http://www.larotaliana.it/home/i-commenti/item/1475-pogrom-moderni-gli-italiani-sono-razzisti?-ed-i-trentini?.html
Trento - Pensavo di iniziare questo articolo con una premessa: gli storici sono indispensabili alla società; gli storici permettono di comprendere meglio sia il passato, sia il presente. Sarebbe stato contento l'amico Andrea, che su queste pagine (e non solo) scrive proprio di storia. Ma qualcuno, che si è avventurato sulle nostre modeste biografie nella pagina della Redazione, si sarebbe accorto che anch'io sono ormai prossimo alla laurea in storia, e sarebbe così crollato tutto il palco, e si sarebbe compreso che non posso essere del tutto oggettivo.
CAUSE PERSE - Ed allora al diavolo il cappello introduttivo; non diamo a tutti gli storici l'onore di essere esaltati in un articolo de laRotaliana.it. Lasciate però che vi consigli un libro, che, da solo, vale ben più di ogni parola che potrei spendere in questo senso. Sto parlando di Cause Perse, un diario civile, di Adriano Prosperi, uscito lo scorso anno (2010) per Einaudi.
LO STORICO - Adriano Prosperi è professore ordinario di Storia moderna alla Scuola Normale di Pisa; ha scritto Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari (Einaudi, 1996), forse uno dei libri più belli della storiografia contemporanea. A lui si devono degli studi fondamentali sul mondo degli eretici e l'inquisizione, sulla Riforma, sulla Controriforma, sulla cultura in età moderna, sullo stesso Concilio di Trento. Prosperi è insomma un uomo d'alta dignità accademica, apprezzato in tutto il mondo per le sue qualità intellettuali.
IL TESTIMONE - Ma Prosperi non è rimasto confinato sulla cattedra universitaria; in parte grazie al suo carisma e le sue capacità di scrittore, in parte anche grazie all'intuito di chi lo ha ospitato, lo storico ha smesso di scrivere soltanto del passato, ed ha iniziato a riflettere anche sul presente. Cause Perse è proprio questo: la raccolta di una serie di editoriali che l'autore ha pubblicato sul quotidianoLa Repubblica, e che trattano di argomenti di attualità, commentati con lo sguardo dello studioso.
ITALIANI RAZZISTI - Come sottolinea Giuseppe Marcocci nella postfazione al libro, il vero impegno civile del testimone Prosperi nasce da una domanda, fondamentale, che non può evitare di porsi: «Come e perché gli italiani sono diventati razzisti?». L'interrogativo parte dalla cronaca, da quel giorno del maggio 2008 in cui si diffuse la notizia che una giovane donna rom avrebbe tentato di rapire una bambina di sei mesi; gli abitanti del quartiere Ponticelli a Napoli appiccarono il fuoco alle baracche del vicino campo. La notizia di allora è in questi giorni tornata tristemente di grande attualità. Da una parte per il folle omicida Gianluca Casseri, il militante di destra che martedì scorso (13 dicembre), a Firenze, ha aperto il fuoco contro i senegalesi, uccidendone due e ferendone altri tre. Dall'altra per quanto è avvenuto a Torino, dove una ragazzina di sedici anni che ha perso la verginità in un rapporto consensuale con il suo ragazzo, ha pensato di rimediare alla sua “onta” accusando di stupro degli zingari romeni. Accusa inventata, ma che, come era avvenuto nel 2008 a Ponticelli, ha portato una folla di circa 500 persone a bruciare le baracche del vicino campo. A quanto scrive il Corriere, quando i Vigili del Fuoco hanno cercato d'intervenire, i manifestanti si sono intromessi, urlando che gli zingari dovevano bruciare.
POGROM MODERNO – La definizione che meglio si addice a fenomeni di questo genere, secondo Prosperi, è quella di “pogrom moderno”. «Da oggi», scriveva Prosperi all'indomani di quanto accaduto a Napoli, «la parola “pogrom” ha cessato di indicare solo tragedie di altri tempi e di altri popoli per diventare la definizione di atti compiuti da folle di italiani». Leggendo quanto Prosperi scrive, riusciamo a tracciare un'inquietante similitudine su quanto avveniva in un passato che ci sembra fieramente lontano, e la realtà di ciò che ancor oggi leggiamo sui giornali. «Ci sono altre storie», continua Prosperi «che hanno un sapore tristemente familiare: quella del bambino rom che non vuole più andare a scuola perché i compagni lo escludono dal gruppo e dicono che è sporco, che puzza. Anche per gli ebrei dei secoli scorsi si diceva che fossero sporchi e riconoscibili dall'odore; ma lo dicevano coloro che prima li avevano chiusi negli spazi stretti e senza acqua dei ghetti».
