giovedì 13 ottobre 2011

[REC] Philip Roth, Nemesi

[questa recensione non contiene spoilers]

I Greci parlerebbero di Τύχη (Tyche). Noi, a seconda della nostra cultura e del nostro credo, parliamo di caso, di destino, di Fortuna. O di Dio. Ma esiste un momento, prima o poi, in cui tutti ci chiediamo «perché io?», o «perché non io?». Perché io, ora, son qui a leggere una recensione di un libro, scritta da un idiota qualunque, mentre qualcun altro al mondo sta morendo di fame? Perché io ho un tetto sulla testa, e ci sono bambini che mai vedranno il domani? Perché io…?
A questa domanda, quasi ontologica, la religione ha dato una risposta. “Mistero della fede”, la volontà imperscrutabile di un essere superiore (quale sia il suo nome), a cui ci possiamo avvicinare, ma mai comprendere del tutto. Perché la fede dev'essere cieca, e mai si deve dubitare di un disegno così immenso.
Philip Roth non può accontentarsi. Il personaggio del suo ultimo libro (Nemesi [2010]), Bucky Cantor, nemmeno. Bucky non è ateo, crede davvero nell'esistenza di Dio, ma se accetta la sua presenza, allora.. ancor peggio! Come può Dio essere così malvagio? Mr. Cantor finirà con l'odiare Dio, con l'incolparlo di quel caso, quasi fosse la rivisitazione della dea Fortuna, che ha voluto, per sua sola volontà, girarsi più in là.

Siamo nell'estate, la caldissima estate del 1944. In Europa si sta combattendo la Seconda Guerra Mondiale, ed i soldati americani si devono dividere fra il Vecchio Continente e l'Oriente, il Giappone di Pearl Harbor. Bucky Cantor è un istruttore ventitreenne: durante l'anno scolastico insegna educazione fisica nella scuola di Newark, nel New Jersey; in estate è l'animatore di un campo giochi della città. È sportivo, atletico, lo si direbbe un perfetto soldato: ma a differenza dei suoi più cari amici, Jake e Dave, non è partito per il fronte. Non arruolabile, per colpa della sua vista, è rimasto a Newark, ignorando che, anche nella sicura America, avrebbe dovuto combattere una guerra.
Poliomelite, semplicemente “polio” nel gergo. Per l'ebreo Bucky Cantor il vero nemico, nel 1944, non ha più una svastica sul braccio: è un morbo invisibile, inspiegabile, che contagia ed uccide. Soprattutto i bambini. La poliomelite inizia con sintomi che fanno pensare ad una semplice influenza: brividi, febbre, una forte emicrania. Ma poi evolve, colpisce i muscoli, deforma le persone colpite, le rende storpie. Colpisce le vie respiratorie, sicché gli ammalati possono respirare solo attraverso un polmone d'acciaio. Chi guarisce, rimarrà storpio. Molti, soprattutto bambini, non sopravvivono.
Ed è proprio quando i ragazzi del campo giochi di Mr. Cantor iniziano morire, che inizia la sua tragedia personale. Quel senso di impotenza, ma quella voglia di restare comunque a Newark, quasi per lui fosse un nuovo sbarco in Normandia.
Ma poi c'è Marcia. La ragazza che ama; la figlia del dottor Steinberg, che tanta sicurezza dà a Bucky, anche nell'incubo dell'epidemia. Quando Marcia proporrà a Bucky di raggiungerla ad Indian Hill, dove lei già è animatrice di un campo estivo, e dove la malattia non è arrivata, per lui inizierà il vero tormento. Cosa fare? Fuggire da Newark e dalla polio, o restare a combattere, con i suoi ragazzi, con l'amata nonna, piangendo i morti e sorreggendo gli storpi?

Nemesi ha in sé sempre quel sottile doppio binario, tipico dell'ultima produzione di Roth. Da una parte Dio ed il destino, quel disegno che sembra scritto da qualcuno; dall'altra noi, che quel disegno muoviamo con i nostri gesti e le nostre scelte. Noi che il destino, la Fortuna, davvero ce la costruiamo da soli. In un libro che di questo ciclo fa parte a pieno titolo, Indignazione (2008), Roth metteva nero su bianco questa concezione, che sta poi alla base anche di Nemesi. «Il terribile, incomprensibile modo in cui le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati». Questo è il destino per Roth, questo è il vero Dio per Roth. Ogni nostra scelta, può essere la prima pedina del domino, che ne farà cadere un'altra, e poi un'altra ancora, ed ancora, trascinandoci verso una direzione che altrimenti mai avremmo preso. E, la maggior parte delle volte, l'effetto di una nostra scelta, per quanto meditata, rimane imprevedibile. Questo è essere uomo, questo è vivere: costruire il destino con le proprie scelte, in un modo così “terribile” e così “incomprensibile”.

