mercoledì 29 dicembre 2010

Le Chat


foto di Susanna Alessandrini

1488

Ho comprato Lolita di Nabokov, perché lo volevo leggere, ma anche con un po’ di vergogna per aver vissuto ventitré anni della mia vita senza aprirlo mai. Senza emozionarmi già solo per quell’incipit (di più ancora non ho letto), per quella meravigliosa descrizione: “Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.” Pura meravigliosità narrativa, melodica e lirica. Eppure eran passati ventitré anni, ed ancora, fino a ieri, Lolita restava un consiglio, un progetto, un libro-che-leggerò.

Esistono, e si ritrovano anche in internet, degli elenchi di libri che si dovrebbero leggere prima di morire. E’ un elenco sempre arbitrario, ma che porta anche molti lettori fecondi ad una serie di questo-non-l’ho-letto, che atterrisce un poco.

Mi son messo a fare un calcolo. Mettiamo per ipotesi che si riescano a leggere due libri per intero, nel corso di un mese (mi sembra comunque già una buona media, se si considerano i soli libri letti per diletto, e non per studio), si avranno poi ventiquattro libri letti in un anno. Ipotizziamo pure che un lettore inizi a leggere a quindici anni (molti, per fortuna, iniziano anche molto prima, ma i quindici anni mi sembrano comunque la giusta età per acquisire coscienza del piacere della lettura), e che per limiti d’età legga fino ad ottant’anni (ancora: per fortuna molti riescono a leggere anche oltre). Si avranno quindi sessantadue anni da lettore, che - moltiplicato per ventiquattro libri letti all’anno - significano 1488 libri letti nel corso di una vita. Senza considerare i periodi in cui non si riesce a leggere, le malattie, le sventure, i pensieri che corrono verso tutto ciò che non è il libro dimenticato sul comodino.

Gli elenchi di cui parlavo sopra, quelli che pretendono di indicare i libri che si dovrebbero leggere prima di morire, già da soli spesso consigliano 1000 libri. Eppure ancora, ognuno di noi, in quegli elenchi non ritrovano il proprio scrittore preferito, c’è persino chi si indigna per certe assenze clamorose. E ci sono i gusti personali, l’incapacità di sopportare certi autori, la voglia quasi feticistica di conoscere tutto di un determinato scrittore. Mamma mia: questi 1488 libri sembrano così pochi, che crescere senza sapere di Lolita e le sue seduzioni sembra quasi probabile. Figurarsi, poi, per quelle persone - troppe - che si vantano di non sfogliare mai nessuna pagina diversa da quella del quotidiano sportivo. Si può vivere senza leggere, mi si obietterà. Certo: si può; senza emozioni, senza amore: si può vivere senza ideali, senza profumi, senza battiti, senza musica. Si può esistere e basta. Ma che vita grama, che vita inutile. Non voglio vivere così, voglio cogliere tutto ciò che posso, prima di dover chiudere l’ultima pagina.

Perdonatemi allora se prenderei a calci l’editore che pubblica il libro-brutto-che-però-si-vende, ma so che non c’è tempo.. abbiamo solo un migliaio di libri ancora da leggere, forse dovremmo sceglierli bene.

martedì 28 dicembre 2010

A bordo d'un foglio

Nel mondo esistono persone che, per ciò che fanno, sembrano essere usciti dalla mente di un poeta. E' il caso di un vecchio uomo che ho conosciuto questa mattina; il volto corrucciato, la voce che sembrava corrotta forse dal troppo fumo di una vita. Biblioteca di Trento, prima mattina, gli studenti dagli occhi stanchi, io che tentavo di studiare una complicata analisi critica sul Manzoni (forse non il menù perfetto per iniziare la giornata, ma non si può scappare - in eterno - dagli obblighi). L'anziano si è seduto alla mia sinistra, ha tratto da una borsa un piccolo blocco con dei fogli bianchi. Tossendo un poco, ha iniziato a disegnare con dei gessi ed una penna; io, curioso, cercavo di spiare, facendo scivolare lo sguardo al di là del mio libro su suoi fogli. Ma non riuscivo a capire cosa stesse disegnando esattamente, perché non volevo apparire indiscreto col mio spiare. Ed invece era lui, senza che io me ne accorgessi, a spiare me, a riportare su carta i tratti ammorbiditi del mio volto. Mi ha regalato una caricatura, un ritratto, del mio viso, e per me è stato un bellissimo dono. Non ho avuto il tempo di chiedergli il nome, si è alzato tossendo, e se ne uscito dalla biblioteca.

martedì 14 dicembre 2010

Gli ebook possono cambiare il popolo? #2

Susanna, nella sua pragmaticità, mi ha suggerito che un lettore rimarrà un non-lettore, sia col supporto cartaceo, sia con l'ebook. Chiaro, il mio blog precedente (questo) era giocato su un filo di utopia ed idealismo. Resto comunque dell'opinione che l'ebook dovrebbe essere meno demonizzato. Ma posso sempre cambiare idea, la discussione l'ho aperta appositamente. Aspetto, ahimè credo inutilmente, altri commenti.

