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lunedì 24 settembre 2012
«Noi siamo migliori»
Non mi piace scrivere troppo di ciò
che non conosco a menadito; e così ho una certa difficoltà a
scrivere di quanto sta accadendo in Nord Africa ed in Medio Oriente.
Purtroppo questo mio scrupolo non se lo pongono in molti, e mi capita
quindi sempre più spesso di sentire analisi approssimate – giudizi
che sfuggono nei bar o sugli autobus –, solitamente nate più da
una certa saccenteria, che da una conoscenza reale dei fatti. Bene,
non voglio fare ora l'errore di cascare nello stesso atteggiamento,
come se, non potendo trovarne la cura, volessi ammalarmi di quello
stesso male che vorrei debellare.
Ci sono alcuni misteri assoluti della
storia, a cui si cerca di dare una risposta con la comprensione della
contingenza. Prendiamo certe adesioni, anche di intellettuali
affermati o di scrittori di assoluta fama, al fascismo (l'esempio
c'entra poco, ma mi pare possa essere facilmente comprensibile): come
possiamo comprenderle ora, dall'alto della nostra cultura
antifascista? Soprattutto noi giovani, nati nei tempi di una
Repubblica che si è voluta legittimare proprio per il suo
antifascismo (qui, lo ammetto, c'è l'eco di una lezione che ho
seguito oggi in università), non ci possiamo che sentire, per
istinto, più vicini ad un Benedetto Croce che ad un Giovanni
Gentile. Ma se affrontiamo con più serietà lo studio storico, ci
rendiamo conto che spesso cadiamo in un errore, tanto banale quanto
difficile da superare. Non possiamo giudicare il passato con gli
schemi del presente; o meglio: non possiamo giudicare una situazione
a noi distante, senza comprenderla anche dal punto di vista
culturale. È una lezione che, nella storiografia, ci arriva
soprattutto da certi studiosi francesi.
Ma anche nel giudizio dell'attualità,
io credo, non possiamo esimerci da questo sforzo. Possiamo capire
l'altro solo conoscendone la cultura; e riuscendo a scrollarci d'addosso la nostra supponenza da “occidentali”, che ci porta a
giudicare come peggiore solamente ciò che non conosciamo. (d.e.)
giovedì 13 settembre 2012
L'AiFon Faiv
Da una settimana ho 25 anni, e mi sento
vecchio.
Non davvero, sia chiaro. Ma c'è un piccolo, ma non
indifferente particolare, che questa mattina mi ha reso vecchio. Non
fisicamente, ma moralmente. Io non so nulla dell'Iphone 5.
Vorrei spacciare per verità una bugia, ed andare fiero della mia ignoranza. Vorrei dire: «io non so nulla
dell'Iphone 5, perché è simbolo della follia capitalista, perché…
com'era quel detto? “Ciò che possiedi, ti possiede”. Ma va, che
spreco di denaro, poi io il telefono lo uso solo per scrivere qualche
sms, ogni tanto». Ma mentirei, la verità è un'altra.
Io non so nulla di Iphone5, perché io
vorrei un Iphone 5, ma non posso permettermelo. Ecco, l'ho scritto.
Me ne vergogno, ma ci sono cascato pure io. Potrei fingermi snob,
superiore a tutti, guardare con disprezzo chi ha l'iphone. Ma la
verità è che io non provo disprezzo, provo invidia.
Steve Jobs, pace all'anima sua, è
riuscito ad ammanettarci tutti. Quella mela morsicata è la mela
proibita, che ti promette l'Eden fra i mortali, e ti distrae dal vero
senso dell'esistenza. Perché da questa mattina nessuno vuole davvero
la pace nel mondo, tutti vogliono l'iphone 5. (d.e.)
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