giovedì 28 luglio 2011

[REPORT] Viaggio a Londra | High Voltage Fest 2 (Judas Priest, Dream Theater, ...) [1]

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REPORT
Viaggio a Londra
High Voltage Festival
22 luglio 2011 - 27 luglio 2011

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PRIMA PARTE

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Premessa.

Questa è stata la mia seconda volta. La prima, di cui potete leggere il report qui, era quella della meraviglia. Dell'inaspettato. Della sorpresa. Questa sarebbe stata, lo sapevo, quella della consapevolezza. La conferma o la smentita di tutto. Il rischio di una delusione poteva essere fortissimo, dopo un anno in cui non ho fatto altro che coltivare la mia voglia di tornare a Londra.
La seconda volta che si fa l'amore con una città, lo si fa con uno sguardo diverso. Solitamente si riesce a penetrare quella cortina del primo approccio, si ha il tempo di sondarla più a fondo. Per una città come Londra, che ti rapisce col suo fascino e le sue contraddizioni, con il suo essere unica e così diversa al suo interno, forse anche questo ritorno non mi ha permesso di capirla del tutto. Ma è andata bene. Meravigliosamente bene.

Primo giorno. 
venerdì, 22 luglio 2011

Tutto alle spalle. Ecco l'imperativo, per me e Susi, la mia ragazza e compagna di viaggio. Via tutto, si parte. Finalmente è arrivato il giorno, basta pensare all'università, agli obblighi, a… beh, a tutto quello che non sia questo. La paura più grande dev'essere il peso di una valigia. Lo stress più forte, il volo. Nient'altro. Si può cancellare tutto di colpo? Mesi e mesi, forse proprio un anno, di pensieri, che si accalcano come una fogna nel tuo cervello? Sì, si può. È l'imperativo a cui l'uomo ha risposto con questo strano concetto che è la vacanza. Spender dei soldi, per non pensare a null'altro che a..niente! Entrare in una nuova realtà, giocare ad essere ciò che non si è. Immedesimarsi nell'utopia che tutto sia diverso. Perché tutto è diverso, anche se solo per cinque giorni.
Londra. Londra ed il 'mind the gap', Londra e gli indiani nel supermercato, Londra ed i ristoranti italiani. Londra. Quale posto migliore per nascondersi? Quale posto migliore per diventare uno dei tanti?  

Ecco i nostri pensieri mentre il nostro volo prendeva il cielo, da quello soleggiato e malodorante di Milano, fino a quello nebuloso e quasi autunnale (così sembra, dal nostro punto di vista) londinese. Il nostro albergo è in una zona abbastanza affollata, vicino alla stazione della metropolitana di Mile End. Sin da subito, a vederlo dall'esterno, ci sembra piccolissimo. Non abbiamo pagato molto, non ci possiamo lamentare che per raggiungere il cucinino che il gestore (un gentilissimo indiano) ci mostra rischiamo la vita, con degli scalini che sembrano cadere a pezzi. Nemmeno ci possiamo lamentare che la nostra stanza è davvero minuscola, quasi claustrofobica. "E' l'ultima rimasta", ci dice l'indiano. "Se volete, da domani ne potrete avere un'altra".
Ma che c'importa! In vacanza tutto è bello. A Londra tutto è bello. Anche dormire temendo che al risveglio un nostro starnuto possa far crollare l'intero albergo. Terremo questa stanza fino all'ultimo giorno, ed inizieremo anche a chiamarla 'casa'.


Secondo giorno. 
sabato, 23 luglio 2011
primo giorno di festival

High Voltage 2011 Line Up
Ogni amante della musica dovrebbe vivere l'esperienza di un festival. Non in Italia. Non lo scrivo per una forma di esterofilia, sarei così lieto che un concerto di qualità si tenesse nella nostra penisola. Sarebbe lieto anche il mio portafoglio.
Ma la verità è proprio questa: il festival vero, quello che ti rimane impresso nei ricordi più felici, non è fatto dai soli gruppi che lo compongono. È parte fondamentale, certo; ma c'è anche un contorno che è altrettanto essenziale: l'organizzazione, si potrebbe dire sintetizzando. 
Ecco cosa rende l'High Voltage Festival così speciale. Il contorno. E la gente, ovviamente.