TRENTINI RAZZISTI – Anche Trento ha la sua triste tradizione di antisemitismo. Il caso più celebre è quello del piccolo Simone, che sin dalla prima età moderna e fino al 1965 era venerato come beato. La credenza popolare, sostenuta dall'allora vescovo Johannes Hinderbach, voleva che il fanciullo fosse stato ucciso dalla comunità ebraica locale. Gli Ebrei trentini furono torturati, costretti alla confessione e poi uccisi. Il Simonino fu chiamato Santo, e gli si attribuirono anche dei miracoli. Ma ora che finalmente il culto del Simonino è stato decanonizzato, e che anche Trento sembra aver richiuso certe ignoranze popolari nello scrigno del passato, nella nostra città si è definitivamente sconfitta la xenofobia?
In un articolo per QT di qualche anno fa, e che ancora si può leggere in internet, Mattia Pelli rifletteva sulla notizia dell'arresto di due nomadi, la cui “gravissima” colpa era stata quella di aggirarsi «con fare sospetto» nell'area Ex Zuffo. Sul percorso della ferrovia Trento-Malè-Marileva, la famosa “vaca nonesa”, la fermata di Lamar è proprio vicino ad un campo nomadi; nel corso dei miei viaggi mi è capitato spesso di sentire commenti, da parte di giovani ragazzi o di distinte vecchine, che poco si discostano da quelli dei manifestanti di Torino.
Questi, piccoli indizi presi dal mucchio, sono davvero segnali d'allarme? C'è davvero il pericolo che anche Trento si risvegli, un giorno, infestata dal fumo di un “pogrom moderno”?
Trento - Pensavo di iniziare questo articolo con una premessa: gli storici sono indispensabili alla società; gli storici permettono di comprendere meglio sia il passato, sia il presente. Sarebbe stato contento l'amico Andrea, che su queste pagine (e non solo) scrive proprio di storia. Ma qualcuno, che si è avventurato sulle nostre modeste biografie nella pagina della Redazione, si sarebbe accorto che anch'io sono ormai prossimo alla laurea in storia, e sarebbe così crollato tutto il palco, e si sarebbe compreso che non posso essere del tutto oggettivo.
CAUSE PERSE - Ed allora al diavolo il cappello introduttivo; non diamo a tutti gli storici l'onore di essere esaltati in un articolo de laRotaliana.it. Lasciate però che vi consigli un libro, che, da solo, vale ben più di ogni parola che potrei spendere in questo senso. Sto parlando di Cause Perse, un diario civile, di Adriano Prosperi, uscito lo scorso anno (2010) per Einaudi.
LO STORICO - Adriano Prosperi è professore ordinario di Storia moderna alla Scuola Normale di Pisa; ha scritto Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari (Einaudi, 1996), forse uno dei libri più belli della storiografia contemporanea. A lui si devono degli studi fondamentali sul mondo degli eretici e l'inquisizione, sulla Riforma, sulla Controriforma, sulla cultura in età moderna, sullo stesso Concilio di Trento. Prosperi è insomma un uomo d'alta dignità accademica, apprezzato in tutto il mondo per le sue qualità intellettuali.
IL TESTIMONE - Ma Prosperi non è rimasto confinato sulla cattedra universitaria; in parte grazie al suo carisma e le sue capacità di scrittore, in parte anche grazie all'intuito di chi lo ha ospitato, lo storico ha smesso di scrivere soltanto del passato, ed ha iniziato a riflettere anche sul presente. Cause Perse è proprio questo: la raccolta di una serie di editoriali che l'autore ha pubblicato sul quotidianoLa Repubblica, e che trattano di argomenti di attualità, commentati con lo sguardo dello studioso.
ITALIANI RAZZISTI - Come sottolinea Giuseppe Marcocci nella postfazione al libro, il vero impegno civile del testimone Prosperi nasce da una domanda, fondamentale, che non può evitare di porsi: «Come e perché gli italiani sono diventati razzisti?». L'interrogativo parte dalla cronaca, da quel giorno del maggio 2008 in cui si diffuse la notizia che una giovane donna rom avrebbe tentato di rapire una bambina di sei mesi; gli abitanti del quartiere Ponticelli a Napoli appiccarono il fuoco alle baracche del vicino campo. La notizia di allora è in questi giorni tornata tristemente di grande attualità. Da una parte per il folle omicida Gianluca Casseri, il militante di destra che martedì scorso (13 dicembre), a Firenze, ha aperto il fuoco contro i senegalesi, uccidendone due e ferendone altri tre. Dall'altra per quanto è avvenuto a Torino, dove una ragazzina di sedici anni che ha perso la verginità in un rapporto consensuale con il suo ragazzo, ha pensato di rimediare alla sua “onta” accusando di stupro degli zingari romeni. Accusa inventata, ma che, come era avvenuto nel 2008 a Ponticelli, ha portato una folla di circa 500 persone a bruciare le baracche del vicino campo. A quanto scrive il Corriere, quando i Vigili del Fuoco hanno cercato d'intervenire, i manifestanti si sono intromessi, urlando che gli zingari dovevano bruciare.