Nemesi è un libro bellissimo, forse fra i più belli del Roth maturo. Una storia che ti lega alle pagine, ed un contorno che è filosofia, è insegnamento di vita, ti porta a riflessioni profonde. Il tutto con quell'arte della narrazione e della descrizione, che è il vero, immenso tesoro dell'autore americano.

PHILIP ROTH, Nemesi, Torino: Einaudi, 2011
(ed. or. © Philip Roth, 2010)
€ 19 (Einaudi SuperCoralli), 183 pagine


4 commenti:

Dario ha detto...

Solo un appunto, non è vero che la religione glissi tutto come “Mistero della fede” come hai scritto, anzi invita a porsi domande profonde. Non confondiamo la religione con la media dei religiosi o bigotti vari che troppo spesso sono gente che non ha risposte perché sono i primi a non cercarle (ed alle volte viene da chiedersi in cosa credano veramente e, soprattutto, cosa davvero li spinga a farlo). Grazie a Dio loro non sono il metro di paragone su cui giudicare la religione anche se spesso l'accostamento risulta naturale. A me piace in proposito una frase di un cantante che credo riassuma bene il concetto: "But later in life I realized I needed to stop looking at Christians to see Christ"

Ciao, buona giornata ;)
Dario

Daniele Erler ha detto...

Penso innanzitutto che il rapporto con Dio e la religione siano due cose completamente diverse. Sul primo punto non voglio discutere, è un argomento che reputo molto personale, sia se si è atei, sia se si è credenti, sia se si è ortodossi, sia se si è eterodossi.. penso che la libertà di credere e non credere sia uno dei fondamenti della personalità umana.. e l'uomo non vive senza spiritualità, vuoi che in questo termine generico si intenda la fede in Dio, o solo un insieme di valori morali.

Detto questo, ovviamente il mio non era, né voleva essere, un intervento teologico. Era volutamente sintetico. Penso però ancora che fra i fondamenti della religione vi sia comunque un'imperscrutabilità del disegno di Dio.. un punto oltre il quale porsi dei dubbi diviene un segno di debolezza, se non di peccato.. poi chiaramente, è inevitabile che l'uomo sia debole.. che senta il peso della sua carne (in greco sarx.. non per fare l'intellettuale, non ne avrei i requisiti, ma perché è questo il termine usato dalla teologia)..ancora: a me sembra un dato di fatto.. non voglio dire che sia giusto o meno!

ma..ad esempio, se io ti chiedessi, perché Dio ha acconsentito a tante tragedie, per curiosità, quale potrebbe essere la tua risposta? ..se vuoi rispondere..

Grazie sia di aver letto, sia di aver commentato!

Dario ha detto...

Sono pienamente d'accordo con te che il rapporto con Dio (od in genere il soprannaturale) e la religione siano due cose indipendenti nel senso che esistono persone che hanno un rapporto con Dio senza seguire necessariamente una religione e persone che professano una religione senza avere realmente alcun rapporto con Dio. Poi ci sono le altre combinazioni più classiche e tutte le sfumature tra le varie posizioni, è una cosa che non si può generalizzare, ogni singolo caso andrebbe preso a sé ed è una cosa umanamente impossibile =P

Per quanto riguarda la religione invece è più semplice perché le religioni esistono comunque in quantità numerabile e, se si considerano solo le maggiori, il numero non è neanche poi così grande.
Riguardo all'avere dubbi poi, ma qui mi riferisco al cristianesimo perché comunque mi sembra che entrambi ci stiamo indirettamente focalizzando su questo, non è considerato un peccato. Certo i dubbi derivano dai limiti intrinseci dell'essere umano ma non costituiscono di per sé una colpa quanto non lo costituisce la tentazione. La differenza tra tentazione e peccato è quella che c'è tra lo stimolo a fare qualcosa ed il farla: a te può venire voglia di dare un pugno ad un altro ma se poi non lo dai mica gli fai male per capirsi.
La storia del cristianesimo è stracolma di santi che hanno avuto dubbi, prendi S.Tommaso, che era un apostolo ed aveva conosciuto Gesù di persona, fino ad arrivare a Madre Teresa di Calcutta. Avere dubbi non è un peccato, al massimo è una debolezza.
Sul fatto poi dell'imperscrutabilità del disegno di Dio, non è una cosa che compete in modo particolare la religione. La vita è piena di misteri a cui la mente umana non arriva e questo vale sia per un credente che per un ateo. Ci sono innumerevoli cose a cui la Scienza non sa dare spiegazione senza scomodare necessariamente il disegno di Dio. Fino a che non c'è una risposta le cose rimangono ignote ma la religione (mi riferisco sempre al cristianesimo) non impone certo come dogma di non cercare le risposte. Anzi, se non fosse così non si spiegherebbe l'enorme numero di scienziati fondamentali per il progresso umano che erano cristiani davvero credenti (cioè non cristiani solo a chiacchiere, che è la stragrande maggioranza dei cristiani purtroppo).