Gli ebook possono cambiare il popolo?

Discutendo, per quanto possibile in 140 caratteri, sull'ebook in twitter, ho ricevuto una bella risposta di Giovanni Maria Vencato. "I libri sono come l'eroina, leggi perchè per un po' stai meglio". Ci ho riflettuto, e penso che sia proprio una bella definizione. 
Aggiunge "non metterei l'accento sull'aspetto etico della lettura". Il motivo è l'interrogativo che io gli ponevo: "se l'alternativa all'ebook è il nulla,allora forse val la pena di accettarli?in modo che si diffonda un po'di coscienza..o no?". Ecco appunto l'aspetto etico della lettura, quale veicolo principale, io credo, della diffusione di una coscienza civile (prima ancora che intellettuale). Sull'aspetto ho già riflettuto su questo stesso blog (qui): l'ebook può essere un compromesso per difendere e diffondere il piacere della lettura; quasi fosse il veicolo di quella che Vencato definisce "eroina"?
Si legge per piacere, sono d'accordo, ma non c'è anche un aspetto subliminale nella lettura? Chi legge non impara sempre qualcosa, anche senza accorgersene? Dipende da ciò che si legge, sia chiaro. Nel mercato della narrativa non tutto ciò che si vende è pedagogico, e forse ha proprio ragione Vencato nel porre l'accento sull'aspetto più ludico e di disimpegno ("per stare meglio") della lettura. Ma forse illusoriamente io ritengo che un popolo di lettori, sia sempre un popolo illuminato. E siccome il demos ha ancora un certo - seppur relativo - potere, allora un popolo colto e cosciente dovrebbe essere davvero l'auspicio comune. E può la diffusione della lettura creare questo popolo colto, contro quell'anticultura, rappresentata forse dal mezzo televisivo? E' pur sempre utopia, ma se così non fosse, io continuo a ritenere che l'innovazione tecnologica dell'ebook potrebbe portare altre menti ad entrare in contatto con il piacere della cultura, ed i suoi effetti benevoli.
I Lettori, quelli veri, continueranno a preferire il profumo della carta, il calore delle librerie, il vanto di scaffali pieni di volumi e polvere. Ma forse non dovrebbero vedere gli ebook come i nemici assoluti, più gravi persino dell'ignoranza e dell'ostracismo al libero pensiero. 

giovedì 9 dicembre 2010

Semi

Credo molto in questo blog, e ne è testimonianza il fatto che sia, per ora, ancora vivo. Ormai non riesco più a contare i progetti che ho lasciato naufragare nel corso della mia vita, idee a cui credevo sinceramente, ma a cui ho smesso di occuparmi, per pigrizia o perdita d'interesse. Credo sia normale; ancor più per chi, come me, ha una certa emotività, vive di sensazione, spesso d'istinti (a volte mediati da un certo raziocinio, ma in genere sempre d'istinti si parla). Ebbene: a distanza di qualche anno da quell'agosto 2008, eccomi ancora a scrivere su queste pagine, nella speranza di poterlo fare ancora a lungo. 

Eppure vi sarete resi conto - o voi pubblico di lettori fantasma - che gli aggiornamenti si stanno facendo più radi. Sto forse perdendo interesse anche per il blog? Ma va, se ho appena scritto che ci credo molto. Ci credo, come il contadino crede al campo dove mette il seme, anche se dovrà aspettare mesi prima di raccoglierne i frutti. Io credo che ci vorranno anni, ma un giorno raccoglierò i frutti anche di questo spazio dimenticato. 
Allora perché sto scrivendo così poco? Ecco: mi ricollego al discorso appena fatto. Non solo uno, ma molti sono i semi che sto distribuendo in questo periodo. L'anno si sta piano piano chiudendo, e presto sarà ora di fare quella sorta di esame di coscienza di ciò che l'anno passato è stato, com'è orma tradizione su queste pagine (2009 e 2010). Sarà ancora strano rendersi conto che nulla è veramente cambiato; ma non vorrei che questo intervento suoni come un triste riconoscimento della staticità della mia vita. In realtà tutto è in evoluzione, tutto in movimento, tutto - soprattutto - in costruzione. La mia esistenza, proprio come questo blog. In attesa di un futuro, che vorrò godermi col sorriso di chi ha faticato per conquistarlo.

PS: nella retorica, ho dimenticato di specificare che in questo periodo scrivo meno nel blog proprio per mancanza di tempo.. (era intuibile!). Studio, lavoro, affetti, sogni.. tutto mi tiene occupato, mi stanca persino. Ma sono fiero di dire che questo è ciò che voglio!

mercoledì 1 dicembre 2010

H-Factor. Ovvero, speranze per il futuro.