POGROM MODERNO – La definizione che meglio si addice a fenomeni di questo genere, secondo Prosperi, è quella di “pogrom moderno”. «Da oggi», scriveva Prosperi all'indomani di quanto accaduto a Napoli, «la parola “pogrom” ha cessato di indicare solo tragedie di altri tempi e di altri popoli per diventare la definizione di atti compiuti da folle di italiani». Leggendo quanto Prosperi scrive, riusciamo a tracciare un'inquietante similitudine su quanto avveniva in un passato che ci sembra fieramente lontano, e la realtà di ciò che ancor oggi leggiamo sui giornali. «Ci sono altre storie», continua Prosperi «che hanno un sapore tristemente familiare: quella del bambino rom che non vuole più andare a scuola perché i compagni lo escludono dal gruppo e dicono che è sporco, che puzza. Anche per gli ebrei dei secoli scorsi si diceva che fossero sporchi e riconoscibili dall'odore; ma lo dicevano coloro che prima li avevano chiusi negli spazi stretti e senza acqua dei ghetti».
TRENTINI RAZZISTI – Anche Trento ha la sua triste tradizione di antisemitismo. Il caso più celebre è quello del piccolo Simone, che sin dalla prima età moderna e fino al 1965 era venerato come beato. La credenza popolare, sostenuta dall'allora vescovo Johannes Hinderbach, voleva che il fanciullo fosse stato ucciso dalla comunità ebraica locale. Gli Ebrei trentini furono torturati, costretti alla confessione e poi uccisi. Il Simonino fu chiamato Santo, e gli si attribuirono anche dei miracoli. Ma ora che finalmente il culto del Simonino è stato decanonizzato, e che anche Trento sembra aver richiuso certe ignoranze popolari nello scrigno del passato, nella nostra città si è definitivamente sconfitta la xenofobia?
In un articolo per QT di qualche anno fa, e che ancora si può leggere in internet, Mattia Pelli rifletteva sulla notizia dell'arresto di due nomadi, la cui “gravissima” colpa era stata quella di aggirarsi «con fare sospetto» nell'area Ex Zuffo. Sul percorso della ferrovia Trento-Malè-Marileva, la famosa “vaca nonesa”, la fermata di Lamar è proprio vicino ad un campo nomadi; nel corso dei miei viaggi mi è capitato spesso di sentire commenti, da parte di giovani ragazzi o di distinte vecchine, che poco si discostano da quelli dei manifestanti di Torino.
Questi, piccoli indizi presi dal mucchio, sono davvero segnali d'allarme? C'è davvero il pericolo che anche Trento si risvegli, un giorno, infestata dal fumo di un “pogrom moderno”?
lunedì 5 dicembre 2011
La manovra «Salva-Italia»: qualche osservazione
L'Italia è a rischio default. Significa, in pratica, che lo stato in cui viviamo rischia di non poter più reggere dal punto di vista finanziario. Se l'Italia entra in default, trascina ancor più nel baratro della crisi anche l'Europa. L'euro perde valore, l'euro cessa di esistere. Diventa carta straccia, forse non davvero buona solo per accendere il fuoco, perché la potremmo ancora almeno convertire nelle nostre lire. «Che bello, è tornata la lira! È crollata l'Europa!». Probabilmente qualcuno che ieri, nel parlamento della Padania, urlava forte per la secessione, gioirebbe per il crollo dell'Europa e la rinascita dei piccoli stati nazionali (quelli storici, o quelli inventati, a loro poco importa). La realtà è che se l'Europa Unita scomparisse, perderemmo ogni forza politica, e quindi ancor più economica. Saremmo alla mercé di quei conquistadores che, già, nel Vecchio Continente stanno inserendosi per succhiarne la linfa.
Si potrebbe ragionare sul sistema, e di come in realtà siano stati globalizzazione e capitalismo a trascinarci sino a questo punto. È bello – almeno per diversificare il dibattito culturale – che qualche intellettuale, più o meno d'ispirazione marxiana, e più o meno utopista, ancora sia fiero di pensare in questi termini. È uscito proprio quest'anno il nuovo libro dello storico Eric J. Hobsbawm, che ammetto di non aver ancora letto, ma il cui titolo mi sembra comunque già significativo: Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l'eredità del marxismo. È giusta la via suggerita da Hobsbawm, o si tratta soltanto di un percorso fra l'utopia e l'anacronismo? Dovrei leggere quel libro, come da tempo vorrei fare, per poter esprimere la mia opinione.
Per ora mi accontento, quindi, di vedere come stanno le cose, in Italia. Mario Monti si è trovato a prendere le redini di un cavallo già imbizzarrito, tentando di riportarlo al trotto, al costo di rimetterne in prestigio personale. È chiaro che chiunque si veda una mano calata nelle tasche, reagirà con una certa stizza. E più aumenta la povertà, più aumenta anche l'indignazione, diventa vero odio. Per questo serviva un tecnico, non un politico: il politico di professione è ormai ossessionato dalla necessità di dover guadagnare altri voti (al costo di corteggiare un Scilipoti di turno), non può rischiare di perderne con misure impopolari. Un tecnico può accettare anche di essere odiato; un politico, se odiato, s'inventa che è la “parte sbagliata del paese” ad odiarlo, mentre quella vera ancora lo ama. Un ossessione che, oggettivamente, al Paese ha fatto molto male.