Per quanto riguarda le tragedie ci sono da fare diverse distinzioni. Cercherò di essere conciso anche se sull'argomento ci sarebbe da scrivere molto (ed è per questo che non l'ho fatto l'altra sera =P )
Innanzitutto c'è da distinguere tra le tragedie personali ed i cataclismi. Io presumo che tu ti riferissi a questi ultimi quindi tratterò di questi (casomai nulla vieta di parlare anche delle prime in un secondo momento). La prima cosa da fare quando si prendono in considerazione le tragedie di questo tipo è andare a scavare per trovarne le cause. Il più delle volte si scopre che la causa è riconducibile alla libertà umana di commettere il male. Cioè alle volte è lampante che sia stato un cattivo uso del libero arbitrio a causare le tragedie. Esempi di questo possono essere, che so, Tchernobyl, Stava, Seveso, ecc. (e questo senza andare a scomodare casi ancora più lampanti come gli stermini nazisti e comunisti, le guerre, il terrorismo, i genocidi di vario genere tra cui l'aborto, ecc.).
Poi ci sono altri tipi di tragedie in cui apparentemente il libero arbitrio umano non sembra essere coinvolto ma se si va a guardare in profondità oggettivamente si può trovare anche lì. Prendiamo un esempio: Pompei. Un'eruzione vulcanica, che colpa ne avevano i pompeiani? Il fatto è che quando uno fonda una città alle pendici di un vulcano gli può anche andare bene per secoli ma poi non si può lamentare se questo erutta.

Dario ha detto...

(ho dovuto spezzare il commento in due perché c'è un limite massimo di caratteri)

Restano fuori le tragedie in cui l'uomo non ha davvero voce in capitolo (ma anche qui oggettivamente è difficile dirlo, perché se ad esempio uno tsunami è causato dai cambiamenti climatici, si può escludere che non ci sia sempre l'uomo alla base dei cambiamenti climatici?) e che forse sono le più interessanti da trattare nonché quelle più in tema. Prendiamo un esempio dalla Bibbia: Sodoma, lì è spiegato il perché della tragedia. C'è poi da fare una premessa a questo e cioè che se uno crede ad una vita dopo la morte, la morte diventa una tragedia relativa ma non mi dilungherei su questo per non andare fuori tema. Un esempio di tragedia quindi può essere attribuita ad una razione di Dio ad un comportamento troppo abbietto (in difesa tra l'altro degli altri esseri umani, non dimentichiamo come, dalla descrizione della Bibbia, i sodomiti fossero usi a pratiche come lo stupro di gruppo). Quante volte di fronte ad un comportamento umano ci si chiede perché Dio non intervenga, a questo punto diventerebbe ipocrita lamentarsi di Lui quando effettivamente interviene.
Senza voler attribuire a questo genere di intervento/punizione divini alle volte viene un po' da riflettere quando capita che delle tragedie naturali capitino proprio in determinati luoghi. Per esempio lo tsunami di non molti anni fa si è verificato proprio in una zona ad alto tasso di turismo sessuale pedofilo. Ripeto, non voglio dare questa spiegazione a quella tragedia però come non pensare che forse la morte per quei bambini possa essere stata una liberazione e per i loro aguzzini una punizione anche troppo mite?
Ma, sempre prendendo spunto dalla Bibbia, e sempre tenendo presente quanto la morte sia una tragedia relativa (alla fine anche per chi non crede, perché se anche uno è convinto che poi tutto finisca, in fondo è solo questione di tempo. E quando sei convinto che poi tutto finisce, se ci rifletti davvero bene con onestà, in fondo in fondo, che te ne frega di vivere. Cosa te ne viene di aver mangiato cibi prelibati, di avere avuto le donne più belle, di aver avuto soldi, potere, ecc. se poi tutto finisce nel nulla?) alle volte le tragedie che accadono per volere di Dio hanno lo scopo di risvegliare nel genere umano il pensiero che questa vita è solo una parentesi temporanea o comunque transitoria, di non trascurare ciò che invece può essere davvero importante.

Adesso devo proprio scappare, se vuoi comunque possiamo andare avanti a parlarne in un'altra occasione =)

Ciao, buona settimana ;)