lunedì 7 febbraio 2011

Gary Moore


"Ma dobbiamo correre al Main Stage, dove ci godiamo per intero l'esibizione di Gary Moore. Il chitarrista è forse fra i più sottovalutati degli déi delle sei-corde: anche al Victoria Park è fautore di un'esibizione emozionante, tecnicamente ineccepibile, ma che unisce la potenza del rock al gusto del blues, senza mai annoiare. Attraverso classici come Over The Hill and Far AwayThunder Rising o Out in The Fields, più qualche improvvisazione e dei pezzi nuovi che non stonano affatto, l'irlandese si diverte e sa divertire." 

Questo scrivevo qualche mese fa, un commento inserito in un report più lungo: preso da solo sembra forse un po' troppo freddo. Non ero riuscito, o meglio: nemmeno avevo provato, a condensare in parole la felicità che avevo provato, sentendo le note di Gary. Ero come un bambino al Luna Park: non trovo metafora migliore.
Gary Moore se ne è andato ieri, e dire che fosse troppo giovane non è solo una banalità (né un dato anagrafico). Ci pensavo qualche mese fa, alla notizia della morte di José Saramago (che eppure era più anziano). Quando se ne vanno persone di questo spessore artistico, con talenti così straordinari, ciò che spiace davvero è che non potranno più donarci nulla. Gary aveva in uscita due dischi, uno celtic rock ed uno blues, e credo che la casa discografica non si lascerà perdere l'occasione di darli alle stampe, postumi al suo creatore. Giusto così: le sue note come epitaffio che lo renderanno immortale.

Il giovane Holden, attraverso la penna di Salinger (anche lui ci ha lasciati un anno fa!), ragionava sui libri, e pensava: "Quelli che mi lasciano davvero senza fiato sono i libri che quando li hai finiti e tutto quello che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira". Ecco: questo pensiero, geniale nella sua semplicità, è quello che mi nasce spontaneo anche con certa Musica. Quelle note che ti entrano dentro, migliorano la tua giornata, ti fanno crescere, sono semplicemente il sottofondo della tua vita. Ecco perché colpisce tanto la morte di persone come Gary Moore (o lo scorso anno Ronnie James Dio), perché li credi come amici per la pelle, anche se non li hai mai conosciuti (e magari se l'avessi fatto, ti sarebbero anche stati sulle balle). Perché sei cresciuto con la voglia di prendere il telefono, e chiedere: 'perché proprio quella nota? dove l'hai trovata? perché non ci riesco io?'; oppure chiamare ancora, e dire semplicemente 'grazie'.

E' stupido, lo so. Ma è il potere della Musica, quella forza misteriosa che non posso spiegare con un intervento su un blog, né potrei con miliardi di altre parole. Quella forza che ti fa voler cambiare il Mondo, ti fa venir voglia di amare, di odiare, di gridare, di correre, di saltare. Che cambia il gusto della vita. Gary Moore, e non sono ipocrita, ha davvero dato una sfumatura diversa alle mie giornate. 

A volte credi che certe persone non possano morire mai, che potrai pagare un biglietto e vederli sorridere su quel palco, quando ti va. Loro, come una chitarra, che marcisce col tempo che passa, ma continua a suonare. Le dita di Gary si muovono ancora, ogni volta che premo 'play'. Ed è comunque la consolazione più grande.


2 commenti:

Sutter_Kaine ha detto...

Bellissimo questo post - specialmente nel finale mi ci sono ritrovato in pieno...bellissimo!Ciaoooo...R.i.P Gary Moore

Daniele Erler ha detto...

chiunque to sia, grazie.
giornata triste, giornata blues.