La realtà è che comunque la gente non riesce più a sopportare di sentirsi vittima del sistema. Quando qualcuno, dall'alto, aveva promesso demagogicamente di togliere l'Ici, era alla fine risultato il più votato alle elezioni. Il provvedimento non poteva reggere alla realtà dell'economia prossima alla crisi, dove anche i soldi dell'imposta sulla casa erano un minimo di ossigeno in un paese già ammalato, o quanto meno prossimo alla malattia. Togliere un'imposta è facile, e, come detto, porta voti. Quando ti accorgi di pagare meno tasse, allora è difficile che fai caso ai tagli che vengono fatti altrove, magari alla sicurezza, alla salute, alla cultura.
Togliere tasse è facile, dicevo, rimetterle diventa un'impresa. Sono abbastanza convinto che nel 2013 le elezioni verranno vinte da quei politici che prometteranno misure economiche più eque. Una nuova forma di democrazia, che non punta più sulla possibilità che ognuno possa essere rappresentato, ma che ognuno paghi il giusto, e che non vi sia uno spietato sistema oligarchico, in cui a pagare siano sempre gli stessi. In questo senso, Mario Monti ha avuto il merito e l'intelligenza di alcuni passi in avanti. La misura simbolica di rinunciare al proprio stipendio. Quella significativa di tassare beni di lusso, come yacht o aeromobili.
La misura mi è parsa, quindi, come minimo un passo in avanti in alcuni aspetti. Ma rimangono i punti che mi hanno lasciato perplesso. Non sono un economista, non ho nemmeno il barlume delle conoscenze accademiche del professor Monti, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse davvero il senso di un aumento dell'Iva al 23% (anche se a partire dal settembre prossimo). Con l'aumento dei prezzi, indistinto ed acritico, non si riducono anche i consumi? Non si peggiora, così, anche la crisi economica, colpendo soprattutto le piccole aziende, ed i singoli acquirenti?
Etichette:
attualità,
attualità [editoriali - mie opinioni],
economia,
manovra,
Monti Mario,
politica
sabato 12 novembre 2011
Berlusconi dimesso: la Storia agli occhi dei giovani
Oggi è una giornata storica. Non è mia intenzioni dare valutazioni politiche, né scrivere bugie su quello che sarà il domani. Un domani difficile, di un paese che, anche senza Berlusconi, è sull'orlo della bancarotta. Ma è indubbio che il 12 novembre del 2011 entrerà nei libri di storia.
Dicevo: non voglio dare giudizi – almeno su queste pagine – sul significato politico dell'addio di Berlusconi. Commenti, editoriali, valutazioni più o meno oggettive le leggeremo domani sui giornali, le troviamo già ora su Twitter o negli speciali di Ballarò o La7, le sentiremo per giorni nei bar e sugli autobus. Voglio solo riflettere sul significato emotivo dell'uscita di scena di un personaggio che, sul tetto d'Italia, ha vissuto per quasi diciotto anni.
Noi giovani abbiamo imparato ad avere ricordi sbiaditi della Storia italiana. Un'immagine che ci arriva dai libri e, per gli episodi recenti, dai racconti dei nostri genitori. Noi che eravamo piccoli quando Craxi veniva bersagliato di monetine fuori dall'hotel Raphael, noi che al Parlamento abbiamo sempre visto le stesse facce, alternate a qualche volto nuovo, piombato dal nulla, ma con le stesse idee dei gerarchi di governo ed opposizione. Certo, noi giovani non siamo così sconsiderati dal credere che con Berlusconi scomparirà d'improvviso la vecchia politica, quell'odioso sistema di casta che ben conosciamo. Ma, vedendo questa sera la Storia camminare su un colle di Roma, anche noi ci siamo resi conto di una fantastica verità: nulla è eterno, e tutto può cambiare. Non è la soluzione, ma un buon punto di partenza per il nostro futuro.
domenica 30 ottobre 2011
La felicità
Che cos'è la felicità? La domanda è filosofica, esistenziale, forse psicologica. La soluzione varrebbe milioni di dollari, ma, dice la saggezza popolare, «i soldi non fanno la felicità». Così almeno voleva la tradizione, poi è arrivata la luminare Terry De Nicolò, facendo capire che per alcuni il concetto non è più tanto attuale. E allora la domanda si ripresenta: davvero, cos'è la felicità? «È un bicchiere di vino, con un panino», o piuttosto la cena con caviale, escort e cocaina? Vorrei che la domanda fosse pura retorica, ma la cronaca – e le voci per strada – mi portano a pensare che nulla sia così scontato.
Ma soprattutto, la felicità esiste, o è solo un bagliore? È quell'illusione che ti rende profugo e clandestino, quel sentimento che ti porta semplicemente a “voler cambiare” la tua vita, o piuttosto il sapersi accontentare di ciò che già c'è? È l'essere ricchi, avere l'oggetto che più si desidera, o lo spogliarsi come S. Francesco?