Arriviamo abbastanza presto al Victoria Park, sede del concerto. C'è già una lunga fila di persone; ma, raccattati i braccialetti che ci avrebbero permesso di entrare al concerto, non tardiamo ad essere finalmente all'ingresso del festival. Qualche problema tecnologico, con uno scanner che non riesce a leggere il codice a barre del nostro braccialetto, ci rallenta ulteriormente. Ma che ci importa! A Londra tutto è bello, e stanno per accendersi gli amplificatori, le chitarre stanno per urlare, i nostri pugni si leveranno presto al cielo.

domenica 17 luglio 2011

[REC] Philip Roth, Il Seno

Sconvolgente. Credo che molta critica etichetti così ogni libro di Philip Roth. D'altronde il puritanesimo da Indice dei Libri Proibiti ha messo le radici nel pensiero comune, e scrivere di sesso è comunque la prova sufficiente per anatemizzare uno scrittore. Non pare un caso che, ad oggi, uno dei più grandi scrittori viventi non sia stato insignito del premio Nobel. Uno dei più grandi scrittori? Sì. Perché la verità è proprio questa, la stessa per cui mi sono battuto nelle altre mie recensioni ai libri di Roth: l'americano potrebbe persino parlare delle sue defecazioni mattutine, e lo farebbe comunque in un tessuto narrativo d'incantevole qualità.
Ma, per questo
Il Seno, devo ammettere che il termine 'sconvolgente' calza a pennello. D'altronde di per sé 'sconvolgente' è una vox media: sconvolgente è un efferato omicidio, ma sconvolgente è anche la più grande passione d'Amore. E allora: in che senso Il Seno è sconvolgente? Non pretenderete che sia una recensione, per altro umile, a dirvelo?! A volte certe sensazioni si possono vivere soltanto leggendo un libro. È il bello della lettura. È lo sconvolgente della lettura.

Ho approfittato di un'edizione economica, allegata all'interessantissimo e consigliatissimo inserto domenicale di cultura de “Il Sole 24 ore”, per acquistare finalmente questo libro. Era nella mia lista delle “letture da affrontare, prima o poi” ormai da qualche anno, da quando almeno avevo letto Il professore di desiderio e L'animale morente, altri due libri di Roth diversi fra loro, ma con in comune il protagonista, David Kepesh. A formare una sorta di trilogia (ma particolarissima), anche ne Il Seno il protagonista è appunto Kepesh.
Se il mio lavoro fosse quello di scrivere recensioni, ora potrei pure perdermi in una lunga, e forse noiosa, parentesi sulle analogie fra i tre libri. Ne verrebbe fuori probabilmente un ritratto un po' particolare del concetto di 'trilogia'. Perché, in effetti, a quanto ricordo i libri sono dei monoliti che hanno in comune soltanto un nome. Ma probabilmente sto sbagliando, l'ho scritto che non sono un recensore di professione. Non ho ripreso in mano i libri che ho già letto, ho qui davanti solo Il Seno, che fra l'altro dei tre è quello scritto prima, anche se io l'ho letto per ultimo.
Suvvia. Poche palle: penso che dei richiami reciproci fra i tre libri siano stati effettivamente pensati dall'autore (a pagina 40 della mia edizione de Il Seno si accenna di una passata avventura del protagonista con due donne in contemporanea, con finale fra il patetico ed il drammatico per una delle due; non è forse una vicenda poi approfondita nella prima parte de Il professore di desiderio? non credo di sbagliare), ma i tre libri hanno il loro centro in eventi del tutto slegati fra loro. L'animale morente, ad esempio, si inserisce perfettamente nell'ultima produzione di Roth, in cui l'autore riflette sulla vecchiaia e su quanto sia volubile la vita. E Il Seno? Beh, la sua trama è del tutto particolare. Forse è il caso di accennarla.

David Kepesh è uno stimato docente universitario di Letteratura. Fra i suoi difetti vi è l'ipocondria, è vero, ma non è il caso di drammatizzare, visto che ogni sua paura si è sempre rilevata infondata. Almeno fino a quel giorno in cui uno strano colore della pelle, lì al di sotto del pene, gli fa pensare ad un cancro. Lo fosse stato! Almeno la diagnosi, per quanto drammatica, sarebbe stata 'normale'. Ed invece, questo, per il povero Kepesh, è solo il primo stadio di una metamorfosi, che lo trasformerà, in una notte, in una gigantesca mammella di donna.