Fra i ricordi migliori di quel lungo periodo del liceo, vi era quella settimana di febbraio definita, con una sorta di neologismo, cogestione. Pareva quasi una reminiscenza sessantottina, lontano eco delle occupazioni, in realtà un modo per staccare fra la fine del primo e secondo quadrimestre. In concreto, erano tre giorni (quindi non una vera "settimana") in cui si sospendevano le normali attività didattiche, sostituite da conferenze alternative, in teoria pensate ed organizzate da docenti e studenti. Non tutti i professori, in effetti, erano d'accordo; anzi, in una scuola con quella patina un po' arcaica, quale era - ed in parte è ancora, sebbene già nei pochi anni della mia frequenza le cose siano cambiate non poco - il liceo classico di Trento, si elevavano sempre i cori contrari. "E' solo una perdita di tempo", sbottava la vecchia di turno; lei che uno speciale-parlamento avrebbe dovuto condannare per l'uccisione culturale che portava avanti ogni giorno, arroccata sulla cattedra, con metodi paleolitici, contraria ad ogni ammodernamento (che non fosse l'aggiornamento mensile dello stipendio). In realtà, non è un caso che ricordo ancora quei momenti come i migliori della mia formazione, attimi in cui mi accorgevo di uno dei pregi migliori della cultura…anzi, di più: dell'umanità, della natura, della vita…la varietà. Il saper cogliere stimoli ovunque, l'inseguire il piacere di ciò che piace, l'uscire dagli schemi di programmi-di-studio, di ciò-che-si-deve-fare; cogliere il pregio dell'humanitas, un elevamento dello Spirito, dell'anima. Che gran soddisfazione capire che tutte queste cose erano inarrivabili per quelle stesse vecchie-megere in cattedra. Che bello scoprire che essere giovani significa avere una marea di chiavi, e poi basta solo capire quali sono le porte che possiamo aprire.

Certo, nel concreto questi sono tutti pensieri che ho compreso solo di recente, ammetto che ai tempi il tutto mi sembrava un "modo migliore per cui alzarsi la mattina e andare a scuola". Ma d'altronde credo che molti dei migliori insegnamenti ci arrivano addosso, senza nemmeno che ce ne rendiamo conto.

(Piccolo aneddoto: è proprio durante una di queste conferenze che ho conosciuto Giancarlo Alessandrini, grandissimo disegnatore della Bonelli. Io da appassionato di fumetti, e di Dylan Dog in particolare, avevo vinto la mia proverbiale timidezza, ed avevo chiesto di fotocopiare una tavola dell'Indagatore dell'Incubo, nella versione nata dalle sue chine. Me l'ero portata a casa con gioia ed orgoglio, con tanto di dedica e firma.

Ebbene: qualche anno dopo, per altre strade, ho conosciuto quella che di Giancarlo Alessandrini è la figlia, Susanna, di cui si ritrovano tracce in altri miei interventi nel blog (più o meno esplicite). La stranezza sta nel fatto che in realtà non sapevo delle parentele-celebri di Susanna, con cui nel frattempo avevo avuto qualche flirt. Immaginatevi la stranezza di scoprire la firma del padre sul muro di casa mia, la sera in cui strane coincidenze l'hanno portata a dormire da me.
Tra l'altro, sempre per la cronaca, io e Susanna ora siamo felicemente innamorati, da ormai "quasi" tre anni).

L'atmosfera di quei tempi passati, l'ho ritrovata incredibilmente oggi, presso la mia università. L'iniziativa, dal nome simpatico (ma anche un po' inquietante, nello scoprire ancora una volta quale sia l'influenza televisiva su tutto) di H-Factor, era volta a dar credito alla facoltà umanistica, nei suoi sbocchi lavorativi. Quali sono le possibilità che si aprono per i laureati; quali possono essere i punti d'incontro con le aziende, quali i pregi in genere degli umanisti? Pare un normale incontro orientativo, come molti se ne hanno nelle università, ed ancor prima proprio nei licei. In realtà è il tentativo, difficile, di far comprendere che una laurea in Lettere non significa, a prescindere, un antipasto al sussidio di disoccupazione. E' una crociata che, nei mille dialoghi avuti a riguardo, porto avanti da molto tempo; avere un supporto da chi non si è nutrito di soli sogni, ma anche di pane conquistato da vero-lavoro, è stato il primo aspetto della giornata di oggi.
In pratica: durante la giornata si sono alternati diversi relatori, ognuno portatore (più o meno sano) di una laurea umanistica. Sono stati loro, forti di un'esperienza decennale, a farsi testimoni di come anche il laureato in Lettere può lavorare. Ed ancor più: essere apprezzato, ed aver successo.
Grazie a Alida Caramagno, archivista, Paolo Di Stefano, giornalista de Il Corriere della Sera, e Patricia Chendi, editor di Sonzogno (tutte persone che, più o meno, fanno lavori vicini ai miei sogni), son riuscito  finalmente a capire cosa dovrò rispondere a chi mi chiederà cosa voglio fare nella vita - spesso con un tono sprezzante, e mezzo-retorico -. 

"Io voglio fare l'umanista"

E cioè? non lo so ancora, ma ho ancora una vita per capirlo. E il giorno in cui arriverò a quello sbocco professionale, chissà dove sarà quel tale che mi chiedeva, con curiosità polemica, del mio futuro. Chissà se mi ricorderò ancora di lui, e lui di me.

PS: intanto, io un biglietto da visita me lo son portato a casa. Chissà che.. no beh, meglio non dar ordini al destino!