E per parlare di felicità, quanto deve durare? Sono i quindici minuti di celebrità, quelli di Andy Warhol, o l'eterna giovinezza di Peter Pan o Dorian Gray? Già, Dorian Gray: essere felici significa essere belli, è un fatto esteriore, o, come diceva Henry Van Dyck, pura interiorità? I Greci parlavano di òlbios quando la felicità era esteriore, e di eudàimon per la felicità intima: cos'è la nostra felicità?
La felicità è un frutto. Ce lo dice l'etimologia, in Catone l'arbor felix è il fico, l'albero fruttifero. Dalla stessa etimologia deriva il feto, il frutto per eccellenza, e fecondare, che è produrre prole, quindi frutti. La felicità è allora davvero un frutto, qualcosa che cresce, qualcosa che si produce nel tempo, qualcosa che si deve coltivare, o è qualcosa di innato? O solo i bambini, che immaginiamo senza preoccupazioni, possono essere felici?
Scriveva Alda Merini: «Bambino, se trovi l'aquilone della tua fantasia | legalo con l'intelligenza del cuore. | Vedrai sorgere giardini incantati | e tua madre diventerà una pianta | che ti coprirà con le sue foglie. | Fa delle tue mani due bianche colombe | che portino la pace ovunque | e l'ordine delle cose. | Ma prima di imparare a scrivere | guardati nell'acqua del sentimento.»
Forse la felicità è, anche per noi giovani ed adulti, questo abbandonarsi alla fantasia, il lasciarsi andare alla creatività, l'inseguire un aquilone?
articolo da me scritto, ed originariamente pubblicato qui:
http://www.larotaliana.it/home/i-commenti/item/1347-felicit%C3%A0-=-fantasia%20creativit%C3%A0?.html
Etichette:
felicità,
filosofia,
Gray Dorian,
la Rotaliana,
Merini Alda,
riflessioni,
Warhol Andy,
Wilde Oscar
giovedì 20 ottobre 2011
La morte di Gheddafi
Questo blog è uno sfogo. Si presta a fraintendimenti, contiene linguaggio scurrile.
Nessuno vi obbliga a leggere. Ma prima di fraintendere, potete sempre commentare.
Berlusconi bacia la mano di Gheddafi (marzo 2010!!!)
Verrà un giorno in cui ricorderemo il nostro passato, e parleremo delle morti di Saddam Hussein, Osama Bin Laden e Mu'ammar Gheddafi. Tre uomini simbolo, tre protagonisti – per quanto diversi – della storia di Novecento e primi anni Duemila. Tre uomini che l'Occidente, in diversa maniera e più o meno sotto la luce del sole, ha appoggiato e sostenuto, salvo poi voltar loro le spalle, quando la contingenza lo chiedeva. L'Occidente, questo cavaliere oscuro che si dipinge senza macchia, che vuole esportare la democrazia nel mondo. Come se la democrazia fosse esportabile, calabile dal cielo come le bombe. Questi Bin Hussein Gheddafi, déi del male, questi bastardi dittatori, ora finalmente cadaveri, impiccati, cibo per pesci, col volto sfigurato dal sangue. Che bella la democrazia; che bell'insegnamento per i nostri figli queste mille piazze Loreto, il volto di Nemesi – come una statua con la torcia sulla skyline di Manhattan -, in una buca fra il fango di Sirte. Vendetta è fatta! Giustizia per il mondo libico, per i cittadini di Iraq. Per le famiglie che piangono sulle macerie delle Twin Towers e scorrono il dito su un atlante, che stracciano la cartina dell'Afghanistan, e la calpestano, e ci sputano sopra. Vaffanculo, la democrazia! Vaffanculo perché non ha memoria, perché festeggia la morte di Gheddafi, come fossimo tifosi allo stadio, come se Roberto Baggio non avesse sbagliato il rigore nella finale dei Mondiali del '94. Vaffanculo, io non riesco ad essere felice perché è morto Gheddafi, e sì che lo odio con tutte le viscere, e sempre l'ho odiato.. io ho ancora la nausea per la prostituzione di Roma, quando uno stato schiavo s'inchinava ad un dittatore. Ho la nausea per i bambini afghani uccisi dalle bombe d'Occidente. Ho la nausea per l'umanità, e la nostra democrazia che è schiavitù inconsapevole, di un sistema oligarchico, fatto di petrolio, bombe e puttane. Fa tutto schifo, e la morte di Gheddafi non cancellerà questo schifo.
venerdì 14 ottobre 2011
Incollati al cielo (2009)
Forse lo avrete intuito, da questo mio blog, che mi piace scrivere. Lo faccio da quando sono piccolo, ed è sempre e solo lo sfogo di un bisogno. Provo un po' di vergogna quando qualcuno mi dice che sono bravo. Un po' per timidezza, un po' perché, davvero, non credo di essere così bravo. Forse è per questo che raramente ho condiviso qualcuno dei miei scritti. E col tempo molti li ho perduti.