Metamorfosi, e la mente corre a Kafka. Anche lui uno scrittore ebreo, come Roth. Sicuramente di Roth è stato, attraverso i suoi libri, grande maestro. Lo sappiamo, se non sbaglio, proprio da Il professore di desiderio, dove ad un certo punto Kepesh si rifugia a Praga; l'occasione è colta al balzo da Roth, che ci regala alcune bellissime pagine critiche su Kafka (dovrei rileggerle!). E di Kafka Roth parla anche nelle Chiacchiere di Bottega, un libro in cui intervista altri colleghi scrittori, ed in cui il richiamo al Maestro è spesso presente. E non può evitare, nello stesso Il Seno, in una sorta di colpo da metateatro, di inserire il nome di Kafka. Quando il protagonista si convince d'esser diventato pazzo, credo di esserlo perché sin troppo suggestionato dalla lettura del classico kafkiano e de Il naso di Gogol'.
Ma se la rilettura, ironica, delle Metamorfosi è stato probabilmente l'input – me lo immagino!, Roth sulla poltrona di casa sua, a parlare con un vecchio studente delle Metamorfosi. «Ve lo vedete voi, il protagonista non più trasformato in scarafaggio, ma in una grossa tetta? ahah che ridere! Oh però, coff coff, l'idea è buona!» -, i temi trattati sono quelli cari già ad altra della produzione dello scrittore americano. L'ossessione per il sesso, ovviamente, la ricerca per il piacere che rifugge dai dogmi, e si tuffa in nuove perversioni. Ecco, la stessa ontologia mammellica, il divenire Seno, è di per sé una perversione. L'indagine originale e, ancora, sconvolgente di cos'è l'essere tetta! Questa meravigliosa misteriosità che è il seno femminile, tripudio estetico ed estatico si potrebbe dire, ma ancor più miracolo della natura: miracolo come è miracolosa la capacità umana di provare piacere, attraverso quel sentiero anatomico e sensoriale che si accende in climax fisici. Sensazioni che dell'uomo sono parte, ma che rifuggono dalla sua capacità di un totale discernimento. In questa selva di bellezza e mistero, Roth prova ad avventurarsi attraverso l'arma duplice di ironia e paradosso, sfonda i confini dell'immaginazione tentando di rendere verosimile persino una siffatta metamorfosi! Così l'uomo diviene Seno, ma rimane uomo, con le sue debolezze di fronte alla carne, alle prese con una realtà che va al di là della sua concezione. E le reazioni sono poi facili da immaginare; quando Kepesh supera il mero istinto, selvaggia ricerca del piacere, ecco che arrivano quelle che definisce come crisi. Prima un professore che, vedendolo, non riesce a trattenersi dal ridere; poi la sua incredulità, a cui risponde con l'improvvisa illusione di star vivendo solo un sogno. O una forma di follia, ispirata, come detto, da una sorta di suggestione data da quei maestri del parossismo che sono Kafka e Gogol'.

Ciò che è straordinario in Roth è proprio questo, il continuo giocare, il filo che scorre fra l'assurdo ed il verosimile, straordinaria indagine dell'istinto e del pensiero umano, psicologia dell'impossibile che diviene verosimile. Ecco la straordinarietà di Roth. Valicare i confini del paradosso, e riuscire a dare comunque un brivido al lettore, quando sfoglia l'ultima pagina.

Philip Roth, Il seno, Torino: Einaudi, 2005
pubblicato per la prima volta in Italia nel 1973 con il titolo La mammella
Edizione recensita: I libri del Sole 24 Ore, edizione speciale, 2011

su ibs:

sabato 2 luglio 2011

I nuovi delfini

"CHI SARA' IL NUOVO PAPA?"

Lo ammetto: a scrivere così pare di essere in un nuovo reality show. Dopo il Grande Fratello, ecco a voi il Grande Cocnclave: chiamate il numero in sovraimpressione, o inviate un sms, e potrete esprimere il vostro televoto. In regalo riceverete direttamente sul vostro cellulare la suoneria del Fratello sole, sorella luna o dell'Alleluia.
Pare una blasfemia. Eppure sappiamo che in età antica il vescovo di Roma era acclamato dal popolo, quindi di per sé l'idea del televoto avrebbe persino un fondamento storico. Fortunatamente è in realtà un parto paradossale della mia mente: l'istituzione del conclave è ancora un fondamento dell'organizzazione ecclesiastica.