Non credo sia un male. Penso anzi che molte cose che ho scritto meritassero di andare perdute. Però qualcosa è rimasto, nero su bianco. E mi sono reso conto che ho sempre avuto un difetto, che è poi il più grande difetto di quanti provino a scrivere, da dilettanti. Me lo ha fatto osservare la migliore critica di me stesso, colei che ascolto davvero, e che credo sia riuscita nell'impresa di migliorare anche il mio stile. Non credo di esser diventato bravo, non ancora. Ma almeno leggo più volentieri ciò che scrivo. Ogni tanto.
Ora ho deciso di provare a superare l'ostacolo del cassetto chiuso. Con questo mio blog, ho sempre voluto mettere in campo parte di me, render pubblico, per quanto virtuale, ciò che ho tenuto a lungo nascosto…ecco, allora, che ho deciso di ricopiare sul mio blog alcuni miei racconti del passato.
Con la precisazione di questa premessa. Li ricopierò così come sono, senza modificarli. E con tutti i difetti che hanno. Il difetto vero di cui parlavo è la retorica. L'essere prolissi, il voler per forza dimostrare di 'saper scrivere'. Il risultato è che il racconto si appesantisce, perde la sua vena narrativa, diventa quasi solo un esercizio di stile. Ogni tanto ci ricasco, forse puntualmente ci ricasco. Ma ora non scrivo più solo ed assolutamente così. Non scrivo solo per mettermi alla prova, inizio a pensare ad un ipotetico, per quanto sempre immaginato, lettore.
Ma questo mio blog vuole essere anche un occhio sul passato, e quindi va bene anche che io pubblichi qualcosa che non scriverei più. I commenti, se vorrete leggere e vorrete scrivere le vostre opinioni, mi saranno comunque davvero utili. Perché quel bisogno di scrivere..beh, non mi è mai venuto meno; anzi, forse è aumentato. E se riuscissi anche a scrivere bene, sarebbe una gran conquista.
*
Il primo racconto che pubblico è del 2008/2009. Scritto fra la fine del 2008 e del 2009, se la memoria non mi inganna. L'ho scelto per primo proprio perché è il riassunto di quanto scrivevo prima: magari, senza modestia, ha anche degli spunti interessanti.. ma sono mal sviluppati.. troppa retorica, troppo patetismo..
PS: oggi mi son svegliato alle 5, ed ho dormito 5 ore.. non escludo ci sia anche questo, nel motivo che mi ha spinto a scrivere queste cose.. puro delirio da mancanza di sonno..
PS: oggi mi son svegliato alle 5, ed ho dormito 5 ore.. non escludo ci sia anche questo, nel motivo che mi ha spinto a scrivere queste cose.. puro delirio da mancanza di sonno..
*
Incollati al cielo
V'è un sospeso senso di benessere nell'astronomia, nell'osservare il cielo e sospettare che le stelle riposino per il volere di qualcuno. Non so dirvi di chi, ben inteso, ma sono al loro posto, a nutrirsi del buio con la luce, perché è l'unica cosa che possono fare. Forse è per questo che odio l'estate: d'agosto talvolta vedo le stelle cadere, e non mi sembra possibile che anche loro si lascino andare. Alle stelle cadenti molti associano romanticismo, io penso alla vita, e come nulla vi sia di sicuro: nemmeno loro stanno incollate al cielo, lasciano di peso la natia casa quando sfumano nel vuoto, urlano un'ultima scia di speranza, ma si gettano infine nel buio.
Riposo l'anima fra i sussulti della mia terra, seduto al bordo d'un fiume. In mano stringo l'Antologia di Spoon River, ben chiusa, quasi a temere che i personaggi possano avvertire il freddo. Non del vento, ma del mio respiro, il tremare d'un uomo che ha paura. A volte vorrei correi, tuffarmi nel fiume, lasciando che la corrente mi trascini quasi fossi una stella cedente. L'ultima scia di luce d'uno sconfitto. Abbandonare così ogni emozione, imporre il silenzio alle grida del cervello, e nascondere le lacrime nel gelo dell'acqua fino al comparire del buio.
Ma poi arriva Alice, benedetta visione, il suo volto si dipinge nel greto dove si specchiano i miei occhi. Mi sembra di vedere i capelli dorati mescolarsi alla luna riflessa, la pelle bianca dove dormono le trote, persino i grilli mi ricordano la sua voce. Allora il senso di tutto mi diventa così chiaro, siamo nati per amare, e se siamo come stelle, è l'amore che ci lega al cielo delle nostre vite.
Alice è la mia figlia di sei anni, così fragile al mondo ma già così grande. A settembre andrà a scuola, si staccherà dal cuscino di seta che le abbiamo creato ed inizierà a scoprire com'è il mondo. Da bruco sarà farfalla, da fiocco diverrà neve, ancor prima che me ne accorga avrà un cuore spezzato. Sarà così bella la prima volta che piangerà. Da grande ad ogni passo sospireranno i salici e s'innamoreranno i cavalieri; ma nemmeno la sua purezza potrà sconfiggere le ingiustizie ed i peccati. Verrà il giorno in cui sederà su quest'erba ad inseguire l'eco degli stessi miei pensieri; mi strapperei il cuore per fermare il tempo ed evitarle ogni dolore.
Ma che può fare un uomo, quando i suoi sogni vanno oltre l'essenza stessa della vita? Non può che alzarsi e fingere che tutto vada per il verso giusto, ed arrivare a credere che in fondo sognare è soltanto una perdita di tempo.
La notte talvolta sembra urlare il suo silenzio, il vuoto cancellare i contorni delle case. I buoni posano le loro menti nei labirinti di Morfeo, mentre i corpi stanchi si svuotano dei pesi fra le pieghe delle lenzuola. I cattivi escono dalle tane, prendono il volo si solchi dell'asfalto, aprono l'inferno e lo fanno assaggiare ai mortali. C'è chi crede che il male si nutra di tenebra, rifugga il sole come fosse un vampiro. In realtà all'alba tinge il suo volto, si nasconde fra giacche e cravatte, desideri infranti e banconote d'avidità. Mi sono innamorato di pesche al cianuro, ho riassunto la mia anima in illusioni giovanili, ho inseguito la bellezza finché ho capito che non si può raggiungere. Il domani è un ostacolo troppo grande, prima della vita c'è sempre la necessità, prima del profumo occorre trovare l'ossigeno per respirare. Così ho sacrificato i miei idoli su un altare di compromessi, ho accoltellato le nuvole e baciato capre e serpenti. Mi son fatto schiavo di ciò che odiavo, ho spinto la mia mente oltre l'innocenza, sono cresciuto diverso. Credevo d'aver perso la possibilità di sorridere, e talvolta lo penso ancora.
Ma le mie gambe seguono il profilo della strada, spalancano la porta di casa, trovano l'ancora della mia salvezza. È notte, Alice dorme nel suo mondo d'incanto, non sa quali sono i miei pensieri, prego Dio che non li scoprirà mai. I capelli le incorniciano il volto, gli occhi chiusi si muovono appena, dipingono chissà quali dolcezze.
Ad un tratto sembra sorridere, inseguo quel sospiro come se fosse l'unica cosa che ho. Istintivamente le accarezzo il volto, il movimento la fa svegliare. Mi guarda, sembra frastornata.
«Papà», mormora con un filo di voce.
Le suggerisco di tornare a dormire, ma è già assopita. Soffoco le lacrime negli occhi, mi sdraio sul pavimento freddo, accanto al suo letto.
Papà.
Quella parola sembra riecheggiare al di sopra di ogni pensiero, mi rendo conto che non ho bisogno di altro, sento il cuore prendere il volo, e la mia mente inseguirlo.
Etichette:
deliri,
racconti brevi,
schizzi
giovedì 13 ottobre 2011
[REC] Philip Roth, Nemesi
[questa recensione non contiene spoilers]
I Greci parlerebbero di Τύχη (Tyche). Noi, a seconda della nostra cultura e del nostro credo, parliamo di caso, di destino, di Fortuna. O di Dio. Ma esiste un momento, prima o poi, in cui tutti ci chiediamo «perché io?», o «perché non io?». Perché io, ora, son qui a leggere una recensione di un libro, scritta da un idiota qualunque, mentre qualcun altro al mondo sta morendo di fame? Perché io ho un tetto sulla testa, e ci sono bambini che mai vedranno il domani? Perché io…?
A questa domanda, quasi ontologica, la religione ha dato una risposta. “Mistero della fede”, la volontà imperscrutabile di un essere superiore (quale sia il suo nome), a cui ci possiamo avvicinare, ma mai comprendere del tutto. Perché la fede dev'essere cieca, e mai si deve dubitare di un disegno così immenso.
Philip Roth non può accontentarsi. Il personaggio del suo ultimo libro (Nemesi [2010]), Bucky Cantor, nemmeno. Bucky non è ateo, crede davvero nell'esistenza di Dio, ma se accetta la sua presenza, allora.. ancor peggio! Come può Dio essere così malvagio? Mr. Cantor finirà con l'odiare Dio, con l'incolparlo di quel caso, quasi fosse la rivisitazione della dea Fortuna, che ha voluto, per sua sola volontà, girarsi più in là.
Siamo nell'estate, la caldissima estate del 1944. In Europa si sta combattendo la Seconda Guerra Mondiale, ed i soldati americani si devono dividere fra il Vecchio Continente e l'Oriente, il Giappone di Pearl Harbor. Bucky Cantor è un istruttore ventitreenne: durante l'anno scolastico insegna educazione fisica nella scuola di Newark, nel New Jersey; in estate è l'animatore di un campo giochi della città. È sportivo, atletico, lo si direbbe un perfetto soldato: ma a differenza dei suoi più cari amici, Jake e Dave, non è partito per il fronte. Non arruolabile, per colpa della sua vista, è rimasto a Newark, ignorando che, anche nella sicura America, avrebbe dovuto combattere una guerra.