Eppure: c'è un eppure. Esiste una categoria, una sottospecie, di giornalisti che sono i vaticanisti. Solitamente sono dei laici fortemente religiosi, spesse volte la versione edulcorata di quell'altra sottospecie di giornalisti che sono gli esperti dei regnanti. Questi vaticanisti sanno i fondamenti della teologia, qualcosa di storia della Chiesa, ma soprattutto sono informati su tutti i gossip che circolano nello Stato del Vaticano. Rispetto ai giornalisti che si occupano dei regnanti inglesi hanno ben meno possibilità di lucrare sulla loro fantasia: qui non abbiamo amanti palesi, non si può parlare dell'ultima scappatella dell'aspirante al trono, né rinvangare con la voce drammatica il ricordo della bella e tormentata principessa, morta in un incidente stradale. No: qui il contesto è sin troppo serio: i nostri sono allora costretti a stemperare la serietà della teologia assecondando la superstizione popolare (con enfasi su episodi che di religioso hanno poco), ricordando gli eroi del passato (in Italia van di moda San Pio e Giovanni Paolo II: due personalità senz'altro significative anche dal punto di vista storico, ma non è questa la prospettiva con cui vengono ricordati), e, appunto, interrogandosi su quel quesito sempre sospeso: 'chi sarà il nuovo papa?'.

Mi occorre una piccola parentesi. Intendiamoci: non credo che i vaticanisti siano tutti di questa staffa. Ve ne sono di seri, che attraverso il loro commento oculato permettono di comprendere appieno gli atteggiamenti delle istituzioni ecclesiastiche. Non son più gli equivalenti degli esperti dei regnanti, ma degli ottimi commentatori politici. Né vorrei che si intendessero le mie frecciatine a certi giornalisti (quelle qui non sono le prime nel blog) come un tentativo di delegittimare il giornalismo: contraddirei una delle mie aspirazioni, che è appunto quella di scrivere per un giornale. La realtà è che penso vi siano, in ogni categoria, delle personalità che, forse per lucro o forse per necessità, gettano infine discredito sulla stessa categoria a cui appartengono. 

Il punto è proprio questo. Alla domanda 'Chi sarà il nuovo papa?' un vaticanista serio dovrebbe rispondere in due modi. Primo. Il papa attuale è ancora in vita, né pare avere problemi di salute, o intenzione di dimettersi. Secondo. Ogni previsione, soprattutto ora, non è altro che mera speculazione; sappiamo come il conclave sia innanzitutto risposta di una contingenza. Touché.

Ma non sono pochi i sensazionalisti, i vaticansensazionalisti (evviva i neologismi), che proprio in questi giorni hanno invece già trovato il nome del nuovo papa. Con una strabiliante certezza, hanno detto che il successore di Ratzinger sulla cattedra di San Pietro sarà Angelo Scola. Il motivo è presto detto. Già investito della carica cardinalizia come patriarca di Venezia, nei giorni scorsi egli è stato nominato da Benedetto XVI arcivescovo di Milano, succedendo al dimissionario Dionigi Tettamanzi. Ebbene: per qualcuno questa è già un'indicazione testamentaria dell'attuale papa, che avrebbe così voluto assicurare la successione di una persona stimata, come monsignor Scola, alla Sede Apostolica. Non un'indicazione che riguarda la sola diocesi ambrosiana, quindi, ma l'intera ecumene cattolica. Quest'interpretazione tiene senz'altro conto della storica preferenza per la sede di Milano all'interno del conclave, ma ignora completamente quel punto che già indicavo come fondamentale nella storia di ogni elezione papale: la contingenza. E lo stato di salute di Benedetto XVI, ovviamente.

Strani destini quelli dei delfini. Non parlo di Flipper, ma degli eredi al trono, spesse volte indicati da un'opinione comune poi smentita dai fatti. Soprattutto oggi, nella società mediatica che è innanzitutto società dei sensazionalismi. In questi giorni è stato acclamato, a furor di partito (con un plebiscito ipocrita ed anch'esso sensazionalistico), Angelino Alfano come nuovo segretario del Partito delle Libertà. Sono stati in molti i commentatori che hanno visto proprio in Alfano il successore di Berlusconi, colui che proprio l'attuale premier avrebbe voluto indicare come erede. Ecco che si torna ai due punti fondamentali: il papa..pardon, il presidente..è ancora vivo; e la sua successione sarà figlia della contingenza. Quando accadrà. Ogni speculazione, oggi, resta sempre una speculazione. Touchè.