Poliomelite, semplicemente “polio” nel gergo. Per l'ebreo Bucky Cantor il vero nemico, nel 1944, non ha più una svastica sul braccio: è un morbo invisibile, inspiegabile, che contagia ed uccide. Soprattutto i bambini. La poliomelite inizia con sintomi che fanno pensare ad una semplice influenza: brividi, febbre, una forte emicrania. Ma poi evolve, colpisce i muscoli, deforma le persone colpite, le rende storpie. Colpisce le vie respiratorie, sicché gli ammalati possono respirare solo attraverso un polmone d'acciaio. Chi guarisce, rimarrà storpio. Molti, soprattutto bambini, non sopravvivono.
Ed è proprio quando i ragazzi del campo giochi di Mr. Cantor iniziano morire, che inizia la sua tragedia personale. Quel senso di impotenza, ma quella voglia di restare comunque a Newark, quasi per lui fosse un nuovo sbarco in Normandia.
Ma poi c'è Marcia. La ragazza che ama; la figlia del dottor Steinberg, che tanta sicurezza dà a Bucky, anche nell'incubo dell'epidemia. Quando Marcia proporrà a Bucky di raggiungerla ad Indian Hill, dove lei già è animatrice di un campo estivo, e dove la malattia non è arrivata, per lui inizierà il vero tormento. Cosa fare? Fuggire da Newark e dalla polio, o restare a combattere, con i suoi ragazzi, con l'amata nonna, piangendo i morti e sorreggendo gli storpi?
Nemesi ha in sé sempre quel sottile doppio binario, tipico dell'ultima produzione di Roth. Da una parte Dio ed il destino, quel disegno che sembra scritto da qualcuno; dall'altra noi, che quel disegno muoviamo con i nostri gesti e le nostre scelte. Noi che il destino, la Fortuna, davvero ce la costruiamo da soli. In un libro che di questo ciclo fa parte a pieno titolo, Indignazione (2008), Roth metteva nero su bianco questa concezione, che sta poi alla base anche di Nemesi. «Il terribile, incomprensibile modo in cui le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati». Questo è il destino per Roth, questo è il vero Dio per Roth. Ogni nostra scelta, può essere la prima pedina del domino, che ne farà cadere un'altra, e poi un'altra ancora, ed ancora, trascinandoci verso una direzione che altrimenti mai avremmo preso. E, la maggior parte delle volte, l'effetto di una nostra scelta, per quanto meditata, rimane imprevedibile. Questo è essere uomo, questo è vivere: costruire il destino con le proprie scelte, in un modo così “terribile” e così “incomprensibile”.
Nemesi è un libro bellissimo, forse fra i più belli del Roth maturo. Una storia che ti lega alle pagine, ed un contorno che è filosofia, è insegnamento di vita, ti porta a riflessioni profonde. Il tutto con quell'arte della narrazione e della descrizione, che è il vero, immenso tesoro dell'autore americano.
PHILIP ROTH, Nemesi, Torino: Einaudi, 2011
(ed. or. © Philip Roth, 2010)
(ed. or. © Philip Roth, 2010)
€ 19 (Einaudi SuperCoralli), 183 pagine
sul sito Einaudi:
lunedì 10 ottobre 2011
Sotto il melo
Sono ostaggio di altri pianeti, confinato nella clessidra del tempo che scorre. E sacrifico proprio voi, miei adorati Epitaffi Viventi!
Verrà il tempo di mele più rosse, che cresceranno anche su questi rami, che non posso - né voglio - dimenticare.
Pazienza, fantasia e tempo. Soprattutto tempo. Ditemi che di tempo ne ho ancora a valanghe.. e che potrò in eterno essere il Conrad Siever del web.
Per ora, ho iniziato anche a collaborare con un Magazine online, che, se dovessi banalizzare, definirei 'locale' o 'della mia regione'.
Lo scovate qui: http://www.larotaliana.it/
e qui i miei articoli: http://www.larotaliana.it/home/le-cronache/itemlist/user/232-danieleerler.html
Nel mio piccolo, ne vado fiero.
Verrà il tempo di mele più rosse, che cresceranno anche su questi rami, che non posso - né voglio - dimenticare.
Pazienza, fantasia e tempo. Soprattutto tempo. Ditemi che di tempo ne ho ancora a valanghe.. e che potrò in eterno essere il Conrad Siever del web.
Per ora, ho iniziato anche a collaborare con un Magazine online, che, se dovessi banalizzare, definirei 'locale' o 'della mia regione'.
Lo scovate qui: http://www.larotaliana.it/
e qui i miei articoli: http://www.larotaliana.it/home/le-cronache/itemlist/user/232-danieleerler.html
Nel mio piccolo, ne vado fiero.
Etichette:
blog,
deliri,
parole indisciplinate nel vento
Iscriviti a:
Post (Atom)