La mia idea è che Angelo Scola non diverrà papa, e che Angelino Alfano non sarà mai presidente del consiglio. Ma non può essere che una sensazione.

venerdì 1 luglio 2011

Picturarum adoratores


Nel 388, Agostino d’Ippona collocava i picturarum adoratores (gli adoratori delle icone) tra le categorie di cristiani più superstiziosi che illuminati. Allora il fenomeno era poco diffuso, ma stava per incontrare una certa fortuna soprattutto in Oriente. Immagini miracolose, prese come oggetti di culto, che si diffondono sempre più, sino a divenire una vera minaccia per l’ortodossia. La conseguenza, nell’VIII secolo ma ancora altre volte nella storia, sarà la tendenza opposta, l’iconoclasmo. Gli storici sanno come questa tendenza sia stata anche, in parte, una disfida strumentale; lo devo dire per non sembrare troppo sprovveduto come studente di Storia, ma l’argomento di questo mio blog - come amo saltare di palo in frasca! - è in realtà un altro.

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Torniamo ai giorni nostri, ma non usciamo dal recinto dei picturarum adoratores. Quali sono le icone d’oggi? Non mi riferisco più alla religiosità: sia un bene o un male, ormai la religione sta perdendo sempre più le sue influenze sulla cultura di tutti i giorni. Sia un bene o un male, dicevo: credo che di per sé è sia un bene sia un male. Un bene, perché sappiamo i danni sociali che una religiosità troppo impregnante, al di là persino delle concezioni evangeliche, ha fatto in passato. Un male, perché il Cattolicesimo - volenti o nolenti - portava con sé una serie di valori, che dovrebbero essere il retroterra comune di qualsiasi uomo, cattolico o ateo, ma che solo il timore di Dio riusciva davvero a diffondere. Almeno idealmente, sia chiaro, non è questo il momento di discutere quanto la pràxis si potesse discostare da un ritratto così semplicistico, come quello che sto abbozzando.
Ma torniamo al punto: chi sono allora gli adoratori di icone di oggi? Siamo noi donne ed uomini così attaccati, ancora, al culto dell’immagine. Che falsità! Che ignoranza! Siamo sempre più superstiziosi, e sempre meno illuminati. Le nuove icone sono le riviste patinate, le orde di modelli impazziti usciti dai balletti di ‘Ciao Darwin’. Ecco: ‘Ciao Darwin’; avete presenti quegli scimmioni nel pubblico, che si mettevano ad ululare durante le sfilate di intimo? Da bambino li guardavo con un certo divertimento, credevo fossero degli attori pagati per fare i deficienti. Dei clown!
Ecco l’amara scoperta: quei deficienti li sto ritrovando, ora, persino sui banchi della mia Università. Sono ancora una minorità, per fortuna, ma c’è un concetto che ancora sfugge dalla mia logica: come può una persona che ama studiare, ama la cultura, anche fino ad arrivare al punto quasi masochistico di iscriversi ad una facoltà umanistica, togliersi poi la maschera ed essere uno scimmione? Bene, c’è davvero qualcosa che non va nel circolo universitario. Credo si sia arrivati al punto in cui si premia sempre più il nozionismo, e sempre meno la cultura. L’alto flusso di studenti lo impone. Ma ecco allora che alla laurea non arriva più solo l’élite culturale del Paese, anche gli scimmioni riescono ad avere una carriera di studi apparentemente brillante. Non mi spiego altrimenti come possa essere testimone di certe discussioni da deficienti, che odo ahimè anche nei cortili della mia università.

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Agostino d’Ippona. Ciao Darwin. Università. Bene: mi rendo conto che questo mio intervento è stato sin troppo delirante, ben al di là dei miei soliti standard. Ma, sotto sotto, un senso per me lo ha. Se mai diventerò professore universitario - un sogno -, devo ricordarmi mentalmente un dogma: non sono (solo) le nozioni a far lo studente; sempre più è importante, fondamentale, in una società deviata e deviante, riuscire a fare il salto di qualità. Un universitario deve iniziare a studiare anche la cultura della vita e la cultura del pensiero. Non può essere il prodotto di uno stampino, che lo incanala in un flusso di pensieri formulati da altri. Non può essere uno schiavo delle icone. Un picturarum adorator.

Ma non pretendo di aver esaurito l’argomento con queste righe, in realtà sono solo uno sfogo.